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«La politica affidata a selfie, divise e magliette»

di Franco Scrima*

Pubblicato il: 10/06/2019 – 11:43
«La politica affidata a selfie, divise e magliette»

Ciriaco De Mita continua a sorprendere e dispensa saggi del suo acume politico e della sua freschezza mentale. A 91 anni non conosce soste, miete successi. L’ultimo è il secondo mandato da sindaco di Nusco, il paese dell’Irpinia nel quale è nato il 2 febbraio 1928.
L’onorevole De Mita è una pietra miliare della politica italiana: per quasi un decennio segretario della Democrazia cristiana, capo del Governo e più volte ministro. Quando ha presentato la sua candidatura ha detto di averlo deciso anche «per combattere la stupidità». Non ha specificato di chi, ma non è difficile capire chi sia il destinatario. Naturalmente quando si è lasciato andare in quella affermazione non poteva avere contezza delle dichiarazioni di Salvini rilasciate dopo i risultati delle Europee. Conoscendo De Mita (diverse estati trascorse insieme a Montepaone Lido e tante serate ad ascoltarlo nel patio della villa dell’onorevole Puija) quel riferimento alla stupidità avrebbe coinvolto anche ben altri personaggi.
E veniamo ai giorni nostri. Salvini dimostra di dimenticare che le elezioni europee riguardano il rinnovo del Parlamento europeo e non hanno attinenza con il Movimento 5 Stelle e quindi con la maggioranza di Governo; i punti di forza, pertanto, rimangono quelli di un anno fa: 125 deputati e 58 senatori la Lega e 222 deputati e 109 senatori il Movimento 5 Stelle.
L’ “alleato” Salvini, invece, tenta di capitalizzare le preferenze ottenute alle Europee per far credere agli italiani che la Lega è diventata la prima forza di governo. Sarebbe come volersi cimentare nel “gioco delle tre carte” nel quale, grazie all’abilità del manovratore, vince sempre il banco. Ciò non significa non riconoscere il successo della Lega, ma ricordare realisticamente che il voto riguardava il Parlamento europeo e che quello italiano continua ad essere quello del 4 marzo 2018. Naturalmente è comprensibile esultare per un successo importante e imprevisto, altra cosa è cercare di “appannare” il risultato dello scorso anno, perché sarebbe come voler mistificare la realtà. Naturalmente nulla potrà più essere come prima: Salvini insisterà a voler imporre le sue idee e Di Maio, seppure ridimensionato dal risultato delle urne, a sottolineare che sono sempre i 5 Stelle il partito di riferimento.
Salvini e il suo entourage, forti delle preferenze ottenute, pensano, sbagliando, di essere diventati la prima forza politica del Paese; vorrebbero approfittare, dunque, di far pesare gli obiettivi del loro movimento, ritenendo che possono andare persino oltre il cosiddetto programma di governo ripresentando i progetti che gli “alleati” non hanno loro consentito: l’autonomia delle regioni del Nord; il TAV e, giacché si trovano, anche il decreto bis sulla sicurezza e l’aumento degli stipendi da riservare solo agli insegnanti delle scuole della “Padania”. Tutto ciò naturalmente avrebbe risvolti positivi per le popolazioni nordiste, ma determinerebbe un ulteriore allargamento della forbice con quelle del centro e ancora di più con quelle del sud, che sarebbero costrette a vedersi sempre più poveri. Insomma ritorna prepotente la teoria delle due Italie.
Veramente di doveri Salvini che, è bene rammentare, è il capo della Lega oltre ad essere ministro dell’Interno, ne avrebbe tanti altri da osservare, a cominciare che non servirsi dei “suoi uomini” per fini che hanno molto di personale. Il riferimento è alle cronache che continuano a riferire di interventi della Polizia di Stato per rimuovere striscioni «a tutela del decoro paesaggistico». Qualche giorno fa è accaduto a Roma in occasione della manifestazione sindacale unitaria sul pubblico impiego. Agenti della Digos hanno eliminato uno striscione sul quale, in una caricatura, Di Maio si rivolgeva a Salvini in romanesco: “Mattè dicono che mettese contro il sindacato porta male”. E Salvini: “Sì Gigino, lo so, infatti mi sto a portà avanti col lavoro”.
Dal loro punto di vista la Lega fa bene ad esultare, ma essendo al governo del Paese ha anche il dovere di restare con i piedi ben saldi per terra. L’Italia, quella dalla quale vorrebbero staccarsi, purtroppo per loro è una e indivisibile. Si rammenta a chi non lo ricorda che è nata così qualche tempo fa dalla Resistenza ed è regolata dalla Carta Costituzionale. E chi ritiene di percorrere strade alternative secondo la legge commette un reato! C’è da pensare che il leader leghista ritenga che l’essere ministro della Repubblica gli consenta di poter agire anche sopra le righe, così se la prende con i magistrati di Firenze e con quelli di Bologna che hanno pronunciato sentenze che contrastano con alcuni provvedimenti del suo ministero in materia di migrazione e avrebbe persino resa nota una lista di magistrati che, a suo parere «avrebbero criticato il governo».
Anche questa conflittualità concorre a determinare una instabilità non solo interna, ma anche nei rapporti internazionali primi fa tutti con l’Europa. Nessuno che faccia opposizione intelligente e che si ponga come alternativa seria. Lo stesso Pd non riesce a trovare la strada per far nascere un partito nuovo che possa capitalizzare la tendenza al rialzo che pure c’è stata alle Europee. Possibile che all’attuale segreteria non arrivi l’eco delle cose che si dicono per strada e cioè che al Partito democratico continua a mancare una vera politica di sinistra con la quale riconquistare le masse di un tempo a cominciare da quella parte di elettorato che ha deciso di allontanarsi e che non si reca più a votare? È vero che gli italiani riescono a rassegnarsi quasi sempre, ma quando riusciranno a mettere in sella un governo che si occupi della gente? Di tutti? Un governo che anche a costo di superare l’ideologia, pensi allo sviluppo del Paese garantendo il lavoro che non c’è, la Scuola che formi realmente la classe dirigente del domani, la Sanità che non può essere solamente delegata ad alcune regioni? L’impressione che se ne ricava, invece, è estremamente misera e inconcludente: se si escludono i selfie, le divise, le magliette, non rimane altro se non una perenne campagna elettorale “marinando” il lavoro.
Cosa è entrato nelle tasche degli italiani? Cosa ha fruttato nella considerazione dei cittadini? Forse rimane, come conseguenza, solo il voto alla Lega anche in alcune regioni del Mezzogiorno. Calabria e Sicilia l’hanno votata in modo avvertibile. Ma ciò non deve fare illudere alcuno, anche perché sono stati in tanti a ricredersi quasi subito; altri, invece, a distanza di ore, quando hanno appreso che per le strade di Milano si esultava non solo per il successo leghista, ma perché a Lampedusa ed a Riace avevano preferito Salvini. Nell’immaginario collettivo dei “Lumbard” i cittadini si sarebbero schierati contro l’accoglienza di quei disperati che, a costo della vita, tentano di raggiungere le coste italiane per fuggire dalle guerre e dalla fame. Forse non è andato proprio così: chi desidera il pane per i propri figli cerca anche nei posti insperati. Tutto il resto si chiama strumentalizzazione!
Cavalcare l’antiaccoglienza e farne un progetto politico come la diceria dei porti chiusi con la scusa di trovare quello “sicuro”, non può attecchire. E lo avrebbe capito anche il ministro Salvini se i 5 Stelle non avessero votato contro l’autorizzazione a procedere per il reato di sequestro di persona.
*giornalista

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