Quando da giovane militavo nel Pci, cui ho aderito sino a quando è esistito, un appuntamento importante era rappresentato dall’analisi del voto. Un dovere per tutti gli iscritti era quello di dibattere autocriticamente del risultato, una prima volta nell’immediato e poi più compiutamente.
Lo scopo era quello di individuare gli errori politici commessi e gli (invero non molto frequenti nel Pci) orrori organizzativi, spesso dovuti a valutazioni sbagliate. I primi, causati da una cattiva interpretazione delle reali esigenze sociali, nei confronti delle quali ogni partito aveva il dovere di porsi come possibile baluardo. I secondi, determinati da una classe dirigente partitica non all’altezza dei propri compiti e quindi responsabile dell’evento.
LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE APPENA CELEBRATE
Al di là dei piccoli Comuni, a contare – trascorsa l’epoca «ideologica» rappresentata sul piano caricaturale (ma non tanto) dal tradizionale antagonismo politico Pci/Dc incarnato da Peppone e Don Camillo – è divenuta (ahinoi) determinante la presenza diffusa di singoli, soventemente disposti a passare dietro «compenso politico» da una parte all’altra, divenuti sempre più abili a facilitare la vittoria, propria ovvero di altri, alle competizioni elettorali.
Ad ogni modo, per comprendere al meglio la tendenza in atto torna utile analizzare i risultati rendicontati nei medi centri urbani e nei capoluoghi, perché maggiormente rappresentativi della società politicizzata e, quindi, sistemizzata all’emersione dei grandi elettori locali, funzionali a collaborare elettoralmente alla determinazione delle cariche elettorali “superiori”, prioritariamente quella di governatori regionali. Ciò nel senso che in siffatti siti – ove i leader nutrono legittimamente spesso ambizioni politiche superiori ovvero, più sommessamente, rappresentano il ruolo di “grossisti” del consenso da rendere disponibile al rispettivo “protettorato” – il confronto è più politicizzato, perché più direttamente riferibile all’appartenenza della formazione del governo nazionale e di quello regionale.
Ebbene, in un Paese nel quale a governare è la maggioranza giallo-verde, quest’ultima ha realizzato nelle sue diverse componenti politiche (M5S e Lega) dati sensibilmente differenziati. Limitato il successo pentastellato, anche perché manifestamente schivo ad ogni genere di alleanza; consistente quello leghista, assemblato al resto del centrodestra nel quale Matteo Salvini ha assunto il ruolo di personalità egemone.
LE PIÙ IMPORTANTI REALTÀ CALABRESI AL VOTO
In Calabria, con cinque Città al voto oltre i 15mila abitanti, è accaduto quasi tutto secondo copione, senza che in questo abbia minimamente inciso la politica nazionale. A stravincere, al primo turno, la sindaca di centrodestra a Vibo Valentia, Maria Limardo, e Flavio Stasi, al ballottaggio, straeletto primo cittadino a Corigliano-Rossano. Premiati gli uscenti a Rende (Marcello Manna), Gioia Tauro (Aldo Alessio) e a Montalto Uffugo (Pietro Caracciolo).
Un buon lavoro a tutti con l’augurio che sappiano curare le importanti realtà, cui sono stati preposti dall’elettorato, fondamentali per lo sviluppo della Calabria, sia in termini di generazione assoluta del Pil che di soddisfacimento del fabbisogno sociale.
RENDE, UN FENOMENO DA STUDIARE
Un caso particolare ha riguardato l’elezione di Arintha, l’antica denominazione dell’attuale comune di Rende, che vive in una sorta di associazione simbiotica caratterizzata dall’essere naturale antagonista con la Città di Cosenza e del loro hinterland.
La particolarità ha riguardato la qualificata rivalità in campo, senza togliere nulla a tutti gli altri competitor che sono risultati perdenti negli altri Comuni. A fronteggiare il sindaco uscente, Marcello Manna, erano infatti al primo turno, unitamente agli altri di sicuro peso politico-culturale, Sandro Principe, con un palmares di tutto rispetto, e Mimmo Talarico, anch’egli munito di un curriculum politico non affatto trascurabile. Una sfida conclusasi con i primi due promossi al ballottaggio, con diversi accordi conclusi dal secondo con quasi tutti gli altri rispetto al primo rimasto, ufficialmente, a secco di ulteriori aggregazioni (quantomeno sulla carta). A fine partita, l’uscente, che partiva da un 32%, ha battuto sonoramente il titolato competitor, che partiva da un 27% proprio, cui si aggiungeva un aggregato che andava ben oltre il 30%. Ciò nonostante, il risultato all’ultimo set è stato 57% a 43% per il sindaco rieletto, Marcello Manna.
Se una cosa simile fosse successa anni orsono, ma soprattutto nel mio vecchio Pci, sarebbero saltate molte teste e indetto un congresso straordinario per processare i responsabili politici dell’evento e per eleggere la nuova governace locale e (probabilmente) anche federale. Una soluzione, questa, che non è detto che venga ricercata nella nuova sinistra, magari al netto di tante scomode figure che ne stanno deturpando da tempo immagine e storia, allo scopo di ricominciare da capo sin dalla prossima competizione regionale.
CHE L’ANALISI SIA UTILE E PROFICUA PER LA SOCIETÀ
Nel silenzio politico sull’accaduto, accompagnato però dai soliti sberleffi, sempre inopportuni da qualsivoglia parte provenienti, dai mugugni, dagli immancabili pettegolezzi e dagli addebiti anche fuori luogo – nel caso di specie, in compagnia di un diffuso riferimento ad un incidente televisivo intervenuto in un faccia a faccia registrato tra i politici in gara al ballottaggio – si renderebbe necessario stimolare un’analisi che rechi, quanto più possibile, ad una corretta lettura dei risultati, funzionale a comprendere ed eventualmente esaltare l’azione del vincitore e a correggere ogni errore, sia politico che organizzativo, commesso dal perdente.
Le letture sono molteplici, lo sforzo da compiere è quello di pervenire ad una valutazione obiettiva del risultato di somma, dal momento che il ballottaggio è il percorso nel quale a contendersi il primato sono le addizioni e le sottrazioni, spesso anche le divisioni e/o le moltiplicazioni, che separano alla fine il vincitore dal soccombente.
Senza scomodare lo Zwirner, si rende utile dare l’impulso alla ricerca della cause che hanno determinato il risultato finale partendo dai dati del primo turno. Lo start della sfida diretta tra Marcello Manna e Sandro Principe onorava il primo di un suo 32%, conseguito al primo turno, e il secondo di quasi il 60%, determinato addizionando il suo 27%, al 25% del sopravvenuto partner Mimmo Talarico, al 5% conquistato al primo turno da Tursi Prato e Cafiero, oltre ad una percentuale non riferibile ad un preciso addendo matematico garantita dall’appoggio di Mimmo Bevacqua e di due candidati di peso della lista che faceva capo al già candidato a sindaco Massimiliano De Rose. Rimanevano fuori dalla alleanza quest’ultimo e la lista formalizzata dall’ex partito di appartenenza di Sandro Principe, il Psi.
Questa era la partenza, profondamente diverso è stato l’arrivo. Alla fine della corsa, l’attuale sindaco ha conseguito un risultato di 9.217, incrementato nella misura del 35% di quelli totalizzati al primo turno (6.870), senza alcun apparentamento e alcuna alleanza visibile; il mancato primo cittadino ha invece, rispettivamente, goduto, con i suoi 6.917 voti, di un incremento sui propri (5.784) e a seguito degli intervenuti accordi dell’appena 19%, e subìto un consistente decremento (37%) rispetto alla somma dei voti fatti propri da tutti leader della alleanza ottenuti al primo turno, che totalizzava ben oltre 11.000 scelte.
I DUBBI E LE GIUSTIFICAZIONI NON PROPRIAMENTE CREDIBILI
Le domande che Holmes si sarebbe posto al riguardo avrebbero riguardato due dubbi:
1) che fine hanno fatto i voti di cui gli alleati di Sandro Principe si erano resi destinatari al primo turno, consuntivanti un’emorragia di oltre 5.000 consensi?;
2) come mai il candidato che si è aggiudicato il tricolore ha conquistato oltre 2.300 voti in più rispetto al primo turno, senza alleanza apparente alcuna che gli hanno consentito di battere l’avversario accreditato di un maggiore consenso di somma e appena sotto, sul risultato personale al primo turno, di oltre le 1.100 preferenze?
Le risposte sono alquanto difficili da elaborare, se non affidandosi all’interpretazione di «arti» e di intervenute confabulazioni nei confronti delle quali la politica non ha nulla a che vedere.
Prescindendo dalla diversità programmatica, che invero questa volta ci stava più che altrove, e la buona qualità della campagna elettorale, espressa sia nel primo turno che in quello successivo, nonché tenuto conto dei numerosi rendesi che hanno preferito il mare all’urna ovvero sono stati indotti alla diserzione, non si comprendono le ragioni del risultato se non riferibili ad sopravvenuto super-lavoro di rappresentanti politici, organici a quella che ancora si chiama sinistra, impegnati nel tentativo di garantirsi un prosieguo politico, regionale e nazionale, sempre più incerto.
È, infatti, da respingere l’dea che la diminutio elettorale di Principe fosse addebitabile a sue note caratteriali, Un siffatto riferimento, così come quelli riferibili alle esclamazioni sfottò alla Renato Pozzetto e ai toni dialettali impropri emersi nel famosa faccia a faccia televisiva, vengono oramai utilizzati così come fa Maurizio Crozza che muovendo energicamente la mano in alto evita allo spettatore di concentrarsi su ciò che fa l’altra.
Insomma, si tenta di orientare l’attenzione su cause che non sono affatto quelle che hanno realmente determinato la sconfitta del vecchio leone socialista!
Che analisi del voto sia!
*docente Unical
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