CETRARO «Per la carriera di cronista e direttore di organi nazionali e locali di informazione che hanno puntato sempre al valore insostituibile della notizia e al rispetto del lettore». Con questa motivazione il laboratorio Giovanni Losardo ha riconosciuto il premio alla carriera e alla memoria per il direttore e fondatore del Corriere della Calabria, Paolo Pollichieni, scomparso il 6 maggio 2019. «Avevamo comunicato a Paolo Pollichieni la volontà da parte del laboratorio di premiarlo nel mese di marzo – ha spiegato il giornalista Filippo Veltri – oggi purtroppo possiamo ricordarne l’impegno nella vita giornalistica, caratterizzata sempre nel dare valore insostituibile alla notizia. Questo ha fatto fino alla fine e questo è stato il lascito trasmesso ai cronisti che negli anni lo hanno seguito». Il premio è stato ritirato dal figlio Pietro, che ha annunciato l’avvio di un percorso per la creazione, nella scuola di giornalismo della Luiss, di una borsa di studio dedicata al fondatore del Corriere della Calabria.
Tra i giornalisti a cui è stato consegnato il premio “Losardo 2019”, compaiono anche Pablo Petrasso, del Corriere della Calabria, e Mirella Molinaro, oggi giornalista alla Gazzetta del Sud, ma con un lungo passato al Corriere. Entrambi hanno ricordato, al momento della premiazione, gli anni condivisi con Pollichieni a Calabria Ora e al Corriere. Oltre a loro, tra i giornalisti premiati anche Massimo Clausi de Il Quotidiano del Sud. Nel corso della cerimonia del “Premio internazionale Giovanni Losardo” si è discusso a lungo sui temi legati al sistema della criminalità organizzata calabrese. Come noto, Giovanni Losardo venne ucciso il 22 giugno del 1980 in seguito alle sue proteste contro il monopolio del pesce che l’amministrazione comunale stava favorendo in combutta con la cosca di ‘ndrangheta dei Muto. Ancora oggi quegli episodi sono al centro della cronaca giudiziaria calabrese, un passaggio significativo dedicato alla morte dell’allora dirigente del partito comunista e segretario alla Procura di Paola è stato riservato dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Vincenzo Luberto, nel corso della requisitoria del processo “Frontiera” in corso al Tribunale di Paola.
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«Verrò sempre a portare la mia testimonianza», dice con voce rotta dall’emozione Raffaele Losardo, figlio di Giovanni. «Sono manifestazioni importanti se sollecitano una riflessione seria ed utile a capire la realtà in cui viviamo – aggiunge –, altrimenti sono delle forme non adeguate alla necessità di un impegno a combattere le organizzazioni criminali che ci sono sul territorio. Mi stupisce che a distanza di tanti anni si parli ancora del clan Muto, però è innegabile che nel panorama criminale abbiano conquistato un ruolo di rilievo assoluto. Ho seguito il processo “Ndrangheta Stragista” e ho sentito parlare di Franco Muto come un criminale di livello internazionale». Il laboratorio Losardo, presieduto da Gaetano Bencivinni e composto da Raffaele Losardo, Arcangelo Badolati, Fernando Calviero, Filippo Veltri e Francesca Villani, ha premiato per la sezione legalità il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo (qui il suo intervento), e l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Francesco Minisci. Minisci si è interrogato sull’importanza dell’impegno antimafia e ha lanciato una sfida alle mafie («noi siamo lo Stato italiano, siamo più forti di voi e vi sconfiggeremo»). Per la sezione impegno sociale è stato consegnato un riconoscimento al sociologo dell’UniCal Giap Parini, che ha consegnato alla platea una riflessione sulla capacità della ‘ndrangheta di “librarsi” in tutto il globo mantenendo i piedi ben piantati in Calabria. Per la sezione autori don Giacomo Panizza è stato premiato per il suo volume Cattivi Maestri e ha rappresentato la condizione di una Chiesa di frontiera come quella di Lamezia. Per la sezione internazionale premiato Don Luigi Ciotti, il cui riconoscimento è stato ritirato da don Ennio Stamile, referente di Libera Calabria. Don Ciotti ha inviato un messaggio in cui ha ricordato la figura di Losardo, capace di capire in anni nei quali la parola mafia non poteva neppure pronunciare, che i clan di Cetraro si erano installati nei centri decisionali. Una lotta, la sua, pagata con la vita. Come accaduto, sempre nel mese di giugno del 1980, anche per Peppino Valarioti, militante comunista di Rosarno ricordato in chiusura da Badolati per segnare il contatto tra due storie simili. Che manifestazioni come il premio Losardo lottano per sottrarre all’oblio. (redazione@corrierecal.it)
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