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Carcere di Cosenza, gli “agenti infedeli” pronti al confronto con i pentiti

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia Frassanito e Porco hanno spiegato la loro posizione in merito alle accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sono accusati da 9 collaboratori di …

Pubblicato il: 21/06/2019 – 19:05
Carcere di Cosenza, gli “agenti infedeli” pronti al confronto con i pentiti

di Michele Presta
COSENZA Luigi Frassanito e Giovanni Porco, sono accusati dalla Dda di Catanzaro di essere gli “agenti infedeli” del carcere di Cosenza. Sono detenuti nella casa circondariale di Vibo Valentia ed entrambi si sono presentati per l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice delegato rispondendo a tutte le domande del giudice. Nessuna facoltà di non rispondere per i due agenti della penitenziaria che hanno rispedito al mittente tutte le accuse sulle presunte attività a favore dei boss della mala cosentina realizzate tra il 2009 e il 2015.
Entrambi si sono dichiarati estranei ai fatti e comunque disponibili ad un confronto con i pentiti dei gruppi di ’ndrangheta cosentini che li hanno tirati in ballo nelle loro dichiarazioni.
I loro legali, Cristian Cristiano e Filippo Cinnante, in attesa di avere tutti i documenti relativi all’indagine, hanno avanzato richiesta di scarcerazione.
Nei verbali di interrogatorio davanti al pubblico ministero Camillo Falvo, infatti, Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Luca Pellicori, Ernesto Foggetti, Mattia Pulicanò, Franco Bruzzese, Vincenzo De Rose, Francesco Noblea, Luciano Impieri hanno raccontato di tutta una serie di attività che i due agenti avrebbero realizzato all’interno della struttura penitenziaria di Cosenza per fare in modo che i periodi di detenzione dei boss diventassero un vero e proprio soggiorno. Tutte circostanze che i due agenti della penitenziaria hanno riferito al giudice di essere prive di fondamento e facilmente riscontrabili. Ed in quei verbali (come vi abbiamo raccontato qui https://www.corrieredellacalabria.it/regione/item/190924-le-hogan-in-carcere-e-le-mbasciate-ripagate-con-lacqua-di-colonia/) ci sarebbero i pizzini tra liberi e detenuti per fare in modo che continuassero le attività dei clan, ma anche gli elenchi di debitori dalle attività di estorsione e di cessione di sostanze stupefacenti.
La criminalità cosentina, secondo quanto sostenuto dai pentiti, avrebbe avuto il potere per tramite dei due agenti di sistemarsi autonomamente all’interno delle celle di sicurezza, riuscire ad ottenere cose che sono vietate dall’ordinamento giudiziario nonché la facoltà di riunirsi senza alcuna sorta di problema. In cambio i tre agenti indagati (solo due sono in carcere) avrebbero ricevuto soldi e protezione per il loro giro di attività illecite. (m.presta@corrierecal.it)

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