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«Ecco tutti i “bluff” del decreto Sanità»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 21/06/2019 – 10:56
«Ecco tutti i “bluff” del decreto Sanità»

Il Dl (ironicamente) denominato “salva-Calabria” è divenuto legge dello Stato. Il suo percorso, dalla sua ideazione sino alla sua approvazione parlamentare, dimostra che a valere sono sempre le solite storie. A contare è ciò che fa rumore, a prescindere se produttivo o meno di cambiamenti in melius. È quanto sta accadendo in Calabria con le novità (si fa per dire!) urlate dalla ministra Grillo.
Alla nostra regione occorrono più che una «sanità impropria, inappropriata ed estemporanea» – tale è quella che propone il Governo in carica, divenuta legge per la mera prepotenza dei numeri e senza tenere conto delle giuste istanze contrarie che hanno affollato il suo iter – le basi per un servizio della salute normale. Un Ssr che assicuri alle persone tutto ciò che altrove hanno tutti, e qui non si riesce a rintracciare «neppure a pagarlo», nonostante la disponibilità di un popolo di eroi. Tali sono gli operatori sanitari che si spendono come se fossero «medici di frontiera», con qualche eccellenza in più tra le loro file, e con uno spirito di abnegazione del tipo quello dei vigili del fuoco americani. Eh si, perché nella sanità calabrese è tutti giorni 11 settembre!
Ma si sa, la Calabria è da sempre considerata la bestia nera, da tenere segregata nella torre del peggio.
Ciò è avvenuto forse per averlo meritato.
Per sua stessa responsabilità perché – a fronte degli ingenti finanziamenti goduti (basti pensare a quelli, ex art. 20 L. 67/88, utilizzati per edificare strutture concesse in locazione a prezzi di liquidazione a privati sulle quali i Commissari dovrebbero puntare il dito!) sprecate in assurde duplicazioni ospedaliere, in piante organiche gonfiate generatrici di primariati di comodo e in giochi di prestigio effettuati in sede di riparto dei budget – non è stata in grado di programmare nulla e quindi di realizzare alcunché.
Per effetto di una cattiva rappresentanza politica che ha trattato il fabbisogno calabrese come «esca viva» per pescare il consenso fine a se stesso, riposto a quintalate nel retino dei peggiori che hanno indebitamente goduto dei ben noti privilegi.
Si è così venuta a determinare una sanità costantemente grigia che rischia di divenire sempre più nera a causa della politica sanitaria inadeguata della ministra Grillo che grida di avere individuato nel suo DL lo «strumento vero per curare il Servizio sanitario calabrese da troppo tempo malato».
I risultati non tarderanno a smentirla, si concretizzerà presto il fallimento dell’improvvida iniziativa, con la speranza che ciò non produca morti innocenti così come avvenuto nel 2007, con tre giovani calabresi che non sono più tra noi.
Prescindendo dalle motivazioni giuridiche che rendono il Dl convertito contrario a numerosi principi costituzionali, a leggi fondamentali dello Stato e di dettaglio della Regione che, fino a quando ci sarà la legislazione concorrente in Costituzione, non possono essere lese da illegittime attrazioni di esercizio di potere da parte del Governo, occorre ricordare alla ministra che la buona sanità si fa con l’altrettanto buona programmazione e con i quattrini per attuarla. Nel suo provvedimento, non v’è traccia né dell’una né degli altri. Contiene solo atti di arroganza istituzionale che offendono l’autonomia della Regione e ledono una collezione di principi costituzionali (artt. 2, 3, 5, 32, 81, 97, 114, 117, 119, 121 e 123 Cost.), sui quali evito di attardarmi per averli sottolineati sin dall’esordio del DL «incriminato».
Alla Calabria necessita un progetto serio sul da farsi per uscire dal baratro nel quale si trova, e non già ulteriori atti ricognitivi, nei quali si ripropongono, a prezzi fuori mercato, gli attori compartecipi e coprotagonisti del drammatico fallimento in atto. In primis, gli inutili Agenas e advisor che hanno eletto la Calabria a loro albero della cuccagna con milioni di euro all’anno che invece si lesinano alla nuova occupazione.
Quanto al da farsi, nessun gringos riuscirà a concepire la programmazione necessaria, perché ignaro dei suoi abitanti, del territorio che la caratterizza, della povertà che la contraddistingue. Essa ha, insomma, bisogno di quel progetto industriale che non c’è mai stato. Anche quello venduto per tale nel 2004, approvato con quell’obbrobrio di legge che era la n. 11/2004, altro non era che un modesto atto ricognitivo fine a se stesso.
Non si arriverà da alcuna parte senza un programma che materializzi una riforma strutturale che trasformi la sanità da un diritto segnatamente teorico ad un diritto finalmente goduto dalla collettività.
A fronte di tutto ciò, che caratterizza il nostro sistema della salute, le «invenzioni» di una giovane e inesperta ministra – che si lascia condizionare da fantasmi del passato, all’uopo rigenerati per fare ciò che non sono mai stati (esperti di sanità nell’interesse collettivo), nobilitati perché messi, per l’occasione, a collaborare con servitori dello Stato di chiara onestà e abnegazione – servono a poco o nulla.
Da qui, il decreto Grillo venduto per quello che non è. Finanche lo sblocco delle assunzioni si tradurrà in un bluff, quantomeno nella forma utilizzata nella versione convertita (art. 11, c. 4-ter), dal momento che – piuttosto che essere individuato come misura a regime che accompagnasse la ricostruzione della Calabria della salute fondata su chiaro programma di rinnovamento – si traduce in un mero differimento temporale nel senso di autorizzare a procedere alle assunzioni (quali?) a termine e solo per l’occasione.
La forma adottata potrebbe tra l’altro non abilitare ex se il commissario ad acta a disporre autonomamente sulle assunzioni occorrenti. Lo impedirebbe l’ineludibile principio dell’equilibrio di bilancio e la sua indifferibile sostenibilità.
*docente Unical

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