Sabato scorso le tre sigle sindacali nazionali hanno scelto Reggio Calabria per una manifestazione unitaria allo scopo di sollecitare “lavoro e dignità” per i cittadini del Sud.
Poche settimane prima il Consiglio dei Ministri aveva scelto, per la prima volta nella storia repubblicana, Reggio Calabria per una riunione “fuori le mura”. Anche se la gaffe è stata marchiana se, come si dice, il cerimoniale di Palazzo Chigi si è dimenticato di invitare il presidente della Regione.
Ovviamente liberi di scegliere il luogo. Lascia l’amaro in bocca quando, a distanza di giorni, si sceglie la stessa città per un’altra importante occasione. Nulla contro Reggio Calabria s’intende, ma il sospetto è che Catanzaro conti poco nonostante sia il capoluogo della Calabria, dove ha sede il Governo regionale che dispone di un’ampia struttura moderna. Non averla tenuta in considerazione può significare persino privarla dell’autorità connessa alla sua funzione. Si dirà: così dicendo si alimentano quei retaggi che appartengono al passato. Può anche essere, ma allora perché non ricordarsene per tempo? Una considerazione che veniva fatta in questi giorni era questa: è come se la Commissione europea decidesse di rendere una visita all’Italia e, invece che a Roma, si reca a Milano.
Come sempre accade, il tentativo di provare a dare una spiegazione finisce sempre per farla apparire pleonastica. Il riferimento è all’affermazione che la manifestazione sindacale si è svolta in uno dei territori tra i più poveri del Paese, dove manca il lavoro e la sanità è allo sbando. Ci sarebbe da dire che se questo è stato veramente il movente ci sarebbe stata un’antologia di luoghi su cui scegliere.
È anche vero che in Calabria è più facile immaginare la fine del mondo, piuttosto che la fine dei bisogni che caratterizzano la maggior parte delle famiglie. Una condizione che si spinge oltre ogni ragionevole ipotesi; che ha provocato e continua a determinare piaghe insanabili nel tessuto sociale e i cui effetti continuano ad essere sotto gli occhi di tutti: un vero campo di battaglia per contenere l’epidemia più grande della storia dell’Europa: la disoccupazione!
Reggio Calabria, al tempo dei “moti”, ha cercato proprio di difendere il diritto di manifestare il disagio: l’economia che andava e continua ad andare male; la disoccupazione, specie quella giovanile, che aumenta; la povertà, sempre più diffusa, la migrazione. Furono queste le cause della protesta che coinvolse la popolazione. Fu una ribellione di popolo contro il sistema e contro il Governo che non ascoltava e non dava risposte alle istanze del Sud arretrato. Un po’ come quello che accade oggi. Allora, però, costò sei morti e centinaia di feriti.
Non vi furono vittime, venti anni prima, quando toccò a Catanzaro protestare per la scelta del capoluogo di regione che era caduta su Reggio Calabria.
Anche quella fu una guerra tra poveri che non accenna a placarsi e, anche in quella occasione, non per responsabilità dei calabresi ma di soggetti terzi.
Se solo si riuscisse ad evitare lotte intestine, anacronistiche contrapposizioni territoriali e ci ritrovassimo, invece, uniti nell’individuare e sostenere le scelte di fondo per una economia sostenibile della Calabria; se riuscissimo a intendere quale copertura offriamo agli opportunisti del Nord, dimostrando che nessuno intende da queste parti convivere con la delinquenza organizzata che drena risorse che sono di tutti, la Calabria potrebbe essere una regione tra le più avanzate e ricche d’Europa. Cominciamo a far sentire il fiato sul collo alla classe politica che ci amministra, sottolineando quali sono i doveri della rappresentanza, i valori dell’onestà e dell’appartenenza. Daremmo un segnale di speranza ai tanti giovani disoccupati che rimangono in regione e a quelli che sono andati via dalla loro terra per trovare di che vivere. Solo dopo si potrà pretendere che per ogni centesimo stanziato per il Centro-Nord, altrettanto venga speso per il Sud e per la Calabria.
*giornalista
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