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«Ecco perché non c'è paragone tra i due “Capitani”»

di Maurizio Alfano*

Pubblicato il: 28/06/2019 – 10:51
«Ecco perché non c'è paragone tra i due “Capitani”»

Proviamo a vedere le cose da un’altra prospettiva. Proviamo a guardare le cose dall’alto come fossimo degli albatros. Già, degli albatros, che hanno un’apertura alare tra le più grandi al mondo, cavalcano per questo i venti degli oceani, a planare senza posa per ore e senza un battito d’ali. Ecco, questi uccelli oggetto della tesi della Capitana Carola rappresentano credo parte del suo carattere. Un’apertura mentale che non ha confini, come cavalcare le onde del mare, fermarsi lì dove ce n’è bisogno e poi riprendere la rotta per arrivare a terra e mettere in salvo vite umane che il mare stava al contrario per fagocitare.
Una donna capace di rompere senza indugio ogni barriera, restrizione ideologica che voglia fermare, bloccare, dividere ciò che per sua stessa natura nasce per stare unito, il genere umano. Una donna abituata a bordo delle navi rompi ghiaccio a credere nella forza della natura sempre più messa a rischio per i violenti mutamenti climatici in atto che determinano spostamenti migratori importanti e che per questo fa una scelta di vita. Stare della parte dei più deboli, stare sul mare. Una donna, una Capitana che arriva al largo delle coste italiane e che scompiglia un Governo con una semplice dichiarazione – «non posso più aspettare, la situazione a bordo per i 42 migranti è diventata grave, approdo a Lampedusa». Poche righe, ferme, determinate che aprono alla balbuzie della politica italiana e di alcuni ministri che si sentono per prima cosa dileggiati da una donna. Questo mai. Poi si occupa di migranti, ancora peggio. Fermatela, arrestatela, imprigionatela. Ecco la parte maschile, quella che conta in questo Governo, altro non sa rispondere e aggiunge: come può una sbruffoncella osare sfidare un ministro sul proprio suolo patrio.
Credo intanto che qualcuno abbia sbagliato sostantivo nel definire la Capitana della Sea Watch una sbruffoncella. Partiamo dalla definizione della Treccani. Sbruffone, persona che si dà delle arie, che parla e agisce ostentando capacità e qualità che in realtà non possiede, o esagera nel vantarsi di imprese che in realtà non ha compiuto e non sarebbe in grado di compiere. Non mi pare sia il caso della Capitana Carola che al contrario può vantarsi di avere difeso i principi dell’umanità. E se dalle parole, dalle frasi, passassimo ai numeri anche questi sarebbero impietosi. Carola sottrae da morte sicura 42 vite umane, dall’altra parte c’è chi sottrae 49 milioni di euro al bene comune.
Né mi pare si possa dire che questa donna sia una fanfarona, spaccona, ovvero possano su di lei posarsi ulteriori sinonimi di quel sbruffoncella che hanno clamorosamente di contro portato alla luce anche quali sono i sentimenti nei confronti delle donne oltre che dei migranti di pezzi importanti di questo Governo. Tutti, anch’io tra questi, fino a ieri sera ero tutto concentrato a descrivere oltre il valore del gesto di una Capitana che non abbandona né la nave e in questo caso il suo equipaggio, migranti compresi, a rincorrere indirettamente una comparazione tra i due Capitani, che in realtà non c’è, non esiste. È talmente abissale la differenza tra i due che la questione non si pone. Una è armata d’amore, l’altro d’odio. Una è zeppa di conoscenze, l’altro di pregiudizi e qui finisce ogni raffronto.
Ma la questione sottile, meno evidente, è che in tanti abbiamo corso il rischio di alimentare una comparazione di genere come se una donna non possa essere capace di assumere comandi, di prendere decisioni, di dichiarare guerra alle ingiustizie. Ecco, quanto sta accadendo al largo delle coste di Lampedusa oltre al riprovevole e rinnovato atteggiamento discriminatorio nei confronti dei migranti, svela come questo Paese non solo in termini di accoglienza abbia fatto enormi passi indietro, ma anche sulla questione di genere – ovvero come possa essere naturale risiedere di contro in una donna tutto quello che Carola oggi oppone e incarna. Tutto questo, questo Paese, lo sta dimenticando.
Resistere, ecco allora la parola chiave alla quale la Capitana Carola ci inchioda e rimanda. Resistere alla barbarie di ritenere chi salva vite umane una sorta di delinquente del mare. Resistere alla tentazione di un mondo che nei nazionalismi nasconde la percezione della donna regredire a ruolo di comparsa. Resistere alla tentazione di forme pericolose di giustizia sommaria, di leggi fuorilegge che stigmatizzano l’amore ridefinendolo nell’odio per l’altro diverso da noi. Ma come spesso mi dice una mia cara amica, bisogna essere capaci di amare oltre se stessi. Avere questa capacità, non usuale, è davvero importante, è merce rara, ma è l’unica strada che può portare a riconoscere il vero valore dell’altro, compagno o migrante che sia, poiché se si è capaci di ciò, allora come la Capitana Carola sei capace di andare oltre un blocco navale, sei capace di guardare oltre, di rifletterti nella speranza che per definizione appartiene a tutti e che nessuno può violare. Se si è capace di amare oltre se stessi si è capaci di non farsi accecare, di andare oltre i blocchi mentali, di aprire orizzonti inesplorati e per questo degni di essere conosciuti.
È uno scontro tra il restare umani e il mostrarsi disumani perbene. Uno scontro che dovrebbe aprire dentro ad ognuno di noi, fin negli abissi del nostro animo, una battaglia interiore capace di farci prendere parte, di farci prendere posizione, di dire da quale parte del terreno di scontro ci si schiera. Io dubbi non ho. Sto in mare, sto con la Capitana, sto con i miei simili e deploro chi dissimula i fatti, travisa la realtà al mero scopo di nascondere la propria incapacità di amare oltre se stessi, oltre i nazionalismi, oltre i confini. Benvenuta nel nostro Paese Capitana Carola, a tutto il tuo cosmopolita equipaggio e ad ognuna delle quarantadue vite umane che hai tratto in salvo e che ora tocca a noi difendere.

*Ricercatore e studioso dei fenomeni migratori

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