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Dalla lupara al “mondo di mezzo”, così la ’ndrangheta ha messo radici a Roma

Dalle indagini della Divisione anticrimine, che ha portato al sequestro da 120 milioni nella Capitale, emerge la storia dei diversi clan del Reggino che fin dagli anni ’80 hanno trapiantato il lor…

Pubblicato il: 05/07/2019 – 7:28
Dalla lupara al “mondo di mezzo”, così la ’ndrangheta ha messo radici a Roma

di Michele Presta
ROMA Le famiglie di ’ndrangheta attive nella provincia di Reggio Calabria quando sono emigrate verso il Nord nella valigia di cartone hanno preferito mettere i rapporti più che gli effetti personali. L’esodo dalla terra che è la punta dello Stivale verso le grandi metropoli italiane non è un fenomeno recente. Nelle cittadine della periferia romana i Morabito, gli Scriva, i Mollica sono arrivati dagli inizi degli anni 80. Come abbiano negli anni trasferito non solo gli affetti ma anche gli interessi è messo nero su bianco nelle carte dell’inchiesta condotta dai poliziotti della Divisione anticrimine di Roma, diretta da Angela Altamura, che ha portato al sequestro di beni, aziende e conti correnti bancari per un valore di 120 milioni di euro nei confronti di Antonio Placido Scriva, Domenico Morabito, Domenico Antonio Mollica, e Salvatore Ligato (qui i dettagli).
IL PATTO DI SANGUE Nel decreto di sequestro redatto dai giudici del Tribunale di Roma, prima di arrivare al lungo elenco di beni, tra cui anche un fondo patrimoniale da 100mila euro finanziato dalla Regione Lazio, i magistrati hanno ripercorso l’arrivo delle famiglie di ’ndrangheta dal Sud della Calabria al Nord di Roma. Nella città capitolina, infatti, ripercorrendo la storia criminale dei soggetti destinatari del sequestro i poliziotti sono riusciti ad accertare alcuni elementi che sono alla base dell’indagine durata quasi un anno. Per prima cosa i rapporti, quelli di sangue e di soldi. «I cinque soggetti, oltre ad essere tra loro legati da vincoli di parentela, sono indissolubilmente legati da vaste cointeressenze economiche messe in piedi al fine di reinvestire i notevoli capitali di provenienza delittuosa, costituendo, così un inscindibile unicum criminale ed economico», annotano i giudici nel decreto di sequestro. La storia è scandita da una serie di rapporti, strette di mano e amicizie che partono dall’inizio degli anni ottanta in piena concomitanza della “Faida di Motticella” fino ad arrivare alle più recenti indagini sul “Mondo di mezzo” di “Mafia Capitale”.
LE FAMIGLIE NELLE BORGATE I soggetti destinatari del sequestro sono arrivati a Roma più di trent’anni fa, subito dopo la guerra di ’ndrangheta nota “di Motticella” che determinò la morte di circa cinquanta persone e venne combattuta dagli Scriva-Palamara-Speranza contro i Mollica-Morabito. Il sangue che scorre nella periferia reggina fa rizzare le antenne dei boss che intuiscono come lo stesso modello potesse essere replicabile anche nella periferia romana. Tiberina, Flaminia, Morlupo, Sant’Oreste e Castelnuovo, secondo gli inquirenti, presentavano «condizioni “vantaggiose” per il radicamento della consorteria, rimanendo comunque in costante collegamento con la loro terra d’origine». Il sacco di Roma veniva orchestrato mentre a Reggio Calabria i De Stefano-Tegano-Libri da un lato e i Serraino-Condello-Rosmini-Imerti dall’altro davano sfogo ad una guerra sanguinosa durante la quale persero la vita anche l’ex presidente delle Ferrovie dello Stato Lodovico Ligato e il magistrato Antonino Scopelliti. «In questo scenario criminale i De Stefano-Tegano e Libri si allearono con Giuseppe Morabito alias “Tiradirittu”. Una alleanza mafiosa che venne confessata nel corso di diversi interrogatori con i collaboratori di giustizia, su tutti, Filippo Barreca e Vittorio Jerinò», osservano i giudici. Ritornando ai rapporti familiari, secondo i magistrati non può passare inosservato come tutti i destinatari del provvedimento di sequestro abbiano legami strettissimi. Antonio Placido Scriva è cognato di Domenico Mollica, di cui ha sposato la sorella. Un legame che li porta entrambi alle dirette conoscenze di Saverio Morabito, condannato per associazione di tipo mafioso nel procedimento “Crimine”. I fratelli Mollica sono i figli di Gioacchino, ucciso nel 1986 a Scrisà di Motticella. Ma Domenico Antonio Mollica è anche cognato di Domenico Morabito in quanto sposato con la sorella Maria. E Domenico Morabito è anche cugino di Placido Antonio Scriva. Il capo carismatico dei Morabito, Salvatore, era coniugato con Pasqualina Palamara, la cui sorella Caterina è madre di Placido Antonio Scriva (entrambe sono sorelle di Natale Palamara alias “u Brusciatu”). E poi tocca a Salvatore Ligato, cognato di Placido Antonio Scriva.
DAI COLPI DI LUPARA AL MONDO DI MEZZO Mentre gli sforzi dei magistrati e delle forze dell’ordine erano tutti concentrati in Calabria, la possibilità di entrare nel Lazio da parte della consorteria criminale «ha consentito loro di poter agire in modo meno visibile, ma comunque continuare a dedicarsi per un verso alla commissione di attività delittuose tipiche delle associazioni mafiose quali l’usura, il racket delle estorsioni ed il traffico di stupefacenti. Il tutto mutuando ambiti criminali, schemi e condotte adottati nei territori d’origine che costituiscono il tratto identitario della loro forza», spiegano i giudici. È questo il nucleo delle tante operazioni di polizia che si sono susseguite prima ancora del 1992 (anno di svolta nella legislazione antimafia con l’introduzione delle direzioni distrettuali). «A Rignano Flaminio all’atto della scarcerazione decise di soggiornare Saverio Mollica capo del clan, fratello dell’odierno proposto, per espiare la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno adottata nei suoi confronti dal tribunale di Reggio Calabria nel 1987 salvo poi rendersi latitante».
Nel 1994 un personaggio di spicco della cosca Morabito, Santoro Maviglia, ricercato perché responsabile di associazione di tipo mafioso e traffico di stupefacenti veniva arrestato di carabinieri in una villa della periferia della capitale. Quattro mesi dopo (11 dicembre) venivano arrestati per estorsione continuata e aggravata anche Placido Antonio Scriva e Domenico Morabito che taglieggiavano i commercianti di Capena e Morlupo. Con le indagini “Tuareg”, “Fiore Calabro”, “Incantesimo” si capisce che a Roma la ’ndrangheta c’è, se ne accorgono soprattutto i commercianti che, convinti di affidarsi a benefattori, nel giro di poco perdono le loro imprese. «Con l’operazione “Incantesimo” si certifica la presenza stabile della ’ndrangheta a Roma nei comuni di Morlupo, Castel Nuovo di Porto, Rignano Flaminio, Riano e Capena». Consorterie riconducibili a «Salvatore Ligato, i fratelli Scriva e Mollica insieme ai Morabito e da una delegazione della loro famiglia – scrivono i giudici del decreto di sequestro – capeggiata proprio da Giuseppe, classe 1934 noto come Peppe “u Tiradrittu”. I predetti erano riusciti ad entrare nel tessuto economico della provincia di Roma acquisendo tramite prestanome: bar, forni, supermercati, imprese edili, società inerenti alla distribuzione dei fiori, aziende di compro oro». Insomma, i gruppi avevano diversificato il portafogli, ma soprattutto avevano iniziato a coltivare rapporti con il mondo politico. «Alcuni dei proposti – spiegano i giudici – avevano contatti stretti con l’onorevole Nicola Galloro, con l’ex comandante dei vigili urbani di Roma, Angelo Giuliani e con alcuni vigili urbani del comune di Rignano Flaminio. E non rimangono fuori neanche dalla arcinota indagine “Mondo di Mezzo”, nel cui ambito sono emersi gli interessi di Salvatore Buzzi nel vincere alcuni appalti a nord di Roma». (m.presta@corrierecal.it)

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