Qualche giorno fa mi è capitato di imbattermi in uno scritto del già prefetto di Reggio Calabria, da alcune settimane collocato alla guida del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale. L’intento dell’estensore della nota era di biasimare chi persegue l’obiettivo di modificare la normativa sullo scioglimento dei Consigli comunali. Ciò che colpiva, tuttavia, era la tesi che veniva propugnata: esisterebbe una netta e invalicabile separazione tra interpretazione e applicazione della legge. Pertanto, stando a quanto affermato, ai funzionari dello Stato, quale egli è, non spetterebbe l’interpretazione delle norme, ma solo la loro pratica esecuzione.
Questa visione, mi pare, francamente, manichea. Sarebbe agevole rispondere a tale impostazione, con una considerazione ovvia, banale: l’attuazione della legge è essa stessa interpretazione. Credo, tuttavia, che sia utile spendere qualche altra parola in merito.
Assecondare tale argomentazioni, significherebbe avere una visione miope del Diritto, ma, soprattutto, dei Diritti. Infatti, se l’assunto che sostiene di Bari avrebbe senso, non servirebbero avvocati, magistrati, altri operatori del Diritto e – purtroppo per lui – nemmeno i prefetti. Basterebbero tanti umanoidi, adeguatamente programmati all’esecuzione di un compitino e il gioco sarebbe fatto. Sarebbe sufficiente un’applicazione del cellulare.
Eppure, a lui che di citazioni del Magistero della Chiesa Cattolica fa incetta, evidentemente deve essere sfuggito il n. 407 del Compendio della Dottrina Sociale, laddove si legge: «Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del «bene comune» come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su tali valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità».
In una moderna civiltà democratica, improntata su principi costituzionali di libertà, corresponsabilità, solidarietà sociale e sussidiarietà, l’interpretazione delle norme, da parte di chi è chiamato quotidianamente ad applicarle, è elemento vitale per la vita della società. Ciò è ancor più vero nell’ambito della disciplina sullo scioglimento dei Consigli comunali, che si caratterizza per un altissimo livello di discrezionalità, riconosciuta alle amministrazioni procedenti. Tale evidenza è ampiamente dimostrata dalla recente esperienza in provincia di Reggio Calabria. Il prefetto Claudio Sammartino, immediato predecessore del redattore dell’articolo, avendo scelto la strada di una interpretazione della legge meno avversa ai Comuni e più dialogante con questi, è stato protagonista di cinque soli scioglimenti, due dei quali ereditati e gli altri susseguenti ad indagini penali. Di Bari, invece, si è caratterizzato per un uso amplissimo dello strumento dissolutorio, arrivando a collezionare ben quattordici scioglimenti, con un invio massiccio di commissioni di indagine. Delle due l’una: o nei due anni di Sammartino la ‘ndrangheta era sparita oppure la norma è stata utilizzata da chi gli è succeduto con particolare abnegazione. Da questa semplice circostanza emerge, lampante, la contraddizione alla tesi della netta separazione tra l’attività dell’interprete e di quella dell’esecutore della legge.
Ma la “teoria di Bari” non coglie nel segno per un ulteriore motivo. Anche volendo tenere per buona questa dicotomia tra esegesi ed esecuzione, mi chiedo: dove è scritto nell’attuale art. 143 Tuel che il diritto di difesa degli “indagati” deve essere compromesso, fino ad essere negato? Dove è contenuto il divieto di avviare un dialogo costruttivo con gli Amministratori interessati dal sospetto? Dove è previsto, che sulla base di un semplice verbale delle forze di Polizia, si debba sempre e comunque avviare l’attività ispettiva? Dove è stabilito che il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza non debba svolgere un approfondimento serio e penetrante sulle risultanze della commissione d’accesso e che alle riunioni di questo non possa partecipare il sindaco dell’Ente coinvolto? Dove è sancito che la commissione di indagine debba trattare come fantasmi gli amministratori del Comune nel quale è inviata?
A tutte queste domande, a legislazione invariata, sarebbe bello rispondesse qualcuno.
*ex sindaco di Marina di Gioiosa Ionica
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