Gli uomini d’apparato, così come certi “cerchi magici”, sono sempre gli ultimi a capire e intercettare le novità e non è facile piegare la loro resistenza ad affrontare il necessario cambiamento. Nel caso calabrese, in particolare, ciò diventa incapacità ad affrontare in modo innovativo una ormai prossima campagna elettorale che non sia l’ennesima mortificazione del tentativo di rialzare la testa dopo le sonore e inoppugnabili sconfitte degli ultimi tempi.
L’illusione di potere bene amministrare da soli, senza governare le connessioni nel complesso socio-istituzionale, ha fomentato un’immagine accentratrice e solipsistica della gestione. Inutile negare a noi stessi, dirigenti e amministratori del Pd, di essere diventati poco attrattivi come partito, malgrado la timida ripresa delle europee, attribuibile forse più alla delusione verso l’anonima compagine pentastellata che alla costruzione di un progetto politico davvero nuovo e convincente.
Ecco perché, se il Pd vuole tornare a parlare agli astenuti, ai giovani e alle donne su lavoro, ambiente e cultura, farà bene a richiamare qualche idea universale, come fu l’eurocomunismo che valse il “sorpasso” berlingueriano, ovvero ad accogliere gli appelli bergogliani ad un ambientalismo più profondo.
E nello stesso tempo farà bene a rifiutare i duelli e le conte a tavolino dei soliti congressi pilotati e delle primarie farlocche, specie in Calabria dove, invece di avviare un visibile e coraggioso rinnovamento, si pensa di poter ricorrere a vani espedienti come le liste fintamente civiche – che in realtà nascondono impudichi trasversalismi e che portano a mere “vittorie di Pirro” – o persino ai consiglieri “ventriloqui” di altri impresentabili.
Quella che si sta concludendo con una lenta agonia è stata una tormentata consiliatura regionale, condizionata fin dall’inizio da indagini giudiziarie sui rimborsi che hanno portato alla scelta di soluzioni “tecniche” di governabilità e, di fatto, a “un uomo solo al comando”, senza l’ausilio del partito, che si è anzi preferito mantenere sempre soggiogato e poco autonomo (e dunque poco credibile).
Ma il buco nero più eclatante di questi ultimi anni di governo regionale a noi sembra la mancata approvazione di una legge elettorale sulla parità di genere e cioè su una materia delicata che riguarda metà elettorato da recuperare, quello femminile, da sempre privo di una propria rappresentanza diretta nell’assemblea legislativa regionale e piuttosto da avvicinare alle dinamiche istituzionali, come linfa nuova e rigenerante di ambiente asfittici e largamente percepiti come autoreferenziali. Sono mancati in quella fase coraggio e lungimiranza, preferendo rimandare a fine legislatura una discussione che andava affrontata all’inizio, quando i numeri erano più stabili e i destini personali meno incerti e fragili.
Come può sentirsi e apparire “inclusivo” un partito che non rinnova e non integra mai i suoi quadri con quelli onusti di battaglie storiche magari indimenticabili ma ormai esaurite? O ci si aspetta forse una metaforica imitazione dei cannibali che – come insegna l’antropologia strutturale – mangiano il cervello degli avversari per assorbirne tutta l’esperienza e la conoscenza? Come è stato ricordato in queste ore a proposito della grave crisi del Csm i moralisti dicono sempre “no” agli altri ma l’uomo morale dice “no” a sé stesso. Papa Ratzinger insegna come consentire a una comunità dei passi avanti, facendo un personale passo indietro, cambiando il proprio ruolo.
È vero che, in Calabria, il campo della destra pare diviso e belligerante, ma per provare a vincere non basta scommettere sulle disgrazie altrui, occorre costruire una forza nuova, un progetto politico partecipato e credibile, meno litigioso e fratricida, finalmente aperto ai contributi di tutti, senza pre-costituzione di nomi e difensivo di apparati ormai percepiti come castali e in posizione di auto incensazione. Anche perché, come insegnano le altre Regioni andate di recente al voto, dal Piemonte alla Basilicata alla Sardegna, la destra, pur litigiosa, si presenta alla fine unita e vince Regioni da noi precedentemente governate. Un progetto capace di dialogare con Roma con una sola, autorevole, voce, coesa e fattiva, non per screditarsi reciprocamente o difendere posizioni di campanile, ma per affermare due sole, non più eludibili, priorità: il diritto alla salute e quello al lavoro, ancora oggi mortificati e offesi in maniera vergognosa nella nostra regione.
Ecco allora che la soluzione per uscire dall’impasse potrebbe risiedere nella costruzione di un progetto inclusivo di tutte le forze partitiche e autenticamente civiche che si riconoscono nel centrosinistra, con un’articolazione ampia di liste che consenta a chiunque di misurarsi e di contribuire a rilanciare la politica riformista nella nostra regione. Questa nuova articolazione, ampia e plurale, può far si che la partita regionale possa considerarsi ancora aperta e che il contributo di ognuno possa avere giusto peso e riconoscibilità.
Bisogna ricordare che né singole personalità né singole forze politiche bastano a se stesse. La politica che intenda incidere sulla realtà, se non vuole essere commissariata dalla magistratura, deve aprire il campo alle novità e deve dimostrare di essere in grado autonomamente di trovare le soluzioni per rinnovare se stessa e andare incontro ai bisogni degli elettori che sono e devono essere i principali e inflessibili giudici del suo operato.
Ci vuole un partito davvero “nuovo” per raccogliere le sfide del cambiamento e superare lo scetticismo, ormai marmoreo, dell’elettorato di centrosinistra.
*Componente Assemblea nazionale PD
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