di Sergio Pelaia
Per riuscire ad essere dei fantasmi, in un grande Paese del Sudamerica, servono tanti soldi. Che non mancavano a Patrick e Nicola Assisi, rimasti fantasmi per 5 anni e catturati all’alba di lunedì in Brasile (qui la notizia). Originario di Grimaldi, nel Cosentino, ma emigrato nel Canavese, il 61enne è considerato uno dei broker più importanti nel panorama del narcotraffico mondiale, legato a doppio filo alle famiglie di ‘ndrangheta radicate in Piemonte e a clan di serie A del Reggino. Assisi e il figlio 33enne sono stati presi a Praia Grande, nello Stato di San Paolo, in un lussuoso alloggio composto da tre appartamenti, all’ultimo piano di un palazzo che era sorvegliato da un articolato sistema di videosorveglianza. A disposizione avevano due pistole, 1 kg di cocaina e una macchina per replicare sigilli per container. Oltre a una quantità tale di soldi che gli uomini della Polizia federale brasiliana – che li hanno scovati grazie alla collaborazione investigativa con i carabinieri e la Dda di Torino – invece che contarli hanno dovuto pesarli: 20 kg di banconote trovati nascosti, assieme alla cocaina, in una camera segreta protetta da una falsa parete. Le pistole, invece, erano in un vano del box di controllo della piscina. Inseriti nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi, padre e figlio sono destinatari di un provvedimento restrittivo perché ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, e Nicola Assisi deve anche scontare una pena definitiva di 14 anni. Probabilmente erano pronti a scappare.
LA SCALATA ALL’OMBRA DEL BOSS DI PLATÌ Nicola Assisi è stato residente per molti anni a San Giusto Canavese, dove nel 2011 gli fu confiscata una lussuosa villa – che qualcuno tentò di far saltare in aria un anno fa con due bombole di gas – nel cui giardino furono ritrovati 4 milioni di euro. Ma il salto di qualità lo aveva fatto quando, da vice di Pasquale Marando, che fu il primo a fare accordi direttamente con i cartelli sudamericani, ereditò alleati e compratori del superboss di Platì che venne ucciso in una faida familiare presumibilmente nel gennaio del 2002 (il corpo non è stato mai rinvenuto). Nel 1997 la Dia di Torino beccò Assisi mentre aspettava un carico di 200 chili di coca, e lui cercò di rubare una volante dando un pugno a un poliziotto. Il processo per quell’arresto andò avanti a lungo e, per il narcobroker di Grimaldi, nel 2007 arrivò la condanna definitiva: 14 anni che, almeno finora, non ha mai scontato. Dieci giorni prima della sentenza, infatti, fece perdere le sue tracce e per i sei anni successivi divenne davvero un fantasma.
Almeno fino al 2013, anno in cui, tra l’altro, fu arrestato a Bogotà un altro protagonista assoluto del narcotraffico mondiale di stampo calabrese, il sidernese Roberto «Bebè» Pannunzi, definito il «Pablo Escobar italiano» e poi condannato a 30 anni di galera su richiesta dell’allora procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri e del sostituto Simona Ferraiuolo.
IL LUSSO IN EUROPA E I CONTATTI IN SUDAMERICA A ricomparire sui radar nel 2013 non è Nicola Assisi, ma il figlio Patrick. Era a Torino per conto di suo padre, in un ristorante del centro a chiudere accordi con le cosche del Reggino. Gli Alvaro e gli Aquino si aggiudicavano la coca sudamericana mentre i finanzieri ascoltavano i loro discorsi. Scoprendo anche che la famiglia Assisi, ufficialmente senza reddito, viveva nel lusso: macchinoni, voli intercontinentali e una villa in affitto a Lisbona per l’estate a 10mila euro al mese.
In Sudamerica, poi, il “gruppo Assisi” aveva nel frattempo stretto rapporti con alcuni tra i gruppi criminali più pericolosi al mondo, come il Pcc (Premier comando capital) brasiliano. E nel “Narco Sur”, la parte più meridionale dell’America Latina, Assisi ricomparve nell’estate 2014: «Sono in Paraguay – dice a un collaboratore calabrese – per i telefoni e per lavoro. Vedete che sto preparando altro…». Gli inquirenti riuscirono a “craccare” i suoi sistemi di comunicazione e scoprirono come stesse inviando grandissimi quantitativi di coca in Italia. Iniziò così l’operazione “Pinocchio”, che riportò Assisi in manette il 27 agosto 2014. Nonostante il nome falso, non riuscì a sfuggire ai controlli dell’aeroporto di Lisbona, ma pagò la cauzione e gli furono dati i domiciliari. Mentre il suo avvocato riuscì a “disinnescare” la richiesta di estradizione partita dall’Italia, il giudice portoghese si convinse che non c’era pericolo di fuga e gli tolse il braccialetto elettronico. Risultato? Facile: Assisi scomparve di nuovo nel nulla. Un fantasma. Fino all’arresto di lunedì mattina a Praia Grande. (s.pelaia@corrierecal.it)
https://www.youtube.com/watch?time_continue=7&v=ctPCgmn7Ius
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