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«’Ndrangheta pericolosa per il futuro di Roma»

Nel report “Mafie nel Lazio” gli accordi tra clan, la «necessaria» pax mafiosa e la scelta delle cosche di diventare «visibili» e stabilizzarsi nella Capitale. L’inchiesta reggina sulle stragi e il…

Pubblicato il: 14/07/2019 – 19:46
«’Ndrangheta pericolosa per il futuro di Roma»

di Pablo Petrasso
«Roma rappresenta uno snodo importante per tutti gli affari leciti e illeciti: le organizzazioni criminali tradizionali, soprattutto ‘ndrangheta e camorra, da lungo tempo acquisiscono, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società ed esercizi commerciali nei quali impiegano ingenti risorse economiche provenienti da delitti». La Capitale d’Italia e del riciclaggio: questo secondo il rapporto “Mafie nel Lazio”, presentato nei giorni scorsi. Una «ragnatela», quella disegnata dai clan, «che sta avvolgendo intere zone e di cui è difficile accorgersi». Tuttavia il report ci prova. E descrive le logiche dell’espansione mafiosa, i suoi metodi, le sue caratteristiche. Prima fra tutte quella di «saper instaurare stabili relazioni con imprenditori, professionisti, esponenti del mondo finanziario ed economico di cui si avvalgono per stipulare affari e realizzare investimenti, alimentando così quel circuito di relazioni che potenzia la loro operatività».
A Roma e nel basso Lazio, «famiglie della camorra e cosche della ‘ndrangheta vi stanno esportando interi “affari”, delocalizzando e più spesso replicandovi attività quali, in particolare, la commercializzazione delle sostanze stupefacenti ovvero la gestione delle sale gioco e delle slot machines». E per farlo hanno bisogno di coprire il business con una pax mafiosa che il rapporto considera «necessaria», perché «come dimostrano atti giudiziari che riguardano Cosa nostra e ‘ndrangheta, in particolar modo, la Capitale è il luogo privilegiato per un dialogo di cui ancora poco sappiamo ma che da decenni si svolge in questo scenario in cui è possibile mimetizzare gli affari, i summit, gli accordi talvolta realizzati con emissari che non appartengono alle rispettive organizzazioni criminali».
LA ‘NDRANGHETA VISIBILE La presenza delle famiglie calabresi a Roma «è una realtà da decenni», spiegava nel 2016 il procuratore aggiunto Michele Prestipino intervenendo alla presentazione del II Rapporto “Mafie nel Lazio”. Ma se all’inizio «spesso una mano mafiosa non si vedeva, non voleva neppure essere presente per il timore di essere riconosciuta», nel corso degli anni è emerso un dato nuovo. «Per la prima volta – parla ancora Prestipino – abbiamo visto che queste attività, molte sale giochi, moltissime slot machine, vengono gestite a Roma da personaggi inseriti organicamente nelle strutture criminali mafiose. Personaggi che potrebbero stare a Rosarno a Gioia Tauro e gestire direttamente da lì ma che invece sono stabilizzate su Roma, sono il punto visibile di collegamento e di riferimento degli interessi di quelle famiglie, di quel pezzi di organizzazione criminale sul territorio». È una sorta di stabilizzazione della presenza ‘ndranghetistica. Un cambiamento di paradigma. Questi pezzi di ‘ndrangheta «si sono dunque stabilizzati a Roma, spostando nuclei fissi per gestire più di un affare sulla piazza romana e tentare una interlocuzione stabile con il vasto contesto criminale della Capitale. (…) Secondo gli investigatori, non vi è attualmente prova dell’esistenza di locali di ‘ndrangheta all’interno della città di Roma ma al contempo la presenza e l’operatività delle cosche calabresi nella Capitale è fra le più insidiose per il futuro della città». Secondo le analisi degli esperti – con frequenti riferimenti all’inchiesta “Alchemia” della Dda di Reggio Calabria, che racconta l’infiltrazione nell’economia legale di un imprenditore ritenuto legato al clan Gullace – «i punti di riferimento delle ‘ndrine in città sono numerosi. La loro “caratura criminale” è sempre piuttosto elevata: trafficano droga, investono in attività commerciali, nella ristorazione, nella intermediazione e compravendita immobiliare, sono presenti con una “riserva di violenza” riconosciuta dal tessuto socio-economico, sono attivi anche con intermediari nel prestito a tasso usuraio. Sviluppano il loro potere coordinati dalla “casa madre” ma senza assumere le modalità di insediamento della “locale”, formazione criminale che invece è presente e operativa in provincia di Roma». Flessibile e pericolosa, la ‘ndrangheta a Roma si è adattata al contesto e alla coesistenza con altre organizzazioni criminali, «mantenendo fermi, però, logiche e rituali di affiliazione».
IL RUOLO DEL CLAN FILIPPONE Un approfondimento a parte, “Mafie nel Lazio” lo dedica al ruolo rivestito nella Capitale dal clan Filippone di Melicucco, «punto di riferimento per narcotraffico di importanti sodalizi criminali nella Capitale nell’area di Montespaccato, come la famiglia Sgambati, il clan Casamonica, il gruppo Esposito radicato a Nettuno e San Basilio e altri clan della ‘ndrangheta come i Gallace da decenni radicati in Anzio, Nettuno ed Ardea». La riconsiderazione è legata al coinvolgimento della “famiglia” nel inchiesta “’Ndrangheta stragista”. I compiti svolti nel progetto criminale ipotizzato dalla Dda di Reggio Calabria per destabilizzare il Paese, anche con modalità terroristiche, portano a una rivisitazione del peso di questa cosa nella Capitale alla luce degli accordi tra mafie per «rompere con la classe politica e colpire le istituzioni e la società civile» tra il 1993 e il 1994. Rileggendo il provvedimento del Tribunale di Roma che ha portato al sequestro di numerosi beni ai Filippone, il dossier ricorda che «suocero e zio acquisito del Filippone si sono trasferiti nella Capitale alle fine degli anni 90 da Melicucco, si sono insediati in via Borgo Pio, Proprio in questa zona all’ombra di San Pietro, i due costituiranno il loro quartier generale procedendo all’acquisto di attività commerciali, particolarmente nel settore bar ristorazione e richiamando i propri congiunti dalla Calabria, con i quali, in breve tempo, colonizzeranno la zona intorno alla città del Vaticano». Il suocero, inoltre, «mantiene a Roma contatti con esponenti apicali della ‘ndrangheta come Vincenzo Alvaro della cosa di Sinopoli».
IL PENTITO: «CHI HA LA DROGA FA QUELLO CHE VUOLE» È un collaboratore di giustizia, che il rapporto individua in Giuseppe Trintino, a inquadrare la figura di Francesco Filippone (e, più in generale, come “funziona” la criminalità a Roma): «È sempre stato vicino ai Bellocco – dichiara il collaboratore ai magistrati Nadia Plastina e Giovanni Musarò della Dda di Roma in uno stralcio riportato da “Mafie nel Lazio” –. I Bellocco fornivano la merce a lui e lui aveva le persone qui a Roma che vendevano la roba. Andava anche in Olanda e in Belgio. Filippone era in grado di movimentare grosse partite di droga. Filippone si sposta su Roma, unitamente ai Bellocco. Chi ha la droga a Roma fa quello che vuole. I calabresi hanno sempre la droga. Alcune volte ci sono dei conflitti, i romani hanno le piazze qua a Roma e i calabresi li riforniscono». Il sillogismo è semplice. I calabresi, nella Capitale, fanno ciò che vogliono perché hanno la droga. Il racconto prosegue sui traffici di armi che la ‘ndrangheta attua nella Capitale. «Armi ne vedevo molte – afferma. Erano pistole ecc. Loro, il gruppo dei Calabresi, Bellocco, Mazzullo, avevano le armi a Roma pronte per essere usate. Su Roma la ‘ndrangheta tratta solo armi e stupefacenti. In Calabria anche estorsioni. Bellocco ha fatto mandare le pistole al porto di Genova. […] almeno una volta l’anno le puliscono. Le tenevano qui in maniera preventiva erano tenute anche per poter essere utilizzate altrove. È meglio tenere le armi a Roma anziché in Calabria, dove subivamo più perquisizioni». (p.petrasso@corrierecal.it)

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