A meno di clamorosi ripensamenti degli italiani, il destino di Matteo Salvini sembra saldamente ancorato al Movimento 5 Stelle almeno fino alla scadenza naturale del mandato. Non tanto per le sue capacità politiche, quanto perché il segretario della Lega dimostra di essere un abile tessitore di tele e un superlativo imbonitore della credulità popolare, capace di attirare l’attenzione come si conviene a quanti preferiscono esercitare l’antica “arte della scagliola”. Peraltro Salvini è sostenuto dai “colonnelli” leghisti che, simili a “piazzisti”, fanno il controcanto per decantare i pregi della propria merce. Lo è a maggior ragione oggi dopo l’esplosione della vicenda dei “Rubli” che, se confermata dall’inchiesta giudiziaria aperta a Milano, quello che attualmente è un sospetto diventerebbe una tragedia per il Carroccio, circa i presunti finanziamenti segreti che si vogliono inviati da Mosca. Una vicenda che aggiunge comunque legna sul fuoco appiccato soprattutto dai leghisti in tre regioni del profondo Nord, nota come “autonomia differenziata”.
Se si fermassero improvvisamente le lancette dell’orologio, stante le forze in campo, non si vedrebbero alternative. L’ipotesi di un governo con Forza Italia e con Fratelli d’Italia appare come non percorribile soprattutto perché Salvini non intende cedere pezzi di potere a Berlusconi (l’esperimento Toti-Carfagna sembra avviato a grandi passi verso il tramonto perché non soddisfa l’ex Cavaliere), ma anche per via dei numeri che riducono sensibilmente il potere di contrattazione di FI così da rendere inconsistente il partito. Purtroppo per Berlusconi, la Lega si sente forte e difficilmente si adatterebbe alla sua volontà.
Salvini, consapevole che l’onda lunga dei suffragi determinata dal disagio degli italiani al Centro e al Sud può anche esaurirsi, capisce che un ritorno dentro i confini di percentuali modeste significherebbe il venir meno del potere che era riuscito a costruire. C’è anche da considerare che il segretario leghista non gradisce di stare nel pollaio in compagnia di un altro gallo. Ecco perché La Lega sembra “condannata”, almeno per il momento, a rimanere al desco con i 5 Stelle.
Guarda, però, con malcelata preoccupazione, alle “insidie” che un cambiamento di rotta del Partito democratico potrebbe comportare. Se Zingaretti e la sua squadra dovessero decidere di rimanere ancora per molto tempo fuori dalla porta di Palazzo Chigi oppure, superando le divisioni interne e i pregiudizi, volessero rafforzare la via dell’accordo con i 5 Stelle. Segnali ce ne sono; non tanti, ma sono significativi a cominciare dalle dichiarazioni del responsabile Lavoro, Giuseppe Provenzano rilasciate al “Fatto Quotidiano”. «Abolire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori – ha detto – è stato un errore, pertanto serve un nuovo Statuto». Ed ha aggiunto: «non può essere il Pd a presidiare il Centro» auspicando di fatto il «ritorno alla distinzione tra destra e sinistra». Indicazioni significative e attuabili a condizione che dentro il Partito democratico si finisca di “litigare” e che le correnti nate dal settarismo interno, frutto più di opportunismo che di altro, concordino nel predicare politiche di sinistra.
Si guarda con attenzione che Partito democratico e Movimento 5 Stelle interpretando i tempi della politica (i numeri dei “fedeli” diminuiti per entrambi anche a causa del linguaggio usato dentro e fuori dei rispettivi schieramenti, che non è più quello usato dalla povera gente, dai lavoratori, dalla sinistra) che sembra sia andato ad omologarsi sempre più agli idiomi del capitalismo.
Salvini non è così sprovveduto da rompere il “contratto” di governo sottoscritto con Di Maio; fintantoché non avrà i numeri per cambiare il sistema politico e instaurare il tanto sospirato governo sovranista (e, perché no? a quel punto anche un Presidente della Repubblica leghista), non commetterà l’errore di compiere passi all’indietro convinto sempre più che il Carroccio è capace di solcare, senza problemi, anche acque agitate.
Da meridionale l’augurio è che la parte migliore della società reagisca costringendo a ripiegare verso le terre di provenienza coloro che vorrebbero mettere le mani anche sul Sud, ricordando loro che il nostro è un popolo dignitoso e che il leghismo non si è mai dimostrato amico! Anzi, nonostante abbia ricevuto voti – impropri per la verità! – tenta di togliere a questo estremo lembo d’Italia le poche risorse di che vivere, volendo mettere le mani sul “Decreto Crescita” attraverso l’autonomia delle regioni del Nord.
Mai come adesso sarebbe provvidenziale rispondere con un “NO” deciso a tali sussulti, rispedendo al mittente l’ennesimo ricatto e ponendolo di fronte ad una probabile crisi di governo. Una svolta possibile, a condizione che il Pd scenda dall’Aventino e dia una mano per una soluzione epocale; un atto di volontà capace di cambiare la gestione dell’Italia da Sud a Nord.
Di Maio invii i suoi plenipotenziari a Largo del Nazzareno per sondare le intenzioni dei democratici. E, se intravede segnali di disponibilità, apra la crisi e fermi l’avanzata leghista. Lui sa che gli italiani sanno giudicare gli atteggiamenti ed i comportamenti, ma è altrettanto importante pensare anche alle soluzioni. Bisogna fare presto e bene. In talune situazioni si deve anche “giocare d’anticipo” soprattutto se l’avversario è pericoloso.
*giornalista
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