COSENZA Trenta giorni per il ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti. Restano trenta giorni al Comune di Cosenza per evitare la dichiarazione di dissesto finanziario. La delibera della Corte dei conti arrivata a valle della camera di consiglio di mercoledì scorso è durissima e accerta «la sussistenza, per gli esercizi 2015, 2016, 2017 e 2018 del “grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano…”». Falliti gli obiettivi del Piano di riequilibrio, per i giudici contabili non resta altra strada da seguire. È una via che Palazzo dei Bruzi tenterà di evitare attraverso il ricorso alle Sezioni riunite, già annunciato dal sindaco Mario Occhiuto. Trenta giorni, dunque, per sovvertire le segnalazioni della Corte. Che registra «una limitata capacità di riscossione dell’Ente, con conseguente rischio della perdita di entrate per prescrizione, e una continua necessità di richiedere al Tesoriere, per far fronte ai pagamenti, anticipazioni di liquidità che hanno un costo pari agli interessi corrisposto al Tesoriere sulle somme anticipate». Altro problema segnalato nella delibera è «la sussistenza di ingenti debiti pregressi, smaltiti solo in parte con le anticipazioni di liquidità in più tranches ricevute da Cassa depositi e prestiti, il cui saldo, evidentemente, comporta ulteriori aggravi per l’ente per interessi legali, spese legali etc che l’ente dovrà corrispondere al debitore, oltre alla sorte capitale».
EVASIONE E TRIBUTI Le contestazioni contenute nella delibera numero 66 del 2019 sono «pienamente confermate». Per i giudici il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale (Prfp) «è stato gravemente disatteso in tutti i principali “obiettivi intermedi”» nei quattro anni presi in esame. Il collegio punta i fari, soprattutto, sul «mancato incremento dei proventi tributari» e sul «mancato recupero dell’evasione fiscale». Nel 2015, ad esempio, il Comune aveva indicato come leve di risanamento i proventi da Tari e da servizio idrico integrato, ma i flussi di entrata generati sono considerati «molto bassi (rispettivamente, 18,98% dell’accertato per la Tari e 4,52% dell’accertato per il servizio idrico), a conferma dell’insufficienza degli introiti non solo a creare un effettivo risanamento ma, più in generale, a garantire le spese di servizi essenziali per i cittadini». Eloquente anche il dato sull’evasione: «Il Prfp prevede incassi da evasione fiscale, nel decennio, per circa 16 milioni di euro: nel 2015 gli introiti relativi alla voce “recupero Ici/Imu” sono stati inferiori ai 200mila euro». Anche il «mancato realizzo di entrate da vendita di immobili» (nel 2015 190mila euro a fronte di 5,2 milioni stimati dal Prfp) è motivo di censura. Ed è così per ogni esercizio finanziario oggetto di indagine (ovviamente cambiano le cifre).
«DETERIORAMENTO IRREVERSIBILE» Questa «grave e reiterata violazione degli “obiettivi intermedi” del Piano» arriva «e sei anni dalla sua adozione e oltre quattro anni dalla sua approvazione da parte delle Sezioni riunite», dunque «bisogna ritenere che il Prfp abbia fallito». Per i giudici, l’analisi delle cifre e degli andamenti «dimostra il grave e incrementale deterioramento degli equilibri contabili nell’ente nel periodo 2015-2018». C’è un «evidente e progressivo aumento delle passività»: la delibera cita, tra gli altri, le «copiose anticipazioni di liquidità (in tutto circa 122 milioni)»; «i debiti fuori bilancio (Dfb) e le passività occulte: i Dfb, per la sola parte pacificamente ammessa dal Comune – e non verificata, se non in minima porzione, dal Collegio dei revisori – ammontano a circa 30 milioni, di cui 24 milioni ancora da pagare». E poi «le anticipazioni di tesoreria non restituite a fine esercizio e i fondi vincolati non ricostituiti: sarebbero «somme copiose, pari per le sole anticipazioni di tesoreria a un debito ancora da ripianare di circa 25 milioni di euro, a cui si aggiunge un’ulteriore anticipazione di liquidità di circa 20 milioni da restituire entro fine 2019». Torna, dunque, il nodo dei tributi persi per strada: «Questa massa debitoria – si legge nella delibera – avrebbe richiesto, per poter essere efficacemente fronteggiata, che le riscossioni subissero una positiva evoluzione anche ben oltre le previsioni del Piano, cosa che – come più volte detto – non si è realizzata». Il «deterioramento degli equilibri strutturali» sarebbe «irreversibile» anche per via di un fondo cassa che «a fine 2018 è esilissimo (459mila euro circa) e integralmente pignorato: a fine 2012 (anno precedente all’adozione del Prfp) la situazione di cassa era sostanzialmente la stessa (il fondo cassa era pari a 618mila euro, integralmente pignorati)». Dunque il percorso di risanamento intrapreso non avrebbe prodotto alcun beneficio.
I CREDITI FANTASMA Il Comune, però, secondo la Corte dei conti continua a spendere troppo, nonostante le difficoltà. «Sotto il profilo della spesa – si legge ancora – gli impegni assunti nel 2018 superano i livelli del 2012»: alcune voci si sono ridotte «per motivi fisiologici», cioè grazie ai pensionamenti, «ma altre si sono incrementate e sono probabilmente destinate a incrementarsi». Anche quelle per i personale, visto che «il Comune è stato recentemente condannato in via definitiva dal giudice amministrativo ad assumere nuovi dirigenti».
C’è dell’altro: «una buona parte della spesa non è stata ricondotta nelle scritture contabili» e «i consuntivi 2015-2018 non riportano dati sempre veritieri e corretti: i risultati di esercizio dichiarati sono superiori rispetto a quelli effettivi». Sarebbe, invece, sottostimato il fondo perdite delle società partecipate, «che non tiene conto della grave situazione finanziaria della società Amaco».
Dubbi anche sui residui attivi (i crediti che il Comune deve ancora riscuotere), considerati «di dubbia sussistenza: secondo quanto osservato dai revisori, circa 11,6 milioni collegati a vendita immobili hanno alterato in melius i bilanci 2015-2017: inoltre circa il 25% dei residui da Tarsu/Tares/Tasi presenti a fine 2017 (pari a circa 9,4 milioni), oltre a circa il 24% dei residui da Servizio idrico integrato (pari a crica 7,4 milioni) sono stati dichiarati insussistenti nel 2018». Ci sarebbero poi «ulteriori dubbi in merito a circa 20 milioni di crediti molto vetusti che l’ente afferma di vantare verso la Regione, e che non trovano immediata corrispondenza nei residui passivi del bilancio di quest’ultima». Un passaggio viene dedicato alle richieste avanzate dalla Regione nei confronti di Palazzo dei Bruzi: si tratta di 19,5 milioni per la fornitura idropotabile. In effetti, per i giudici, «l’ente non ha fronteggiato tali richieste con alcun mezzo cautelativo (appostazione di residui in bilancio, azioni legali con conseguente accantonamento a “fondo rischi”) e di ciò ha chiaramente e indebitamente beneficiato il risultato di amministrazione dichiarato».
IL PIANO DEL COMUNE Non è che il Comune di Cosenza abbia intenzione di restare inerte rispetto ai problemi sollevati. Da Palazzo dei Bruzi è stata annunciata una serie di «azioni “a sanatoria”». La Corte dei conti li definisce «ambiziosi aumenti delle entrate per il 2020 e il 2021: i titoli I e III otterranno proventi extra per 10,4 milioni nel 2020 e per 9,5 milioni nel 2012, grazie alla rielaborazione del piano finanziario Tari e alla maggiorazione delle aliquote Imu/Tasi, oltre al recupero evasione, entrate da alienazioni e sanzioni codice della strada». L’ente pensa anche ad «altrettanto ambiziosi tagli alle spese stimati in 5,9 milioni nel 2020 e in 6 milioni nel 2021». Sono scelte che, secondo l’amministrazione comunale, consentirebbero di «concludere il risanamento finanziario del Comune entro il residuo orizzonte temporale previsto nel Prfp». Il problema è che la sezione Calabria della Corte dei conti non crede nel progetto perché non si intravede, a distanza di oltre quattro anni, dall’approvazione del Piano, quali elementi ed eventi positivi potrebbero invertire il trend attuale». A Palazzo dei Bruzi sperano che le Sezioni riunite la pensino diversamente.
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