COSENZA «Quando si procede a fare l’autopsia il morto ci parla. Al momento della riesumazione di Bergamini è accaduto qualcosa di particolare. Possiamo dire con certezza assoluta dal punto di vista scientifico che Denis Bergamini non si è suicidato. Possiamo dirlo con certezza scientifica». Il procuratore capo di Castrovillari, Eugenio Facciolla, lo dice a “Chi l’ha visto?”, che mercoledì sera ha raccontato la storia di un giallo che potrebbe presto tornare sotto i riflettori della cronaca. Il magistrato non risponde all’inviato che gli chiede se la morte, con il cadavere posizionato davanti al camion sulla statale 106, sia stata tutta una messa in scena, così come non dice se si sia trattato di un omicidio premeditato. «Significherebbe – spiega Facciolla – anticipare ogni attività d’indagine e non lo farò, ma le ho dato un dato rilevante. Se non è suicidio sarà certamente qualcos’altro».
Negli ultimi anni, quelli in cui gli uffici giudiziari del Pollino hanno riaperto l’inchiesta, sono state ascoltate più di 200 persone. Finora ci sono tre persone indagate, due delle quali per concorso in omicidio: Isabella Internò, fidanzata del calciatore all’epoca, e Raffaele Pisano, che guidava il mezzo pesante che – secondo la prima versione dei fatti – avrebbe investito Bergamini. È indagato per favoreggiamento l’attuale marito di Internò, il poliziotto Luciano Conte. Un’accusa emersa in tempi recenti, perché altrimenti – visto che la morte di Bergamini risale al 18 novembre 1989 – sarebbe prescritta.
L’ASFISSIA MECCANICA Facciolla dice di aver appreso di alcuni particolari utili alle indagini proprio da trasmissioni televisive: «C’erano tanti atti, una mole di materiale e avere la conoscenza di tutto non era così agevole». “Chi l’ha visto” offre le testimonianze di Claudio Lombardo, compagno di Denis, che racconta di averlo visto per l’ultima volta insieme al resto della squadra nel cinema Garden. E Gigi Simoni, ex portiere dei rossoblù, ricorda che il compagno scomparso gli aveva raccontato della fine della propria storia con Isabella. «Denis la incolpava di essere molto ossessiva e oppressiva». Una storia finita, secondo i compagni ma non secondo il racconto di Internò. Racconto mai modificato nel corso degli anni. Quella del suicidio, però, è una tesi che si scontra con quelle che la Procura ritiene «certezze scientifiche». Tra queste, il legale della famiglia Fabio Anselmo evidenzia gli «importanti segni di asfissia meccanica» riportati nella perizia. «L’ipotesi – dice – è che il capo di Bergamini sia stato chiuso in un sacchetto e che abbia subito un’asfissia meccanica prima di essere sormontato dal camion».
IL CONTESTO CRIMINALE DELL’EPOCA Una certezza e poi molte domande: c’era qualcuno ad aspettare Denis a Roseto? Quando è arrivato il camion? E, se è un delitto, qual è il movente? Domande alle quali l’inchiesta della Procura di Castrovillari è chiamata a rispondere.
Perché più di cento chilometri per inscenare il fantomatico suicidio? Perché Denis muore a Roseto Capo Spulico e non a Cosenza? Questa domanda apre una questione “storica” che incrocia il caso Bergamini con il contesto criminale dell’epoca. «Era un periodo storico un po’ particolare – risponde Facciolla – per la città di Cosenza e per il comprensorio. Stiamo cercando di dare una spiegazione per una presenza sul posto non occasionale. Erano gli anni in cui, soprattutto nella Sibaritide e nel Cosentino c’era una guerra tra bande, trafficanti di sigarette, prostituzione. Una situazione localmente ben connotata, erano anni molto brutti, molto pericolosi».
A quei tempi, spiega Facciolla, «i clan cosentini volevano fare un salto di qualità. E il contesto ha riguardato ciclicamente la squadra di calcio del Cosenza, ci sono anche dichiarazioni di pentiti su fatti che hanno riguardato la società calcistica». La morte di Denis Bergamini si inserisce in un contesto storico complesso, in un ambienta complesso in cui la pista passionale rimane prima sullo sfondo, poi riaffiora, ciclicamente.
IL MANCATO TRASFERIMENTO A PARMA L’ipotesi di un ruolo della malavita nella vicenda era emersa già in un’interrogazione parlamentare presentata pochi giorni dopo i fatti e riproposta da “Chi l’ha visto”. Le prime certezze (quelle dell’accusa, almeno) emergeranno al termine del lavoro investigativo. Che è stato lungo e complicato: «Dopo l’accertamento scientifico abbiamo svolto altre attività per ricostruire la vita di Bergamini nel periodo precedente i fatti, anche risalendo indietro nel tempo per arrivare alla sera. Questo serviva per rispondere a tante domande», dice Facciolla.
Mentre l’inviato, ricordando l’infortunio di Denis nell’anno in cui il Cosenza ha sfiorato la promozione in serie A, si chiede se qualcuno abbia «guadagnato da quella mancata promozione». E poi racconta la “finestra” del calciomercato nel corso della quale il Parma si fece avanti per acquistare il centrocampista, senza che poi la trattativa si concretizzasse (e il padre di Bergamini, Domizio, ricorda una frase del figlio: «Il mio procuratore mi mandava in un albergo e dopo cinque minuti mi trovavo quelli del Cosenza dietro»)
LA MASERATI In agosto, durante il ritiro estivo il calciatore riferisce ancora al padre che ha la possibilità di acquistare una Maserati bianca. Domizio non era molto d’accordo ma ricorda le condizioni di quella trattativa: «Prima davano una Maserati a mio figlio e Padovano per andare in girare continuamente senza pagare nulla. Poi a un bel punto quello che Denis chiamava “persona d’onore” gli disse: mio cugino vuole vendere una Maserati che ha mille chilometri. A me l’idea non piaceva ma mio figlio mi disse: “Qui non puoi dire di no a certe offerte”». L’auto è intestata a una donna, ma la trattativa la porta avanti un uomo imparentato con la signora. Denis la compra per 35 milioni (era costata 43) tramite un cugino dell’uomo, uno che aveva un ruolo nell’entourage del Cosenza.
«UN MILIARDO PER INSABBIARE TUTTO» Domizio racconta ancora un altro episodio successivo alla morte del calciatore: «Un avvocato mi ha chiesto che mi presentassi da lui da solo. Mi ha detto: “Prima voglio che sappia che questo è uno studio serio anche se difende delinquenti. Mi hanno telefonato da giù per dirle che vuole che vada per omicidio colposo del camionista le vien dato un miliardo”. E io ho risposto: non c’è prezzo, la ringrazio». Ancora domande: chi aveva interesse a offrire un miliardo per mettere tutto a tacere? Qualcuno dei personaggi interessati era presente la sera del 18 novembre a Roseto Capo Spulico?
Tutti aspettano risposte. Forse non tutti, stando alle parole di Facciolla: «La vicenda di Bergamini ha scosso gli animi della Cosenza più umile. C’è gente che era a conoscenza di tante questioni e che si è guardata bene dal riferirle o anche solo di aprire spiragli per la giustizia. La morte di Bergamini segna un paradosso perché tutti vogliono la verità però in realtà sono pochi quelli che la vogliono davvero».
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