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Operazione “Tisifone”, in manette esponente dei clan del Crotonese

Ripristinata la misura cautelare a carico di Rocco Devona. È ritenuto un uomo delle cosche

Pubblicato il: 18/07/2019 – 20:33
Operazione “Tisifone”, in manette esponente dei clan del Crotonese

ISOLA CAPO RIZZUTO La Polizia di Stato ha arrestato ad Isola Capo Rizzuto Rocco Devona, di 35 anni, con l’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso. L’arresto di Devona si collega all’indagine, condotta Squadra mobile di Crotone e dal Servizio centrale operativo sotto le direttive della Dda di Catanzaro, sfociata nel dicembre dello scorso anno nell’operazione “Tisifone” che portò al fermo di 23 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, tentata rapina, incendio, porto e detenzione illegale di armi e munizioni e illecita concorrenza con minaccia aggravata dal metodo mafioso.
«In quell’occasione – è detto in una nota stampa della Questura di Crotone – le catture disposte dalla Dda di Catanzaro, a firma del Procuratore Nicola Gratteri, del Procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e dei sostituti procuratori Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, furono legate a quanto stava emergendo dall’indagine che aveva riacceso i riflettori sulle nuove dinamiche criminali operanti sul territorio di Isola di Capo Rizzuto venutesi a creare a seguito dell’operazione “Jonny”. Entrando nel cuore del territorio isolitano furono rivelate le nuove alleanze, i nuovi equilibri che si erano venuti a creare o che si stavano creando, ma soprattutto le nuove tensioni che, dopo i numerosi arresti eseguiti, stavano emergendo, dettate dalla volontà di imporre il proprio potere e controllo su Isola. In particolare affiorarono due fronti contrapposti, da un lato i Capicchiano, con a capo Salvatore Capicchiano, desiderosi di affermare il loro monopolio nella gestione del lucroso settore delle gioco illegale mediante l’imposizione e la gestione delle loro slot machine in diversi bar ed esercizi commerciali, dall’altro i Nicoscia con al vertice Antonio Nicoscia, figlio di Pasquale Nicoscia, alias “Macchietta”, i Manfredi ed i Gentile, non concordi su tale esclusività e sull’ascesa totalizzante e non condivisa dei Capicchiano. La conseguenza di questi attriti fu un’escalation di violenza che portò entrambe le parti contrapposte, in diverse occasioni, alla pianificazione di omicidi ai danni della fazione opposta. Proprio la progettazione di quei gravissimi reati portò all’accelerazione dell’indagine con l’adozione del provvedimento di fermo e al conseguente arresto nei confronti degli indagati».
L’indagine consentì anche di documentare i rapporti con le diverse famiglie di ‘ndrangheta e in particolare con la cosca Megna di Papanice e con le cosche del petilino. In particolare, fu documentata l’estorsione ai danni di un locale a “Le Castella” di Isola Capo Rizzuto, oltre alla celebrazione di diversi riti di affiliazione, finalizzati al rafforzamento delle file della cosca. Proprio l’estorsione e la celebrazione dei riti furono contestate all’epoca a Devona da parte della Dda, il quale, dopo il suo arresto fu scarcerato a seguito di una decisione del Tribunale del riesame.
La Dda ha presentato ricorso alla Corte Cassazione contro la decisione del Tribunale del Riesame, ricorso che è stato accolto con rinvio. Il 17 luglio scorso è stata depositata la nuova decisione del Tribunale del riesame, che ha ripristinato la misura cautelare emessa a dicembre a carico di Devona.

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