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Ginecologia «degli orrori» a Reggio, condannati medici e ostetriche

Il Tribunale non riconosce l’esistenza dell’associazione a delinquere ma comunque condanna nove imputati. Tre le assoluzioni, due le prescrizioni. L’inchiesta ha fatto luce su una serie di falsi me…

Pubblicato il: 24/07/2019 – 21:20
Ginecologia «degli orrori» a Reggio, condannati medici e ostetriche

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA Una cartiera del falso messa in piedi per coprire errori, anche fatali, di medici e ostetriche. Una fabbrica di menzogne per coprire incompetenze e negligenze. Nonostante la prescrizione si sia abbattuta su molte delle imputazioni, il Tribunale di Reggio Calabria ha individuato una precisa filiera di responsabilità per gli innumerevoli errori medici che hanno trasformato la Ginecologia di Reggio in un «reparto degli errori ed orrori». Nonostante il tribunale non abbia riconosciuto l’esistenza dell’associazione a delinquere che per la pubblica accusa aveva come fine l’alterazione delle cartelle cliniche, necessaria per coprire gli errori, ha sostanzialmente accolto e spesso anche superato le richieste dei pm Annamaria Frustaci e Roberto Di Palma.
LE ASSOLUZIONI E LE PRESCRIZIONI Come chiesto dall’accusa per Mariangela Tomo è stata disposta l’assoluzione, mentre è stata dichiarata la prescrizione per Roberto Pennisi e Marcello Tripodi. Assolti per decisione del tribunale l’ostetrica Antonia Stilo e l’anestesista Annibale Musitano.
LE CONDANNE Pesanti le condanne disposte per medici e ostetriche indagati. Quattro anni e 9 mesi di carcere sono andati all’ex primario Pasquale Vadalà, 4 anni e 8 mesi anni al suo successore Alessandro Tripodi, il medico accusato anche di aver procurato un aborto non voluto alla sorella Loredana, mentre è di 6 anni e 2 mesi la pena inflitta al suo braccio destro Daniela Manunzio. È invece di 4 anni, anche superiore a quella chiesta dalla pubblica accusa, la condanna disposta per la neonatologa Maria Concetta Maio e per la ginecologa Antonella Musella, mentre è di 4 anni e 6 mesi la pena inflitta al suo collega Filippo Saccà. Quattro anni (sei mesi in meno di quanto chiesto), sono andati al ginecologo Massimo Sorace, mentre a 3 anni è stata condannata l’ostetrica Giuseppina Strati. La pena più bassa è andata all’anestesista Luigi Grasso a 2 anni e 3 mesi, mentre è stato assolto il suo ex primario Annibale Maria Musitano.
LA REQUISITORIA La loro condanna era stata chiesta con forza dai pm Di Palma e Frustaci. «La disamina dei singoli casi – ha spiegato in aula il pm Di Palma – ha dimostrato come ci sia un rapporto teleologico fra errore e falsificazione delle cartelle, perché la falsificazione è il prodotto dell’errore». In quel reparto, ha affermato il pm, «attestare la verità negli atti medici, avere un franco rapporto medico dei pazienti, era l’ultimo dei problemi. Il principale – ci ha tenuto a sottolineare Di Palma, utilizzando un lessico spesso usato dagli imputati nelle conversazioni intercettate – era pararsi il culo». E far sparire cartelle, sbianchettare nomi o esami, oppure – emerge dalle intercettazioni richiamate nel corso della requisitoria – metterle nel cassetto o nell’armadio.
L’INCHIESTA Anche per il Tribunale dunque, medici e ostetriche condannati sono a vario titolo responsabili di aver arrecato gravi lesioni a pazienti e neonati, ma anche di aver alterato le cartelle cliniche in modo da coprire con grossolani falsi errori ed omissioni. Una cartiera del falso necessaria per coprire errori medici o omissioni gravi, che avrebbero potuto provocare più di un problema – penale, ma soprattutto civile – ai medici del reparto. A scoperchiarla sono stati gli inquirenti che hanno analizzato e riascoltato le intercettazioni abbandonate in un cassetto di Alessandro Tripodi, nipote dell’avvocato Giorgio De Stefano, intercettato per qualche mese dagli investigatori nel corso di un’indagine a largo raggio su Gioacchino Campolo. Grazie alle sue agghiaccianti chiacchierate, gli investigatori hanno capito come molti dei casi di malasanità archiviati nel 2010 come «tragica ed imprevedibile fatalità», non fossero altro che grossolani errori medici coperti da un sistema di illegalità strutturale, basato sulla sistematica alterazione delle cartelle cliniche. Ma soprattutto è emerso quel clima di silenzio e omertà che per anni ha nascosto un reparto trasformato in una succursale di una macelleria, in cui – sottolineava il gip nell’ordinanza – «se da una parte non c’è reciproca fiducia nella professionalità e perizia dei colleghi, dall’altra vi è sostanziale “tacito accordo” nel “coprirsi a vicenda”». (a.candito@corrierecal.it)

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