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Mafie e traffico di documenti falsi, ombre sulla Chinatown calabrese

Focus di Panorama sul flusso migratorio che non fa rumore. L”asse Lamezia-Bergamo, la «mela marcia» in Polizia e i possibili accordi tra ‘ndrangheta e triadi asiatiche

Pubblicato il: 24/07/2019 – 12:03
Mafie e traffico di documenti falsi, ombre sulla Chinatown calabrese

LAMEZIA TERME Il racconto comincia dalla storia di un impiegato. Per allargarsi fino al lato oscuro di un flusso migratorio che fa molto meno rumore di quelli che scandiscono quotidianamente gli slogan elettorali nostrani. L’impiegato non è un personaggio di Fabrizio de Andrè, ma un 43enne dipendente del ministero dell’Interno che lavorava in Polizia e che, secondo la Procura di Bergamo, sarebbe stato in realtà una «mela marcia». La storia si snoda sull’asse Bergamo-Lamezia Terme, e proprio della città catanzarese della Piana è originario Pierpaolo Perozziello, la cui figura è centrale nell’impianto accusatorio dell’inchiesta “Yuan”: l’impiegato sarebbe stato parte di un sistema che avrebbe “facilitato”, illegalmente, l’ingresso di cittadini cinesi in Italia. La maggiorparte di loro veniva da Prato e da Lamezia Terme e in un giorno riuscivano ad avere in mano tutti i documenti: bastava pagare 9mila euro per un ricongiungimento familiare e 6mila per un permesso di soggiorno. Il 43enne originario della Calabria, all’interno della banda italo-cinese, si sarebbe occupato della «validazione di alcune pratiche, tutte di cittadini cinesi, consegnando – ha spiegato la pm Carmen Santoro – certificati di residenza risultati contraffatti». In cambio di bustarelle, secondo la Procura, di 600-800 euro a pratica.
LA CHINATOWN CALABRESE Da uno zoom sulla storia dell’impiegato prende il via il reportage di Carlo Puca pubblicato oggi da Panorama. Il cronista racconta la realtà di Sant’Eufemia, uno dei tre ex Comuni che unendosi a Sambiase e Nicastro ha dato vita a Lamezia Terme. Sant’Eufemia è il luogo «dove si è formata, in meno di un decennio, la comunità più numerosa (e silenziosa) del Sud Italia»: gli asiatici ufficialmente residenti sono circa 700, ma «basta farsi un giro per le strade della Chinatown calabrese per intendere che i residenti reali sono molti di più, un po’ perché – è noto – tendono a scambiarsi i documenti, molto perché risiedono ufficialmente in altre città, come Bergamo». Il reportage passa da un vero e proprio centro commerciale cinese sorto nel territorio di Maida e poi arriva a via del Mare, lo stradone che nasce dalla stazione ferroviaria più importante della Calabria, su cui si vedono ormai solo insegne in mandarino, lanterne rosse e negozi gestiti quasi esclusivamente dai cinesi. Attività per lo più all’ingrosso, almeno ufficialmente. «I negozi di Sant’Eufemia – scrive Panorama – sono frequentati da clienti italiani ma anche da tanti africani che prendono in conto vendita tessuti e bigiotteria di qualità molto discutibile per smerciarli sulle spiagge, non solo calabresi: grazie alla stazione, da qui si arriva a Napoli in due ore e a Roma in tre ore e mezza. Infine, al netto dell’atavico problema della contraffazione (parliamo di decine di migliaia di capi visibili a occhio nudo), a Lamezia iniziano ad arrivare prodotti ancora più sensibili. Per intenderci, lo scorso 7 giugno, alla signora Ji Zucui hanno trovato in aeroporto, nascosti in valigia, 38 chili di medicinali non conformi e perciò pericolosi».
SOLDI E PROTEZIONE, DALLE TRIADI ALLA ‘NDRANGHETA A differenza di Prato, altra capitale cinese in Italia, a Lamezia i cinesi producono poco o nulla, ma qui hanno dato vita al «più grande hub di scambio per le loro merci nel Centro-Sud». Finora nessuna inchiesta ha collegato la ‘ndrangheta al silenzioso flusso migratorio cinese, ma a nessuno sfugge che molte delle dinamiche che “regolano” le famigerate triadi asiatiche sono simili a quelle della mafia calabrese. Lo spiega a Panorama lo scrittore cinese più letto al mondo, Qiu Xiaolong, da anni costretto a trasferirsi negli Usa e di recente ospite a Lamezia del festival antimafia “Trame”. «Lei dunque crede che ci siano accordi sotterranei tra ‘ndrangheta e mafia cinese?», chiede Puca allo scrittore. «Ne ho sentito parlare. Quel che è sicuro – risponde Qiu Xiaolong – è che se vuoi lavorare in un qualunque settore di business, è necessaria la tutela della mafia. Quindi anche per i cinesi emigrati qui è normale la protezione, perlomeno indiretta, della ‘ndrangheta». Una certa mentalità, insomma, la trovi dappertutto: «Non importa come fai i soldi, l’importante è farli. Io vengo da Shanghai e lì, se si vuole aprire un negozio, non si può far a meno delle triadi. Altrimenti non si lavora. Perché qui dovrebbe essere diverso?». (spel)

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