BRUXELLES La Commissione europea torna a fare pressione sull’Italia per l’applicazione delle norme Ue su fogne e depuratori approvate nell’ormai lontanissimo 1991. Nel contesto di un robusto pacchetto di decisioni contro tutti i Paesi membri per infrazioni in materia di salvaguardia dell’ambiente, Bruxelles ha inviato a Roma un parere motivato ricordando l’urgenza e la necessità di adeguare alle regole Ue 237 località con oltre 2mila abitanti. Un anno fa, quando fu aperta la procedura d’infrazione, le località fuori norma erano 276 ripartire tra 13 regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana). Ma nel frattempo l’Italia è riuscita a sanare le situazioni di 39 aree: 22 in Lombardia, 6 in Puglia, 2 a testa per Liguria, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Toscana, e 1 in Basilicata. Tuttavia, la situazione resta delicata e complessa. I procedimenti aperti da Bruxelles nei confronti della Penisola sono infatti ben quattro che si differenziano secondo la dimensione demografica e il tipo di area (‘normale’ o ‘sensibile’ dal punto di vista ambientale): e nell’elenco delle situazioni tornate nella norma la Calabria non c’è. Nel maggio 2018 il nostro Paese è poi stato già condannato dalla Corte Ue a pagare 25 milioni di euro, più 30 milioni per ogni semestre di ritardo nella messa a norma di oltre settanta aree con oltre 15mila abitanti sprovviste di adeguate reti fognarie e di sistemi di depurazione delle acque.
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