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Ecco la “carta d'identità” del fucile che sarebbe stato usato per l'omicidio Scopelliti

Dai risultati della perizia emerge che l’arma rinvenuta un anno fa in Sicilia, che secondo il pentito Maurizio Avola è servita per sparare al giudice, è stata costruita in Spagna e poi modificata. …

Pubblicato il: 26/07/2019 – 11:53
Ecco la “carta d'identità” del fucile che sarebbe stato usato per l'omicidio Scopelliti

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA Ha un nome e un indirizzo, quanto meno orientativo, l’arma rinvenuta un anno fa in un campo siciliano che per il pentito Maurizio Avola è servita per sparare e uccidere il giudice Antonino Scopelliti. Si tratta di «un fucile a canne giustapposte, realizzato dalla ditta spagnola “Zabala Hermanos”». È un’arma da caccia, con tanto di mirino, che assicura precisione tanto da essere consigliata sui forum degli specialisti che ancora la usano soprattutto per le beccacce. Le canne del fucile, si legge nella relazione tecnica, «hanno una lunghezza originale di circa 47 cm, corrispondenti a circa 18.5». Un dato non neutro.
Quelle di fabbricazione standard misurano 66 centimetri, quindi il fucile rinvenuto è stato modificato. Una pratica assai spesso utilizzata dagli armieri dei clan per allargare la rosata di sparo o rendere l’arma più facile da nascondere o gestire durante un agguato. E questo non solo confermerebbe che quello è un fucile di mafia, ma potrebbe rendere il tipo di arma compatibile con la dinamica dell’omicidio del giudice, affiancato da un commando di killer a bordo di una moto.
Ma sono soprattutto due i dati che dagli accertamenti tecnici sono emersi e potrebbero essere importanti. Si tratta del numero di matricola del fucile e di quello che si ritiene il numero di assemblaggio o seriale delle canne. Una sorta di carta d’identità dell’arma, che potrebbe permettere di comprendere come abbia fatto ad uscire da una fabbrica spagnola, plausibilmente in epoca franchista, per riapparire più di 30 anni dopo nascosta in un campo siciliano.
Il tempo ha passato fattura e cancellato molte delle tracce che avrebbero potuto far parlare il fucile. Sul borsone e la busta che lo contenevano, come sul bidone in cui erano conservati i 50 proiettili rinvenuti, non è stato possibile rinvenire tracce genetiche. Allo stesso modo, il cattivo stato di conservazione ha reso impossibile comprendere se le cartucce rinvenute insieme al fucile servissero specificamente per quell’arma.
Di certo, hanno affermato i periti, non sono quelle che hanno colpito Scopelliti. Il dato però non influisce sull’esito degli accertamenti, perché proprio a causa del tempo trascorso e della ruggine che ha mangiato gran parte delle componenti dell’arma non è stato possibile stabilire se per quel fucile si possano utilizzare proiettili. Il dubbio dunque rimane. E le indagini proseguono, perché adesso c’è da ripercorrere a ritroso la strada che ha portato quell’arma dalla Spagna all’Italia. O meglio alla Sicilia, nella zona che è stata feudo storico dei Santapaola. (a.candito@corrierecal.it)

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