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Bene comune. Dialogo tra un vescovo ed un giornalista

di P. Vincenzo Bertolone S.d.P*

Pubblicato il: 27/07/2019 – 18:35
Bene comune. Dialogo tra un vescovo ed un giornalista

1. Il politico pratichi la carità paterna. Per chi sta al potere, «la principale virtù resta una, anzi essa porta con sé tutte le altre. Può ben essere denominata “carità paterna”, a cui seguono, come servitrici, le virtù cardinali, cioè la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza… Infine ce ne sono altre, specifiche: la sapienza, la magnificenza, la clemenza, la misericordia, che la Scrittura assai frequentemente ascrive a Dio, Re di tutti i re». Si apre così il cap. 7º del De officio principis christiani (1619) di Roberto Bellarmino, (recentemente ripubblicato da Edizioni ArteTetra, Capua 2019), che un pastore trova molto attuale. Sollecitato dall’articolo della dottoressa Paola Militano, editrice del Corriere della Calabria (qui l’editoriale), che invita anche la Chiesa a dire la sua sul futuro della Calabria, come arcivescovo di Catanzaro-Squillace, volentieri esprimo qualche pensiero, rileggendo la dottrina sociale.
2. Il contesto. Un gruppo di ricercatori e di economisti dell’Università di Roma Tor Vergata e della Lumsa ha compiuto una ricerca sulle province d’Italia, in modo da stabilire per quanto possibile una loro classifica che determini il loro ben vivere e ben essere. La graduatoria viene chiusa dalla Calabria. All’ultimo posto figura Crotone. Vibo Valentia è al terz’ultimo posto, Reggio Calabria al quart’ultimo. Cosenza e Catanzaro occupano il 98° e 95° posto tra le 107 province. A questi bassi livelli contribuiscono, secondo i ricercatori, almeno tre fattori: la pervasività della mafia, e in particolare della ‘ndrangheta; la mediocre qualità dei servizi sanitari; lo spopolamento dei giovani, dovuto alle partenze in massa dei neolaureati e dei neodiplomati, che non trovano nella loro terra prospettive di lavoro. Ogni anno 4.000 neolaureati lasciano la Calabria non tanto o non sempre per l’assenza di lavoro, quanto per l’assenza di lavoro pulito. La mafia funziona come un ufficio di collocamento. Lo dimostra anche il fatto che la Calabria è una delle regioni con meno richieste per il reddito di cittadinanza, nonostante l’alto tasso di disoccupazione. La ‘ndrangheta punta in particolare a controllare la sanità, perché i servizi sanitari sono la principale voce del bilancio regionale (tra il 77 e 1’85% del totale). Inoltre, in dieci anni 600mila calabresi hanno dovuto curarsi in altre regioni, mentre dal 1991 a oggi 110 Consigli comunali sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose, con provvedimenti rivelatisi di scarsa efficacia per una serie di motivi.
3. La carità sociale nella nostra Regione. Alla luce di ciò, mi chiedo, e chiedo: in che senso la virtù cristiana della “carità paterna” può avere molto da dire nella nostra situazione? Cito di nuovo il Bellarmino: «Che la carità paterna sia, in primo luogo, necessaria, ci viene insegnato dal Filosofo nell’ottavo libro dell’Etica, dov’è posta una differenza tra re e tiranno: mentre il tiranno in tutto cerca ciò che è suo, chi governa, invece, ciò che è del popolo; o anche, che il fine, che si auto-propone il tiranno, è la propria utilità, mentre il fine di chi ha il potere legittimo è il vantaggio della “cosa pubblica”; inoltre, il tiranno considera i sudditi come dei sottomessi, mentre il re li considera come dei figli; infine, il governo del tiranno è un dispotismo, mentre il governo legittimo è (arte) politica». Rispetto a Thomas Hobbes, che pure menzionava la teoria politica del cardinale nel suo più famoso Leviathan, il Bellarmino assegnava all’arte della politica non soltanto il compito di mettere gli uomini al riparo dal male, senza proporre forme di vita o indicare condotte, o virtù da praticare al solo scopo di non rompere la pace sociale e la pacifica convivenza; ma anche una positiva virtuosa azione sociale. Per questo si rifaceva, non a caso, a “Seneca, in particolare al primo libro del De Clementia: «Esiste un solo baluardo inespugnabile, l’amore per i cittadini. Perché stai fermo? Inutilmente ti difendi dal terrore se non sarai immunizzato dalla carità».
4. Un bilancio in prospettiva. Ciò detto, è naturale ed opportuno chiedersi e fino a che punto la carità sociale sia stata tenuta in considerazione, nel tempo e sin qui, nell’opera di governo della Regione. Soprattutto, c’è da domandarsi quali siano i desideri e le legittime aspettative dei cittadini della nostra Regione. Ritengo di poter asserire che le persone vogliono degli amministratori preparati, dei professionisti esperti nei vari campi e disponibili a dedicare concretamente almeno parte della loro esistenza personale e professionale al servizio del bene comune, per un nuovo cominciamento che dia una vera svolta attraverso una visione di ampio respiro e di lunga prospettiva, che non abbia il fiato corto delle piccole cose tutte ugualmente urgenti. Questo perché ormai alcuni sintomi di malattia sociale si sono cronicizzati: l’esasperazione del professionismo in politica; la tendenza a fare casta a sé, il mestierantismo, il clientelismo, la partigianeria, il malcostume, la corruzione, la lentezza burocratica, …e così via di seguito, per un lungo elenco di fattori che non fanno apprezzare chi esercita il potere e inducono alla disistima per chi sta al potere, alla demagogia e al populismo incrementando, sul piano religioso, il fondamentalismo di qualsiasi colore ed origine.
5. Si sveglino e si scuotano le coscienze. L’auspicio è che le coscienze si risveglino. Non c’è che una strada: c’è una società civile da costruire. Le persone di buona volontà e disponibili alla carità sociale si mettano in giuoco e un po’ alla volta passino, a piccoli passi, dalle parole ai fatti, seguendo una scala di priorità: vivere in pieno le città partendo dalle loro bellezze (verde, monti, costa, mare); abitare in totale sicurezza, senza doversi guardare dai mali della corruzione provenienti dalla criminalità più o meno organizzata, “zizzania” del vivere civile; rivalutare e riscoprire i volti e i rapporti intergenerazionali, partendo dagli antichi, buoni valori familiari e religiosi; sentirsi non una “periferia dell’impero con sede dislocata altrove”, ma fiore all’occhiello di una Patria comune. Nessuno pensi di avere le mani pulite, soltanto perché le tiene in tasca. La Calabria, con la sua tipica vocazione geoculturale, in questa parte mediterranea che la rende un “ponte” naturale tra il Continente africano e quello europeo, sia gestita come un cristiano crocevia tra le genti del Sud e del Nord del mondo. In sintesi, ci vogliamo pensare capaci e desiderosi di praticare la carità sociale, senza ire di parte, come esortava don Luigi Sturzo nel 1917: «Nel campo delle attività pubbliche, imiteremo i primi cristiani, che portavano il Vangelo nascosto sul petto, e alimentavano alla santa parola la loro fede, mentre come cittadini invadevano i fori e esponevano avanti ai présidi e ai re le parole dello Spirito Santo».
*Arcivescovo di Catanzaro Squillace

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