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Un libro (con tre poesie inedite) riapre il caso “mastro” Bruno Pelaggi

Lo storico dell’arte Domenico Pisani ha scoperto un manoscritto «coevo» con dei versi finora ignoti. Sono ora pubblicati in un saggio in cui si traccia una nuova biografia del poeta scalpellino. Co…

Pubblicato il: 28/07/2019 – 8:09
Un libro (con tre poesie inedite) riapre il caso “mastro” Bruno Pelaggi

di Sergio Pelaia
Un manoscritto ingiallito, nascosto nella sovracoperta di un libro proveniente da una biblioteca appartenuta un tempo a una famiglia importante di un paese dell’entroterra calabrese. Poco più di una decina di fogli di carta scritti con un inchiostro di china ormai sbiadito, arrivato a noi dai primi decenni del secolo scorso. Un quaderno che parla in versi, che restituisce un dialetto in parte scomparso e che aggiunge un nuovo capitolo a una storia piena di incroci che il tempo e il destino si sono divertiti a costruire.
Il centro storico di Serra San Bruno (nella foto in alto, risalente agli anni ’20, alcuni scalpellini lavorano le basole del corso principale) è un labirinto di viuzze in cui, oggi, al granito e al legno su cui lavorarono le maestranze che qui si stabilirono fin da quando fu costruita la millenaria Certosa, si mescolano le brutture di una modernità fatta di lamiere, eternit e scelte cromatiche di dubbio gusto. Nonostante ciò, però, questo posto conserva un fascino intatto, perché oltre alle testimonianze dell’artigianato artistico locale, ancora fortunatamente ben visibili, l’antico rione denominato “Terravecchia” nasconde misteri irrisolti che continuano ad alimentare la passione di molti studiosi. E infatti nascondeva quel manoscritto.

Bruno Pelaggi (fotografia “Il genio”, nono decennio del XIX secolo, riproduzione del 1965 da un originale perduto)

IL CASO Il giallo, stavolta, non riguarda scomparse, fatti di sangue e presenze immaginarie tra le mura del monastero sorto all’inizio del primo millennio vicino all’abitato di quello che oggi è il piccolo capoluogo delle Serre vibonesi. Il caso riguarda un poeta dalla barba folta e dall’occhio tagliente morto più di cento anni fa che, ancora oggi, continua a far parlare di sé. Un poeta scalpellino, “mastro” Bruno Pelaggi (1837-1912), i cui versi in dialetto esprimono una potenza rara passando dai toni della caustica ironia a quelli, a tratti drammatici, della protesta sociale per la mai sopita questione meridionale. Quello di Pelaggi è un caso letterario, in realtà mai chiuso e che mai probabilmente si chiuderà, perché le sue poesie sono giunte a noi grazie alla tradizione orale e a dei manoscritti che secondo quanto si tramanda sarebbero stati vergati da una delle sue figlie, Maria Stella, ma che sono andati perduti. Ne scrisse per la prima volta il nipote del poeta, Angelo Pelaia, con un’antologia pubblicata nel 1965 e, da allora, il caso continua a far discutere gli studiosi. Se ne occuparono tra gli altri Sharo Gambino, indimenticato scrittore che ha consegnato eternità letteraria a questi luoghi, e il pronipote di Pelaggi, Biagio Pelaia, con due edizioni delle poesie che costituiscono tuttora un fondamento per gli studi successivi. Pelaggi suscitò pure l’interesse di uno studioso del calibro di Umberto Bosco, che fu anche direttore dell’Enciclopedia (la Treccani) che, di recente, ha collocato il poeta scalpellino nel suo dizionario biografico. Infine lo storico Tonino Ceravolo ha affrontato criticamente la questione anche dal punto di vista della problematicità delle fonti curando una pubblicazione per Rubbettino (“Mastro Bruno Pelaggi – Poesie”, 2014). E adesso, proprio da qualche giorno, a riaprire il caso è arrivato in libreria un nuovo saggio di Domenico Pisani, “Bruno Pelaggi e il suo tempo. Un poeta e le lotte politiche fin de siècle a Serra San Bruno” (ConSenso Publishing).
La famiglia Timpano (“Fatunedha”) nel quartiere “Zzàccanu”, in posa di fronte alla casa di mastro Bruno, che si vede seminascosto dalla porta (Stampa fotografica del 1965 da un originale perduto, collezione privata)

IL MANOSCRITTO Pisani è uno storico dell’arte che ha scritto molti saggi (tra l’altro è stato direttore del Museo Civico di Rende, è socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria ed è coordinatore del Comitato Scientifico della rivista Esperide) e il suo nome è legato alla storia di Serra perché il padre, Giuseppe Maria Pisani, è stato un grande artista che dalle ormai scomparse botteghe degli artigiani serresi ha tratto insegnamenti che lo hanno portato a lasciare segni indelebili in questi luoghi, tra i quali anche un busto di “mastro” Bruno che tuttora si può ammirare nel cortile di Palazzo Chimirri. È stato proprio Domenico Pisani a trovare le diciotto pagine manoscritte, di cui pubblica anche le immagini, che hanno riacceso il mistero. Stando alla sua ipotesi il quaderno è «coevo» del poeta e, ancorché parziale, è «prezioso per la sua unicità» perché «può essere considerato la trascrizione di uno dei manoscritti perduti redatti dalla figlia del poeta, Maria Stella, oppure, come è tradizione, da un’amica della ragazza». Secondo Pisani, insomma, il manoscritto potrebbe essere una copia, coeva e dunque priva di modernizzazioni linguistiche, dell’originale andato perduto. Gli scritti ritrovati, che comprendono anche un altro foglio mutilo rinvenuto sempre da Pisani, contengono una decina poesie di “mastro” Bruno, tra le quali ci sono tre inediti: un sonetto scritto nel 1896 in occasione «dello sposalizio di don Peppino Pisani e di donna Luigina Barillari»; un altro (quello del foglio mutilo) dedicato a monsignor Giuseppe Barillari, vescovo coadiutore di Cariati, che reca in calce la scritta «Vi bacia rispettosamente la mano il vostro servo Bruno Pelaggi», e che Pisani attribuisce direttamente alla figlia Maria Stella confrontandone la grafia con la firma apposta in calce all’atto di successione del padre; infine un’altra poesia, dedicata a “Chichiriddì” o “Chichirichì”, che si conosceva già però mancante di 20 strofe e con una in più di cui invece nel manoscritto non c’è traccia. Una scoperta che porta dunque a 31, in totale, le poesie ora attribuite a Pelaggi «tra quelle mutile, quelle complete e quelle considerate problematiche». Ma le novità non sono finite. Pisani infatti, confrontando il manoscritto con le poesie pubblicate nella prima edizione di Angelo Pelaia, segnala che «significative difformità si trovano nei titoli e in alcuni versi». La più interessante, a suo parere, riguarda la famosa poesia conosciuta come “A Umberto I° re d’Italia” o come “Lettera ad Umberto I”. Nel manoscritto scoperto da Pisani il titolo è completamente diverso, come differente è anche il monarca destinatario: “Lamienti calabrisi. A sua maestà Vittorio Emanuele III re d’Italia”.
La copertina del libro di Domenico Pisani

LA NUOVA BIOGRAFIA DI “MASTRO” BRUNO Pisani ha portato a compimento, per la prima volta in maniera organica e molto ben documentata, un lavoro a cui si dedicava da tempo e di cui c’erano diversi elementi già in un’altra pubblicazione a cui ha collaborato (“Fabrizia, Serra San Bruno. Storia, cultura, economia”, a cura di Fulvio Mazza, Rubbettino, 2012). Si tratta di una nuova biografia di Pelaggi scritta consultando numerose fonti storiche, tra cui documenti dell’Archivio di Stato di Catanzaro, degli archivi comunali e di diversi privati, delle Arciconfraternite religiose locali, di alcune collezioni fotografiche private e della Certosa. Un lavoro durato anni, che ha permesso di recuperare non solo le storie ma anche i volti dei personaggi delle poesie di “mastro” Bruno, e di ricostruire il contesto politico e sociale della Serra San Bruno di fine ‘800. Comprese molte vicende legate alle campagne elettorali politiche e amministrative del tempo in cui non mancavano le contrapposizioni aspre che si consumavano a suon di manifesti, articoli e poesie mordaci. E a volte anche di fotomontaggi d’epoca: eccezionale, in questo senso, una cartolina satirica realizzata nel 1913 per dileggiare un marchese di Santa Caterina, Luigi di Francia, poi eletto deputato nel collegio di Serra, la cui candidatura fu sbeffeggiata sovrapponendo il suo volto agli abiti monastici di San Bruno e con una didascalia che recitava: «Vera effigie di San Luigi di Francia che si venera nel collegio elettorale di Serra San Bruno».
LA POLITICA E LA POESIA POPOLARE Tra le novità più importanti del libro di Pisani c’è l’apparato iconografico, una raccolta straordinaria di immagini fotografiche e pittoriche. Non meno importanti, però, sono le ricerche legate all’attività di scalpellino di Pelaggi, finora pressoché ignota, ma soprattutto gli approfondimenti sulla sua controversa e per certi versi ambigua indole politica. Come appare evidente a chiunque legga i suoi versi, il poeta scalpellino aveva simpatia per le idee progressiste, tanto da usare in una delle sue più famose poesie il motto socialista «pane e lavoro». Ma dalla sua biografia emerge, com’è noto da tempo, anche la sua vicinanza personale alla famiglia Chimirri e in particolare a Bruno, parlamentare della destra storica e più volte ministro del Regno d’Italia. La sua satira politica sferzante fu infatti spesso indirizzata verso gli avversari (di sinistra) della famiglia Chimirri «che pretendeva – scrive Pisani – di essere egemonica in paese alle volte con metodi poco ortodossi». L’appoggio ai Chimirri, però, non gli impedì di esprimere critiche forti nei confronti del governo nazionale e dei regnanti di casa Savoia, manifestando nei suoi versi delusione e rabbia per le condizioni delle classi subalterne del Sud, tanto da far pensare che avesse abbracciato idee addirittura anarchiche. Ipotesi improbabile, per la verità, come spiega lo stesso Pisani, che però non esclude che il poeta avesse avuto approcci con le idee libertarie che certamente circolavano a Serra e che avesse conosciuto le vicende di alcuni anarchici. A questo proposito è gustosa la storia, ricostruita dall’autore, di Bruno Tedeschi, un serrese che era riuscito a entrare nelle grazie di Maria Sofia di Baviera, ultima regina del Regno delle due Sicilie, e che durante un processo affermò «che si era creata un’alleanza ibrida contro i Savoia tra gli anarchici e Maria Sofia, lasciando intendere – si legge nel libro di Pisani – un coinvolgimento dell’ex regina nei fatti di Monza, coinvolgimento di cui pare fosse convinto anche Giovanni Giolitti anche se, nel merito, il dibattito storiografico rimane sostanzialmente aperto».
C’è infine un ultimo, interessante aspetto che emerge dai documenti scoperti dall’autore: quello della “proliferazione” di improvvisati poeti dialettali nella società serrese dell’epoca. Un’altra novità su cui Pisani, che pone il suo studio come complementare rispetto agli altri lavori su Pelaggi, fornisce una chiave di lettura utilissima per futuri approfondimenti e per un dibattito che, ancora oggi, è più aperto che mai. (s.pelaia@corrierecal.it)

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