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LIBRO NERO | I palazzinari e i capitali del clan. «Scrivi Berna, leggi Libri»

Il ruolo degli imprenditori coinvolti nell’inchiesta sul casato mafioso di Reggio. Che, secondo la Dda, tramite loro riciclava e reinvestiva, puliva denaro mafioso e costruiva palazzi, apriva centr…

Pubblicato il: 31/07/2019 – 19:21
LIBRO NERO | I palazzinari e i capitali del clan. «Scrivi Berna, leggi Libri»

REGGIO CALABRIA Sono pezzi da novanta di Confindustria reggina. Per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo in Ance Calabria e da un anno avevano strappato anche la presidenza. Anche a livello nazionale erano riusciti ad imporsi, conquistando un posto fra i saggi di Ance nazionale in occasione del rinnovo dell’attuale presidenza. Ma, parola del pentito Enrico De Rosa, «scrivi Berna, leggi Libri».
LAVATRICI DEI CLAN Perché l’attuale presidente dell’Ance Reggio, Francesco Berna (che nel frattempo si è autosospeso da tutti gli incarichi associativi, ndr), e il fratello Demetrio, ex assessore comunale al Bilancio della giunta Scopelliti, per i magistrati sono lo strumento politico, imprenditoriale e finanziario dei clan. Il loro impero non sarebbe che una gigantesca lavatrice che ha permesso di reimpiegare capitali mafiosi. E non sotto ricatto – emerge chiaramente dall’inchiesta – ma per convinta adesione ad un progetto mafioso di dominio della città.
ADESIONE ORGANICA ALLA FAMIGLIA DI ‘NDRANGHETA I pm Stefano Musolino e Walter Ignazzitto, che con il coordinamento del procuratore capo Giovanni Bombardieri hanno diretto l’inchiesta, ne sono convinti (qui i dettagli dell’operazione e qui i nomi degli arrestati). Il gip altrettanto. Per loro, i palazzinari che hanno disseminato Reggio di case tutte uguali, gli imprenditori che hanno fatto nascere attività di ristorazione come funghi, gli esponenti delle associazioni di categoria che si sgolavano contro le interdittive antimafia, sono cosa del clan Libri. E non si tratta di «vittime» o «concorrenti esterni», chiarisce subito il gip. Il loro rapporto con il potente casato mafioso di Cannavò «non è occasionale. ma decorre dagli anni ’90 ai giorni nostri, esso è stabile e permanente e di per ciò solo idoneo al mantenimento ed al consolidamento del vincolo associativo».
I RAPPRESENTANTI DI CANNAVÒ Tutte le loro iniziative imprenditoriali, dall’impresa di costruzioni alle attività commerciali realizzate in Piazza Duomo a Reggio Calabria – mette nero su bianco il giudice – «hanno garantito alla consorteria il reimpiego dei capitali illeciti». E personalmente, i fratelli Demetrio e Francesco Berna erano «i punti di riferimento della consorteria all’interno delle istituzioni pubbliche elettive locali e dell’imprenditoria rimanendo costantemente e incondizionatamente a disposizione degli affiliati». Aggiunge il gip che «sono stati selezionati» per questo, sono stati «chiamati a farne gli interessi economici anche in seno agli Organi di governo elettivi del territorio di influenza» del clan.
RAPPORTO TRENTENNALE Un rapporto che dura da quasi trent’anni, iniziato quando i Berna hanno cominciato a ramazzare appalti al Nord Italia e proseguito in Calabria. Ovviamente, con i favori del casato di Cannavò, pronto ad intervenire in prima persona e con i propri massimi rappresentanti in caso di “problemi diplomatici” con altri clan. È il caso dei palazzi di via Possidonea e di via Nazionale Pentimele, realizzati in piena zona dei De Stefano, ma portati a casa dai Berna grazie all’intercessione del clan e previo summit “chiarificatore” con i rappresentanti degli arcoti. Anche a Gallico, che di Archi è cortile di casa, le ditte dei Berna hanno lavorato tranquilla grazie all’espresso divieto di taglieggiamento imposto dal clan Condello, su richiesta dei “compari” di Cannavò.
OBIETTIVO RICICLAGGIO E REIMPIEGO Perfettamente normale nella logica mafiosa della città, dicono tre collaboratori di giustizia che sul punto hanno fatto dichiarazioni precise e coincidenti. «Scrivi Berna, leggi Libri». E il casato mafioso di Cannavò, tramite i suoi imprenditori riciclava e reinvestiva, puliva denaro mafioso e costruiva palazzi, apriva centri scommesse, ristoranti, attività. A spiegare il metodo è il pentito De Rosa che di quelle manovre è stato protagonista. «Tutti gli affari che c’era Berna e Ferlito, c’ero io. (…) forse ho ancora una scrittura privata, se non si è persa perché è sempre dentro quella cassetta di sicurezza, con cui Berna, nel 2007, nel 2007 o 2008, mi conferiva il 50% di tutti gli incassi che faceva la Pirelli RE Franchising (…) Berna Demetrio. Perché gli è stato detto da Berna Francesco, perché negli affari che entravano in…siccome io rappresentavo una famiglia, tutto quello che si introitava si doveva dividere al 50%». In più, nei cantieri dei Berna avrebbero lavorato solo le ditte dei Libri, o al massimo quelle dei clan cui i Libri dovevano cortesia.
IL TRAIT D’UNION CON LA POLITICA Ma il potente clan di Cannavò è intervenuto anche – se non soprattutto – per supportare carriera e ambizioni politiche di Demetrio Berna, divenuto così assessore comunale al Bilancio di Reggio Calabria. A convogliare su di lui un enorme mole di preferenze non c’erano solo i Libri, ma – mette a verbale il pentito Roberto Moio – anche i Tegano. Una carriera inizialmente portata avanti in tandem con Nicolò, insieme al quale – racconta il pentito De Rosa – Berna ha partecipato ad una cena elettorale in un agriturismo di Saline con elementi selezionati del clan Libri. «Pareva un summit, non una cena elettorale» racconta il collaboratore. Del resto, «erano i politici appoggiati dalle cosche di Cannavò»
SGARBI E MAL DI PANCIA E pazienza che negli anni Nicolò si sia lamentato per aver subito più di uno sgarbo da Demetrio. «”Demetrio, Demetrio la segreteria?”, “la segreteria, la segreteria me la vedo io, me la vedo io, te la trovo io la segreteria” – racconta allo stratega Tortorella e a uno degli altri sodali – la volta scorsa non l’ha trovata, ho visto che la cosa non “quagliava”, …(inc.)…da solo ed ho fatto tutto, dopo si ricorda ho fatto tutto Demetrio, lo chiamo, che so…una volta sana a Milano, una volta qua, oggi mi da l’appuntamento e non compare. Io ci sono stato, io sona stato dentro fino a qua…(inc.)…fino a qua e gliel’hodimostrato sempre. ora basta!». Ma tutte le lamentele di Nicolò, come quelle di Presto – imprenditore di riferimento del clan, deluso per avuto in cambio del proprio appoggio elettorale solo lavori di modesta entità – non convincono i Libri e il loro stratega a “mandare in soffitta” i Berna. Il loro ruolo è fondamentale.
«FRANCESCO È UNO SERIO» «E Francesco – dice Tortorella e ammette Nicolò – è uno serio». Per De Rosa, «la persona più intelligente di tutti quanti, perché Demetrio là quello che gli dice Francesco, Fabio… Demetrio Berna sto parlando, il fratello e Fabio Berna, il piccolo, fanno quello che gli dice sempre Francesco. Francesco è l’anima imprenditoriale, Francesco è la mente». Ma le sue strategie non hanno funzionato. Anche perché, nonostante siano sempre stati attenti a mantenere un atteggiamento prudente, o anche solo a non farsi vedere in giro con personaggi troppo compromessi, non sono riusciti ad ingannare inquirenti e investigatori. Tanto meno il gip, che scrive: «Il loro rapporto con i Libri, in conclusione, ha assunto un carattere clientelare stabile, continuativo e fortemente personalizzato, e può implicare il riconoscimento di un “ruolo” per entrambi all’interno del sodalizio mafioso alla luce del fatto che le loro azioni sono ispirate dalla precisa volontà di tutelare gli interessi della consorteria a cui devono “rendere il conto”». (ac)

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