A queste latitudini per governare anche un piccolo Comune ci vogliono una buona dose di coraggio e radicalità nelle scelte quotidiane.
È bastato infatti (si fa per dire) decidere di scardinare consuetudini consolidate e chiudere le servitù di passaggio della ‘ndrangheta per smentire tutti i cinici sostenitori del “qui non cambierà mai nulla”.
Accade a Locri dove il sindaco Giovanni Calabrese usa le ruspe per abbattere le tombe abusive costruite al posto di altre tombe (qui il servizio del Corriere della Calabria) e chiede ai cittadini di denunciare «la scomparsa dei propri congiunti».
L’appello del sindaco sulla macabra storia «dei defunti estranei nelle tombe di famiglia» non resta inascoltato e la Procura di Reggio Calabria oggi mette una pietra tombale sul business della famiglia Alì di Locri e sulle pretese del clan Cordì rispetto ai lavori banditi dal Comune e dalla Diocesi (qui la notizia).
Giovanni Calabrese è lo stesso sindaco che, mesi addietro, ha denunciato la condizione inaccettabile del nosocomio cittadino (ne abbiamo scritto qui) e ha chiesto in un esposto alla Procura di «individuare i responsabili materiali e morali» della morte per arresto cardiaco di un paziente avvenuta durante un rocambolesco trasferimento in rianimazione.
È l’atto di un sindaco, ma come lui ce ne sono tanti altri obbligati a combattere con le sole armi della volontà contro un esercito fatto di investimenti mancati, risorse sprecate, bisogno di lavoro, drammi di una regione che è sempre di più in fuga da se stessa.
È l’ennesimo atto di un sindaco fuori dal “comune” che lascia ben sperare anche in un contesto complicato come quello della locride.
Vincere il male con il bene è un atto di fronte al quale anche il più depresso dei rassegnati non potrà non ammettere che il cambiamento è possibile ovunque.
Oggi ci sentiamo orgogliosamente locresi. (paola.militano@corrierecal.it)
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