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«Un imprenditore voleva farla finita dopo aver denunciato i Cordì. Non lasciamoli soli»

L’appello del procuratore Bombardieri dopo l’operazione contro il clan di Locri. «L’uomo era stato allontanato dalla famiglia che non condivideva la sua scelta». Il business della morte e le minacc…

Pubblicato il: 02/08/2019 – 12:55
«Un imprenditore voleva farla finita dopo aver denunciato i Cordì. Non lasciamoli soli»

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA Erano i padroni dei cimiteri e dei cantieri, della vita e della morte i 10 uomini del clan Cordì fermati oggi per ordine della Dda di Reggio Calabria (qui nomi e dettagli). Un dominio assoluto, imposto con una ferocia militare che non ha mai avuto rispetto neanche per i defunti, spostati come pacchi e senza avvertire le famiglie, se d’intralcio al business dei clan. «Ma ad un certo punto hanno esagerato, perché c’è un limite che la gente non è disposta a superare», spiega il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che con il procuratore capo Giovanni Bombardieri ha coordinato e diretto le indagini dei pm Diego Capece Minutolo e Giovanni Calamita. Due filoni d’inchiesta distinti – uno sviluppato dai Carabinieri, l’altro dalla Guardia di Finanza – riunificati in un unico provvedimento di fermo non solo perché identici e dello stesso clan i protagonisti dell’indagine, ma identica è stata anche l’esigenza di dare una risposta immediata alle denunce di imprenditori e pubblici amministratori di Locri.
«LO STATO C’È, LA COMUNITÀ NON LI LASCI SOLI» A spiegarlo, è il procuratore capo Bombardieri, che sottolinea, ancora una volta: «Lo Stato c’è, se veniamo messi in condizioni di intervenire, le risposte arrivano e anche in modo rapido». Non è semplice ribellarsi al giogo di un clan che non ha mai fatto mistero della propria ferocia, anzi «aveva armi e non esitava ad usarle, persino a provarle per strada, contro lampioni o cassonetti». Magari anche per dimostrare a tutti il proprio potere. Proprio per questo, dice il procuratore, ben cosciente della realtà di Locri e dell’oppressione e della densità mafiosa, «non cerchiamo eroi, comprendiamo chi ha paura, ma chiediamo di non lasciare solo chi ha il coraggio di farlo». Perché uno dei principali problemi rimane l’ostracismo della comunità subito da chi decide di alzare la testa.
LA SOLITUDINE DI CHI DENUNCIA E lo sa bene uno degli imprenditori che ha parlato con inquirenti e investigatori, fornendo loro indicazioni importanti. «Era terrorizzato dall’aver fatto dichiarazioni che potevano essere accusatorie per i Cordì». E quella paura era stato condannato a viverla da solo, a elaborarla parlando ad alta voce in auto, ascoltato solo dalle cimici degli investigatori per la sua sicurezza lo monitoravano. «Era stato allontanato, quasi anche fisicamente, dalla famiglia che non condivideva la sua scelta – racconta Bombardieri – e ci sono stati momenti in cui ha pensato di farla finita». Per questo, dice il procuratore «Questa gente non deve essere lasciata da sola, deve essere accompagnata dalla comunità perché da soli diventano un obiettivo. Noi, lo Stato, ci siamo, ma deve esserci anche la famiglia, il paese».
C’È UNA COSCIENZA CIVICA Sebbene lo scenario che emerga dall’indagine sia «estremamente preoccupante perché i Cordi continuano ad avere una straordinaria operatività a Locri e non solo nel settore dei servizi essenziali», per il procuratore aggiunto Lombardo ci sono però dei segnali positivi che devono essere colti. «In questa indagine abbiamo potuto contare sull’apporto di imprenditori importanti, che vengono da famiglie già in passato in grado di fornire importanti informazioni all’Autorità giudiziaria. Quindi c’è coscienza civica nella Locride. Per questo noi abbiamo deciso di intervenire subito per dare risposte immediate». Traduzione, bisogna creare le condizioni perché queste informazioni arrivino. E non solo dai privati, ma anche da pubblici amministratori.
E C’È (ANCHE) BUONA AMMINISTRAZIONE Sono state proprio alcune decisioni e ordinanze del sindaco, con i malumori che hanno provocato, a far fare ai Cordì l’errore che ha portato al loro arresto. Quando Calabrese ha deciso di licenziare i dipendenti assenteisti, che nel cimitero hanno sempre gestito il business della morte per il clan Cordì hanno reagito male. E quando, con un’ordinanza ha ordinato la demolizione delle cappelle abusive, hanno fatto peggio». All’indirizzo del sindaco sono arrivate minacce pesantissime. «Giovannone ti farò sapere dov’è sepolto un tuo parente da tantissimi anni» è uno dei messaggi con cui il clan ha fatto sapere al sindaco di aver facoltà e modo di spostare i resti a proprio piacimento e senza informare i parenti. Una pratica comune per i Cordì e i fratelli Alì che per loro si occupavano di quel ramo di business. «La ‘ndrangheta dei Cordì è una ‘ndrangheta che ha delle particolari caratteristiche di violenza a cui non vuole rinunciare. A volte esagerano. Hanno preteso – afferma Lombardo – di superare l’ordinanza con cui il sindaco metteva ordine nel cimitero, ma alla gente i morti non glieli puoi toccare».
I PADRONI DELLA MORTE Per gli Alì, non solo il cimitero, ma tutta la filiera del lutto – le onoranze funebri, le sepolture, la costruzione e assegnazione di loculi, erano un business personale. E su cui pretendevano l’esclusiva. Persino la vendita di fiori era esclusivamente ad appannaggio del clan.
DALL’ASSENTEISMO ALLA TELECAMERA SU CASA CORDÌ E dire che l’indagine era partita da altri presupposti. All’inizio nel mirino degli investigatori c’erano solo gli innumerevoli casi di assenteismo all’interno del Comune di Locri. Ma monitorando gli Alì è venuto fuori uno spaccato ben più grave. Assenteisti da sempre, così tranquilli da non timbrare mai o quasi il cartellino, entrando e uscendo a proprio piacimento, gli Alì chiacchierando al telefono hanno permesso di arrivare ai Cordì, più volte intervenuti per «er risolvere dissidi fra imprenditori dei servizi funebri, ovviamente sempre a favore degli Alì». Grazie ad una telecamera piazzata di fronte a casa Cordì, le forze dell’ordine hanno anche “catturato” i momenti in cui padre e figli provavano tre fucili. (a.candito@corrierecal.it)

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