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«No a referendum su Oliverio, ragioniamo sul futuro della Calabria»

Intervista al deputato dem Viscomi. Le possibilità di un dialogo Pd-M5S («ma sulla base di un programma, non di un contratto»). I riflessi sulle Regionali («ci saranno, è evidente»). E la scelta de…

Pubblicato il: 22/08/2019 – 12:20
«No a referendum su Oliverio, ragioniamo sul futuro della Calabria»

CATANZARO Dopo lo showdown del dibattito parlamentare, “grandi manovre” sono in corso a Roma per trovare una mediazione. Il passaggio dal governo giallo-verde a un possibile esecutivo giallo-rosso non è privo di ostacoli. Tra pontieri e “sminatori” (copyright di Matteo Renzi) si lavora per superarli. Su che basi e con quali prospettive prova a spiegarlo anche Antonio Viscomi, parlamentare del Pd che racconta di un dialogo già avvenuto, nei lavori della commissione lavoro, con i colleghi grillini. Se questo dialogo attecchirà e porterà a un accordo, il riverbero dei suoi effetti si sentirà anche nella campagna elettorale per le prossime Regionali. Questo mentre nel Pd calabrese infuria una lotta dei comunicati stampa che «non appassiona» Viscomi e il dibattito va avanti «come se la situazione fosse statica».
Partiamo dalla domanda del giorno: governo Pd e M5S o elezioni?
«Risponderei così: governo forte per azioni e scelte altrettanto forti; altrimenti, è meglio andare ad elezioni. Il paese ha bisogno di azioni forti per attivare processi positivi sul lavoro e sulle imprese, sulle infrastrutture, sull’ambiente, sulla burocrazia, sulla legalità, sul mezzogiorno: un accordo di governo ha senso se mette a fuoco queste questioni. E io credo che sia possibile e forse anche auspicabile. In effetti, andare al voto ora significa consegnare il paese nelle mani della destra più reazionaria ed antiliberale che abbiamo conosciuto negli ultimi tempi, e consentire a questa destra di occupare in pochi anni tutti gli spazi istituzionali, potendo nominare in un arco di tempo ristrettissimo dal presidente della Repubblica ai vertici delle forze armate, dalle Autorità di garanzia ai giudici della Corte costituzionale».
È possibile farlo con M5S?
«In genere si dice che la politica è l’arte del compromesso possibile. Per mia esperienza personale, in questo anno trascorso in commissione lavoro abbiamo assunto già indirizzi comuni con i deputati del Movimento. Soprattutto, abbiamo imparato che quando si abbandonano i pregiudizi e si lavora su cose concrete è possibile trovare reali punti di incontro. L’importante è ricordarsi sempre che i fatti sono ostinati e prevalgono su tutte le possibili letture ideologiche. D’altronde, va ricordato che a giugno dello scorso anno Graziano Delrio ha voluto segnare l’azione legislativa del gruppo parlamentare con tre progetti di legge, che ho sottoscritto pure io insieme ad altri, sul salario minimo, sul contrasto alla povertà e sul sostegno alla genitorialità. È su temi come questi che si può dialogare positivamente».
Ma si può governare insieme dimenticando gli scontri avvenuti fino ad ora?
«Non è una questione di persone, ma di linea politica: per governare insieme devono cambiare gli obiettivi politici. E questi obiettivi devono essere condivisi. E devo sottolineare che nel contratto del governo giallo-verde gli obiettivi non erano condivisi, cioè comuni, ma solo giustapposti: alcuni della Lega, altri solo del Movimento. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Non si governa sulla base di un contratto (la cui logica è: io do una cosa a te, tu dai una cosa a me) ma sulla base di un programma condiviso (la cui logica invece è: insieme facciamo delle cose che crediamo di interesse comune)».
Crede che la situazione nazionale, nel caso di formazione di un nuovo governo, avrà riflessi anche in quella regionale?
«Certo che sì, è del tutto evidente. Cambia il contesto e quindi ne risentono anche alleanze, strategie, obiettivi. A destra e a sinistra. Tutto subisce un dinamismo che dovrà essere compreso e governato. Mi pare, invece, che in Calabria si continui a ragionare come se la situazione fosse statica».
In effetti, mai come in questo periodo c’è un fiorire di comunicati pro o contro Oliverio, pro o contro le primarie. Lei cosa ne pensa?
«La guerra dei comunicati non mi entusiasma e credo non aiuti più di tanto. La segreteria nazionale ha assunto una posizione chiara, chiedendo a tutti, sulla base di un ragionamento strettamente politico, di ricercare una candidatura di sintesi adeguata alla fase politica nuova, senza cadere nella trappola di trasformare in referendum pro o contro Oliverio quello che dovrebbe invece essere un ragionamento collettivo sul futuro della Calabria e sulla proposta politica più adeguata al tempo che oggi ci è dato di vivere. Un tempo con tutte le sue complessità che chiedono di essere interpretate e comprese e per le quali non servono più i vecchi schemi di lettura che spesso continuano a essere riproposti in modo inerziale. Basti pensare al lavoro: in un contesto che ormai tutti definiscono “società 5.0” rispondiamo con i modelli di intervento inventati nel secolo scorso e poi ci domandiamo perché i ragazzi emigrano. Andrea Orlando, vice segretario nazionale del partito, ha detto questo con molta chiarezza. E altrettanto ha fatto dopo Oddati. Io credo che vi sia una esigenza prioritaria: definire una nuova agenda politica e di governo adeguata alle trasformazioni che stiamo vivendo, su cui costruire alleanze sociali e riportare nell’arena politica energie ed esperienze che sono state tenute ai margini della vita politica e istituzionale. E queste energie sono veramente tante: dal laicato cattolico alle associazioni di scopo, dal volontariato alle categorie professionali, dalle parti sociali ai sistemi formativi e culturali, e così via. Questo è il momento, dovrebbe essere il momento per creare reti e relazioni, per superare diffidenze spesso radicate e motivate, per disegnare una realistica visione di insieme di questa regione e per operare delle chiare scelte di campo. Come ha ben detto Gratteri a Soveria Mannelli, non a caso ripreso e rilanciato con forza da un sindacato come la Cisl: “Tutto sta a convincerci che è possibile cambiare, dobbiamo solo prendere posizione, essere seri, coerenti e costanti”».
E la questione delle primarie?
«Sono le idee e la capacità di mobilitazione, e non le primarie taroccate e i tesseramenti viziati, a fare un partito. E un partito che non elabora e non propone un modello di società e di relazioni sociali si trasforma per forza di cose in un comitato elettorale. Io credo invece che il Pd debba riaffermare urgentemente il suo essere partito riformista e popolare. Per questo sto andando in giro nelle piazze anche (e direi soprattutto) di piccoli e piccolissimi comuni, incontrando le persone per parlare di sanità e regionalismo differenziato: non si tratta di rivendicare più soldi o maggiori spazi di potere, ma di proporre ad alta voce una visione di paese, in cui la sussidiarietà sia solidale, ma la solidarietà sia efficiente perché non possiamo permetterci più sprechi organizzativi, gestionali e finanziari che producono benefici per pochi e danni per molti. E la gente su questi argomenti parla per ore, interroga, pone domande, ascolta e suggerisce. Perché sente che la politica non è distribuire prebende ma costruire insieme il proprio futuro. A partire dai dati, duri e difficili, dell’ultimo rapporto Svimez, rispetto al quale mi sembra sia calato troppo velocemente il silenzio». (rpol)

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