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Chiusa l'inchiesta sulla rete internazionale dei clan della Locride

A pochi mesi dal maxiblitz la Dda di Reggio ha concluso l’indagine “European ‘ndrangheta connection” che ha svelato i business delle cosche, dalla cocaina ai bitcoin

Pubblicato il: 02/09/2019 – 17:04
Chiusa l'inchiesta sulla rete internazionale dei clan della Locride

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA A pochi mesi dal maxiblitz internazionale che ha disegnato la rete europea di interessi, relazioni e affari dei clan della Locride, la Dda ha chiuso le indagini nei confronti dei 63 indagati appartenenti o vicini ai clan Pelle-Vottari, Romeo e Giorgi e Ietto-Marando.
GLI INDAGATI Nei giorni scorsi, l’avviso di conclusione dell’inchiesta “European ‘ndrangheta connection” è stato consegnato a Katia Annunziata, Antonio Barbaro, Domenico Barbaro, Giuseppe Campagna, Maria Rosaria Campagna, Luciano Camporesi, Salvatore Santo Cappello, Bruno Catanzaro, Fausto Commarà, Natale Condò, Antonio Costadura, Orsolia Andrea Cundy, Roberto Esposito, Andrea Gentile, Giovanni Gentile, Carmelo Vincenzo Gerasolo, Giovanni Giorgi, Rosario Grasso, Giovanni Grasso, Vitesh Jamnapersad Guptar, Antonio Ietto, Domenico Antonio Jerinò, Rocco Jerinò, Cesar Steven Linares Ramires, Carlo Luciano Macrì, Girolamo Macrì, Francesco Manglaviti, Francesco Marando, Marco Martino, Pasquale Biagio Muzzupappa, Salvatore Pacino, Antonio Paparo, Antonio Pelle, Domenico Pelle (cl.50), Domenico Pelle (cl.92), Francesco Pelle (cl.90), Giuseppe Pelle (cl.81), Francesco Pelle (cl.98), Giuseppe Pipicella, Antonio Pizzata, Domenico Romeo, Filippo Romeo, Francesco Luca Romeo, Giuseppe Romeo, Sebastiano Romeo (cl.79), Sebastiano Romeo (cl.92), Giulio Fabio Rubino, Serafino Rubino, Vincenzo Salzano, Angelo Sansoterra, Antonio Scalia, Stefano Scalia, Raul Singh, Antonio Strangio, Domenico Strangio, Giuseppe Strangio (cl.59), Giuseppe Strangio (cl.95), Sebastiano Strangio, Santa Ursini, Giorgio Violi, Gianluca Antonio Vitale, Teresa Vottari e Antonio Zappia. Tutti quanti sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento, riciclaggio, intestazione fittizia di beni, traffico, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
L’INCHIESTA Esito di un lavoro internazionale, che ha visto la Dda di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, lavorare gomito a gomito con i colleghi di Paesi Bassi e Germania nel Joint Investigation Team di Eurojust, l’inchiesta ha svelato non solo la rete di affari che gira attorno al grande business della cocaina, ma ha mostrato con chiarezza come la ‘ndrangheta sia capace di comprare bar e investire in bitcoin, coinvolgere mafie e gruppi criminali diversi Paesi senza cedere autorità ma acquistando consenso, fare affari e redistribuire denari, mantenendo così immutate le posizioni di potere dei suoi vertici storici. Un’organizzazione – ha svelato l’indagine che per l’Italia è stata coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm Francesco Tedesco – a più facce e impegnata in diversi ambiti, capace di esplorare le più avveniristiche forme di investimento senza dimenticare di “dar da mangiare” a picciotti di medio e basso calibro. Nella stessa organizzazione, convivono uomini in grado di gestire importazioni di tonnellate di cocaina dall’America Latina, comprare ristoranti, bar e caffè in Germania per trasformarli in centri di smistamento occulto dei traffici di droga, mettere in rete gruppi criminali di diversa origine e soggetti come i fratelli Francesco “Chivas” e Sebastiano “Zucchero” Strangio, che non esitavano a tirare fuori la pistola in un night di Amsterdam, terrorizzando gli avventori, salvo poi battere in ritirata se rimproverati da un boss di più alto livello come Santo Vottari.
I MILLE VOLTI DELLA ‘NDRANGHETA «Non ci si lasci ingannare, in questa analisi – aveva spiegato all’epoca il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – dal fatto che la ‘ndrangheta continui ad operare anche in settori apparentemente minori, quale può considerarsi la ristorazione. La gestione di attività poco rilevanti dal punto di vista imprenditoriale è lo strumento immediato per replicare all’estero il modello operativo che la ‘ndrangheta usa da decenni in Italia. Secondo tale modello non bisogna mai perdere il contatto con la base, per evitare di trasformare l’organizzazione criminale in un’entità spersonalizzata e distante dalle esigenze quotidiane dei suoi associati. In altri termini, nell’ambito di una evidente stratificazione operativa verso l’alto, la testa dell’organizzazione agisce nella consapevolezza che i vantaggi vanno distribuiti verso il basso. La ‘mdrangheta ha sempre agito così e continuerà a farlo in Italia ed all’estero, gestendo in parallelo settori ad altissima redditività, che garantiscono gli investimenti si settori strategici (come dimostra il suo ruolo di motore mondiale del traffico internazionale di sostanze stupefacenti) e le azioni delittuose arcaicamente mafiose, secondo una logica redistributiva che le consente di mantenere inalterato il tasso di consenso sociale, inferno e esterno, di cui gode». (a.candito@corrierecal.it)

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