di Alessia Truzzolillo
CATANZARO Ennesimo colpo a una cosca «di seria A», «capace di interfacciarsi, negli anni passati, con i clan di San Luca per cogestire il traffico di droga e anche per scambiarsi i killer». Questo l’incipit dell’operazione “Crisalide 3”, riassunto, a inizio conferenza stampa, dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Al suo fianco i militari che hanno condotto le indagini – coordinate dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Elio Romano –: il nuovo comandante del comando provinciale di Catanzaro Antonio Montanaro, il colonnello Giuseppe Carubia, comandante del Nucleo operativo del capoluogo, il colonnello Massimo Ribaudo, alla guida del gruppo carabinieri di Lamezia Terme e il maggiore Donato Pontassuglia, comandante del Nucleo investigativo del Gruppo di Lamezia Terme.
Ventotto persone sono state raggiunte, venerdì mattina (ne avevamo parlato qui), da ordinanza di custodia cautelare. L’operazione “Crisalide 3” contro la cosca lametina Cerra-Torcasio-Gualtieri ha visto arresti tra Terni, Rimini e Lamezia Terme. Quattordici persone erano libere, 16 si trovavano già ristrette in carcere, in seguito alle condanne per le precedenti operazioni contro la consorteria o per altra causa.
Pesantemente decapitato dei suoi vertici con le operazioni Chimera e Crisalide 1 e 2, il clan ha dimostrato una pesante resilienza sul territorio cercando di perpetrare il controllo sulle estorsioni, con l’aiuto di giovani innesti che hanno preso il posto degli azionisti precedenti.
Il mantenimento dei detenuti in carcere, e il bisogno di fondi da far confluire nelle casse comuni, ha ulteriormente esacerbato gli animi: la consorteria ha cercato di imporsi sullo spaccio di droga con la pretesa di ottenere il controllo esclusivo delle piazze di spaccio. A fare da contraltare – come ha sottolineato il colonnello Massimo Ribaudo – «c’è stato il contributo fattivo con le forze dell’ordine da parte di alcune delle parti offese». Il segno di un’apertura alla fiducia nelle forze di polizia e nella Procura. «Anche a Lamezia si può fare impresa in maniera libera», ha sottolineato il colonnello.
Associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, estorsioni, danneggiamento, sono i principali capi di imputazione contestati agli indagati. «La cosca – ha sottolineato il procuratore Capomolla – nel corso degli anni ha continuato a perpetrare il controllo del territorio attraverso l’aiuto di giovani che hanno preso il posto degli azionisti precedenti. Sono stati registrati rapporti tra gli esponenti apicali in carcere e soggetti che facevano da collegamento con l’esterno». La cosca non ha avuto scrupoli nell’usare minori per comperare giochi pirotecnici da cui veniva ricavata la polvere per costruire ordigni esplosivi artigianali utilizzati per le intimidazioni agli imprenditori estorti.
LA RIORGANIZZAZIONE E QUEI COLLOQUI IN CARCERE «Già nel 2008 è stata accertata l’esistenza della cosca con la pronuncia di una sentenza da parte del gup distrettuale – come specificato dal colonnello Carubia –. Dopo le operazioni che hanno colpito i Giampà e i Iannazzo, i Cerra-Torcasio-Gualtieri hanno cercato di affermarsi ulteriormente». Dopo Chimera la cosca tenta una prima riorganizzazione richiamando dalla Germania Antonio Miceli per porlo a capo della consorteria. Arrestato nel corso dell’operazione Crisalide nel 2017 è stato recentemente condannato a 20 anni di reclusione in primo grado.
Un nuovo tentativo di riorganizzazione viene fuori dai colloqui in carcere. «Emerge la figura di Ottorino Ranieri – racconta il colonnello Ribaudo – che grazie alla sua fidanzata, Francesca Falvo, era in grado di continuare a mantenere le redini dell’organizzazione dando messaggi chiari e specifici, arrivando a consigliare anche con quali toni bisognava rivolgersi ad alcuni imprenditori, oppure disposizioni nei confronti degli affiliati rimasti in libertà. Questo ha permesso di stabilire la capacità del clan di rigenerarsi nonostante i provvedimenti presi nei suoi confronti ma dall’altro lato, ogni tentativo di riorganizzarsi è stato subito stroncato dalla Procura e dall’attività svolta dai carabinieri». Altra figura che viene fuori è quella di Francesco Gigliotti che fino al 2010 era un affiliato di spicco del clan Giampà-Notarianni, clan rivale ai Cerra-Torcasio-Gualtieri. «Nel 2016 era transitato alle dipendenze di Antonio Micheli lamentando il fatto che non era stata retribuita la sua disponibilità nei confronti dei Giampà-Notarianni, in particolare nei confronti della famiglia Trovato, nonostante si fosse si fosse dichiarato disponibile anche all’esecuzione di alcuni mandati omicidiari», spiega Ribaudo.
«È un primo risultato operativo – dice il comandante Antonio Montanaro – di attività di indagine che sono state condotte sul territorio. Due anni fa nasceva il Gruppo carabinieri di Lamezia Terme per implementare il contrasto alla criminalità organizzata della città della Piana». Un contrasto che oggi ha lasciato una consorteria spoglia dell’ultima fascia degli accoliti, come fa notare il maggiore Pontassuglia. Basti pensare che non vi è stato, come di solito avviene in questi casi, sequestro di beni o di somme di denaro. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
https://youtu.be/QfwOHJSW05Q
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