di Sergio Pelaia
CATANZARO Un mondo parallelo in cui un presidente di Regione propone di scrivere una legge «al bar», dove i burocrati della cosa pubblica eseguono le indicazioni impartite da “esperti” senza ruoli ufficiali ma vicini a un’eminenza che si muove «di nascosto, dietro le quinte» della Cittadella. Una dimensione grottesca in cui gli operatori della cultura si comportano come «squali», dove l’ostentato proposito di aiutare i più deboli si traduce nella presenza, diretta o indiretta, di persone in rapporti «confidenziali» con la compagna del governatore Mario Oliverio, Adriana Toman, in tutti e tre i progetti beneficiari di un bando (quello del 2016) per i circuiti teatrali regionali.
Gli elementi raccolti dalla Guardia di finanza nell’inchiesta che ha portato la Procura di Catanzaro a chiedere il processo per 9 persone fanno spesso pensare a una sceneggiatura paradossale che mette insieme circostanze note da tempo, a molti, nei corridoi della Regione. Fatti e retroscena surreali che però, al di là di quali ne saranno le ripercussioni penali, fanno una certa impressione per come sono descritti dagli ufficiali della Polizia giudiziaria che se ne sono occupati e che li hanno trascritti in atti depositati a disposizione delle parti.
«CHIDDA TI VINNI LI SPETTACOLI» Come si ricorderà, la vicenda del bando vinto da chi si definiva componente di una sorta di “staff” del governatore è stata rivelata dal Corriere della Calabria a settembre del 2016 e, dalle successive indagini, sono «…emersi chiaramente i rapporti confidenziali tra gli indagati, Adriana Toman e Marco Silani (testimoniati dalle numerosissime conversazioni intercorse tra questi ultimi e dal loro tono), dovuti, verosimilmente, agli stretti legami di carattere lavorativo intercorrenti tra gli stessi». Due degli spettacoli della compagnia di Silani hanno la regia di Toman ed entrambi sono realizzati «in collaborazione» con una Fondazione benefica. Dalle conversazioni intercettate «si evince» che la compagnia di Silani «sia finanziata» dalla Fondazione «e che quest’ultima, a propria volta, riceva (previa rendicontazione) contributi dalla Regione». A ciò si riferisce un dialogo intercettato tra Silani e Dante De Rose (il terzo componente del “cerchio magico” con Toman e Silani, per il quale però è stata chiesta l’archiviazione e non il processo) in cui quest’ultimo «dice di essere rimasto senza lavoro» e «fa notare al Silani che lui lavora grazie alla Toman»: tramite la Fondazione, insomma, «…chidda ti vinna li spettacoli», dice De Rose. Silani però contesta questa ricostruzione dicendo che i rapporti con la Fondazione li tiene lui e non la Toman. Al che De Rose gli dà del «presuntuoso».
SE CHIAMA LUI «NON LO CAGA NESSUNO» Come abbiamo raccontato qui, nel periodo oggetto di indagine – a cavallo tra il 2016 e il 2017 – una composita schiera di personaggi si muoveva ai piani alti della Cittadella con mandati quasi mai istituzionali e quasi sempre dettati dalla vicinanza a uomini e donne ombra del governo regionale. Emerge così, da una conversazione intercettata tra Toman e Silani, la figura del «referente»: lei dice che non è il caso di organizzare più spettacoli perché è troppo faticoso, lui le risponde che si è presa troppe responsabilità nell’organizzazione, che avrebbe dovuto pensare solo alla regia e lasciare l’organizzazione a un’altra persona. Toman però obietta che questa terza persona «non ha i contatti (che presumibilmente ha lei)» e che «se chiama» lui «non lo caga nessuno!». Silani però controbatte dicendo che se «… uno sa che è referente di… è diverso…».
IL TEATRO IN CALABRIA, TRA «CAPIBASTONE» e «SQUALI» Al di là di incontri, assemblee e interlocuzioni varie, dalle carte dell’inchiesta si capisce che la stima tra alcuni degli operatori del teatro calabrese non è sempre, per usare un eufemismo, né alta né reciproca. Tra accuse pronunciate a mezza bocca, sotterfugi e sospetti velenosi. Toman definisce qualcuno degli operatori un «capobastone», mentre afferma che qualcun altro invece «riusciva a sapere dei bandi attraverso conoscenze all’interno della Regione». Spiega che ci sono compagnie più grandi e meglio organizzate imprenditorialmente che – con atteggiamento da «squali», secondo lei e Silani – pretendono una percentuale di finanziamento più alta rispetto agli altri. L’obiettivo del “nuovo corso” di Oliverio è invece, a loro dire, quello di concedere risorse consistenti anche a chi «deve crescere».
LA TUTELA DEI «DEBOLI» Sarebbe proprio questa, in soldoni, la motivazione politica data ai criteri del bando che sono stati poi contestati dalle compagnie escluse. E la Gdf annota che una conversazione di gennaio 2017 tra Toman e Silani «avvalora decisamente la tesi che entrambi abbiano influito sui criteri di selezione dell’azione 2 del bando sui circuiti teatrali», anche se loro ne danno appunto una lettura in chiave positiva. Che è cioè quella di tutelare le compagnie «che sono più deboli». Ma è fin troppo facile mettere in fila i fatti e notare come i «deboli» beneficiari del bando abbiano alla fine affidato la direzione artistica dei loro progetti proprio a Silani e De Rose. «Se tutto questo sta succedendo – dice a un certo punto Silani a Toman – è grazie alla tua volontà, tu sei stata la prima che volevi mettere mano alla legge per aiutare tutti, e sti stronzi invece…». Al che Toman gli consiglia di scrivere anche questo sulla mailing list, ma Silani le risponde che non può, altrimenti qualcuno estrapolerebbe la frase e la porterebbe ai giornali. La frase più emblematica su alcuni operatori del settore è però un’altra e la pronuncia proprio la compagna del governatore: «Questi qua continuano ad essere preoccupati di doversi scannare tra di loro per l’osso»
IL BAILAMME DI DICEMBRE 2016 La questione della legge regionale sul teatro è per la Gdf «del tutto analoga e parallela» a quella del bando 2016 finito al centro dell’inchiesta. A dicembre 2016 parte una serie tragicomica di eventi che lo dimostra in maniera lampante. Toman, De Rose e Silani si incontrano per comparare il testo proposto dagli operatori «con quello ideato dagli stessi indagati in modo da elaborarne una versione definitiva», che poi «Oliverio presenterà alla prima riunione utile della giunta». Qualche giorno dopo De Rose viene «convocato in orario serale» a casa Toman alla presenza di Oliverio. Silani non c’è, non sono riusciti a rintracciarlo, quindi a fine serata De Rose lo chiama e gli racconta com’è andata, dicendogli di «aver illustrato punto per punto alla Toman e al presidente la legge sul teatro». De Rose conclude spiegando di essersi sentito «uno di famiglia» con Toman e Oliverio. Silani gli risponde che con il presidente si può ragionare per migliorare le cose, ma «è la Toman che non le focalizza e “gliele gira a modo suo”».
L’INCONTRO COL DG E LA PAURA DELLA FUGA DI NOTIZIE Negli stessi giorni Oliverio dice alla compagna che l’allora dg del dipartimento Pasquale Anastasi sta scendendo da Napoli e che si sarebbe fermato a Cosenza a «incontrare Dante» per «vedere quali sono i punti». Quindi Toman invita a casa sua De Rose, Silani e poi lo stesso Anastasi «così si pranza insieme a si lavora» (sulla legge, annota la Gdf). Anastasi spiega che con lui c’è anche Salvatore Bullotta, all’epoca componente della struttura dell’allora vicepresidente della Regione Antonio Viscomi. Toman in un primo momento non palesa alcun problema, ma poi dice a Silani che è possibile che Bullotta (inizialmente indagato, ma per il quale è stata poi chiesta l’archiviazione) possa far trapelare qualche notizia all’esterno. Torna a questo proposito il timore che la vicenda venga scoperta e rivelata dal Corriere della Calabria, e altrettanto palese è la paura che si venga a sapere che la stesura di una legge venga discussa in ambienti tutt’altro che istituzionali e con persone che non hanno alcun ruolo ufficiale. Oliverio, informato della situazione, infatti si arrabbia: consiglia alla compagna di far fare la riunione in un altro luogo e le dice di non andarci. Suggerendo, al limite, di farla fare anche in un bar. Ma lei obietta: «Ma come facciamo noi a… a far fare una legge in un bar…?! Parliamoci chiaro!». Oliverio impreca e alla fine è lui stesso a far rimandare l’incontro, ma Toman spiega al governatore che si sarebbero esposti a una fuga di notizie perché se «si mettono a lavorare alla legge… Marco e Dante che non hanno un ruolo alla Regione come me… che non hanno niente… si espongono lo stesso, per cui finirà sul giornale». (s.pelaia@corrierecal.it)
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