COSENZA «Due gli eventi – uno dei quali più che probabile – che hanno aggravato ulteriormente la qualità dell’assistenza sanitaria in Calabria». È l’incipit dell’appello per intervenire nella sanità calabrese lanciato al ministro della Salute Roberto Speranza da oltre trenta docenti degli Atenei calabresi che si ritrovano tra le fila della Fondazione TrasPArenza, Laboratorio per gli studi giuridico-economici per la salute dell’UniCal. «Due eventi – spiegano – che si aggiungono alle negatività estreme causate dall’assenza del personale necessario, da una rete ospedaliera malconcia, una tecnologia obsoleta, una governance aziendale precaria e non propriamente all’altezza dei suoi compiti. La prima è la dichiarazione di dissesto dell’Asp di Reggio Calabria – nel marzo 2019 interessata da un provvedimento prefettizio di scioglimento per infiltrazione e condizionamento mafioso ex art. 143 Tuel, così come accaduto nel corrente mese anche per l’Asp di Catanzaro -; la seconda è la più che temuta dichiarazione di dissesto dell’Asp di Cosenza. Eventi che renderanno evanescente il sistema della salute calabrese. Due aziende sanitarie importanti con bilanci compromessi, la seconda delle quali è tra le più grandi del Paese, dal momento che assiste oltre 750 mila persone distribuite in 150 Comuni».
«Tutto lascia supporre – proseguono – che ai detti dissesti si aggiungeranno quelli delle restanti Asp di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, di per sé segnatamente deboli nei loro conti. Gli intervenuti provvedimenti di dissesto (pronunciati secondo l’art. 5 della legge 60/2019 che ha convertito il “decreto Grillo”), sono stati assunti in applicazione della disciplina del testo unico degli enti locali. L’opzione legislativa ha suscitato dubbi di legittimità».
«L’estensione della disciplina del dissesto degli enti locali alle aziende sanitarie – è detto ancora nell’appello – è scelta non condivisibile. Infatti, dell’esito negativo del bilancio delle aziende della salute deve risponde esclusivamente la Regione con proprie risorse. Invocare l’applicazione di una disciplina prevista per gli enti ad autonomia amministrativa ad aziende con autonomia imprenditoriale derivata dall’autonomia legislativa regionale, è soluzione incongrua e contraddittoria».
«La tutela della salute in Calabria – denunciano – rischia così di scomparire. Sono legislativamente negati i livelli essenziali di assistenza. Questi non sono esigibili in egual modo da tutti i cittadini del territorio regionale, salvo che in alcune aziende ospedaliere ove prevale la dedizione indefessa di alcuni bravi operatori. Le conseguenze saranno gravissime con più che probabile incremento dell’esodo dei calabresi alla ricerca di assistenza fuori regione».
«Le ricadute dei dissesti – spiegano – saranno deflagranti. Vi è il rischio elevato che molte fasce sociali saranno private dell’assistenza. Si determineranno danni irreparabili al ceto dei creditori del servizio sanitario regionale e agli erogatori privati convenzionati e accreditati-contrattualizzati. Decrescerà il Pil regionale con possibile perdita occupazionale. Si causeranno danni ingenti al sistema assistenziale territoriale impoverito in quei presidi fissi che da lungo tempo assicurano prestazioni alle famiglie delle difficili periferie calabresi».
«Si aggiunge un’ulteriore causa di crisi della Calabria – fanno presente i docenti – stremata dai disservizi e dalla desertificazione economica. Con il dissesto vi è il pericolo di rendere ineseguibili le forniture industriali dei farmaci a dispensazione per conto (DPC), ovverosia di quelle specialità medicinali, spesso salvavita, acquistate direttamente dalle Asp e distribuite attraverso le farmacie del territorio. Al dissesto seguirà la sospensione degli adempimenti delle aziende sanitarie ai fornitori di beni, il differimento della percezione dei pagamenti, il possibile ricorso al credito bancario di alcuni fornitori il cui ammortamento rimarrà a proprio carico, le trattative per adempimenti cosiddetti a saldo e stralcio tendenti a sensibili estinzioni di debiti parzialmente inadempiuti a danno dei creditori».
«Il dissesto – sottolineano – causerà effetti analoghi nei rapporti con le strutture convenzionate (come le farmacie) e quelle accreditate/contrattualizzate (laboratori di analisi chimico-cliniche, gabinetti di diagnostica per immagini e case di cura private), nonché con le strutture di ricovero operanti nel settore socio-sanitario e socio-assistenziale. In siffatta situazione anche lo stesso ricorso al credito bancario non supererà facilmente il rating del merito creditizio, mentre il progressivo ridursi dei margini di profitto aziendale non sempre consentiranno di fronteggiare il rallentamento e la riduzione dei pagamenti praticati dall’azienda sanitaria dissestata. I cittadini saranno ulteriormente privati di prestazioni essenziali costituenti quel minimo vitale, ancor più in quelle realtà distanti dai maggiori centri urbani».
Secondo gli esponenti della Fondazione, «la Calabria sanitaria subirà un ulteriore arretramento a causa di uno svarione legislativo».
«Lo strumento del dissesto nella disciplina degli enti locali – dicono – persegue, al contempo, la riduzione della situazione debitoria, il contenimento del deterioramento patrimoniale dell’ente e il contemperamento delle diminuite ragioni creditorie. In materia sanitaria, vigenti i principi costituzionali dell’autonomia della Regione, di cui il sistema aziendale della salute è longa manus, lo strumento non può che essere il piano di rientro disciplinato dalle leggi statali (legge di stabilità per il 2016), per risolvere le criticità di bilancio delle Asp/Ao/Aou/Irccs, oltre a quello regionale riconosciuto esclusivo dalla Consulta per uscire dal conclamato stato di crisi economica ed erogativa».
«Ciò a riprova – sottolineano ancora – che è preminente l’interesse all’equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico. In base a ciò la Calabria è commissariata da oltre dieci anni. Siffatta obiezione, qualora ribadita dalla Consulta compulsata dai creditori e erogatori lesi, determinerebbe ulteriori conseguenze significative per la stessa stabilità economico finanziaria dei conti pubblici».
Da qui l’appello finale al ministro Roberto Speranza: «Per quanto detto chiediamo al ministro della Salute il riesame del provvedimento de quo e la proposizione, se del caso, di un provvedimento emergenziale finalizzato a modificare l’attuale disciplina in senso efficacemente migliorativo delle già precarie condizioni di vita dei calabresi, sovraesposti a pericoli “istituzionali” altrove persino inimmaginabili».
Seguono le firme dei docenti presenti nella Fondazione TrasPArenza (Laboratorio per gli studi giuridico-economici per la salute dell’UniCal):
Roberto Amagliani (Univ. Magna Graecia)
Roberto Bartolino (Univ. della Calabria)
Domenico Bruno (Univ. della Calabria)
Sabrina Bruno (Univ. della Calabria)
Giampiero Calabrò (Univ. della Calabria)
Spartaco Capogreco (Univ. della Calabria)
Enrico Caterini (Univ. della Calabria)
Ottavio Cavalcanti (Univ. della Calabria)
Felice Costabile (Univ. Mediterranea)
Angela Costabile (Univ. Della Calabria)
Damiana Costanzo (Univ. della Calabria)
Alessandra Crispini (Univ. della Calabria)
Giovanni D’amico (Univ. Mediterranea)
Giuseppe De Bartolo (Univ. della Calabria)
Claudio Di Turi (Univ. della Calabria)
Valerio Donato (Univ. Magna Graecia)
Nicola Fiorita (Univ. della Calabria)
Paola B. Helzel (Univ. della Calabria)
Ettore Jorio (Univ. della Calabria)
Giovanni Latorre (Rettore emerito Univ. della Calabria)
Fabrizio Luciani (Univ. della Calabria)
Marcello Maggiolini (Univ. della Calabria)
Francesco Manganaro (Univ. Mediterranea)
Ivar Massabò (Univ. della Calabria)
Alessandro Mazzitelli (Univ. della Calabria)
Francesco Menichini (Univ. della Calabria)
Giulio Nardo (Univ. della Calabria)
Sergio Niger (Univ. della Calabria)
Marcello Piazza (Univ. della Calabria)
Cesare Pinelli (Univ. La Sapienza, già UniCal)
Geremia Romano (Univ. Magna Grecia)
Alberto Scerbo (Univ. Magna Graecia)
Giuseppe Spadafora (Univ. della Calabria)
Francesco Torchia (Univ. della Calabria)
Aquila Villella (Univ. Magna Graecia)
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