Tanto tuonò che piovve. Di fronte al reiterato vuoto della politica, ieri, una sentenza della Corte Costituzionale ha legiferato sul delicato tema del fine vita. Credo, spaccando in due il Paese. La decisione della Consulta si innesta nell’ambito del processo a Marco Cappato, accusato di istigazione o aiuto al suicidio, per avere accompagnato in Svizzera a morire Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, soggetto tetraplegico e cieco. Il giudice delle leggi ha fatto ciò inevitabilmente, sostituendosi ad una politica tanto miope quanto assente, agendo sostanzialmente sull’art. 580 del codice penale, il quale equipara l’istigazione al suicidio all’aiuto al medesimo. C’è da dire che questo articolo di codice è stato scritto poco meno di un secolo fa, quando le condizioni cliniche, biologiche, terapeutiche erano del tutto diverse da quelle attuali. Al tempo in cui fu scritta tale norma di legge, un uomo tetraplegico e cieco sarebbe morto dopo poco tempo. Oggi, la scienza medica è in grado di tenere in vita un uomo in tali condizioni di precarietà, quasi, senza limiti di tempo. Una sentenza storica si ritiene, poiché apre al suicidio assistito, ma a rigorose e precise condizioni. Tale decisione ha, come era prevedibile, determinato una reazione della Conferenza Episcopale e non solo, la quale si è immediatamente collocata in una posizione di chiaro contrasto. In sostanza, viene sancita l’incostituzionalità del reato di aiuto al suicidio, ma si badi bene, a determinate e precise condizioni. Ora, il tema è certamente delicato, involgendo questioni etiche di particolare importanza, ma sarebbe il caso di riflettere su alcuni elementi. Infatti i giudici costituzionali hanno posto quattro condizioni affinché tutto ciò possa verificarsi. Innanzitutto la presenza di una patologia irreversibile, la quale deve essere causa di sofferenze intollerabili per il malato; quest’ultimo deve essere in grado di sopravvivere esclusivamente attraverso trattamenti di sostegno vitale, e trovarsi nella piena capacità di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. Peraltro, la non punibilità è legata al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato e sulle cure palliative. Detto ciò, nella decisione della Corte non vedo alcuna presunta deriva ideologica e pericolosa. Lo dico da cattolico. Spesso ci si cela dietro il paravento dei valori non negoziabili, per cui, in una visione oscurantista, non si vogliono considerare le condizioni oggettive di salute a cui può giungere un corpo umano. Ma mi chiedo che senso ha, stiamo attenti, alle precise e rigorose condizioni dettate dalla Corte Costituzionale, mantenere in vita un corpo che di vitale non ha più nulla? Qual è il limite di demarcazione tra la intoccabilità della vita, intesa come dono di Dio, e il profilo della dignità umana nella creazione, da parte del medesimo Dio, di un uomo libero e dotato di libero arbitrio? Ragionando con la massima prudenza possibile, forse bisognerebbe indagare sulla funzione che siamo chiamati a svolgere su questa terra, se un minimo di funzione umana, diversamente da uno stato puramente vegetativo, è connessa con lo stare in vita. Con molta probabilità, la logica del diritto ha aiutato a svolgere una funzione di verità, scevra da sovrastrutture di pensiero condizionate da visioni particolarmente ideologiche e fuorvianti. Certamente questo non può portare a facili estremizzazioni, e la Consulta è di grande ausilio in questo. La vita non può essere concepita in chiave materialistica o utilitaristica, per cui anche una vita che è pregiudicata in alcune o molte funzioni vitali puo essere degna di essere vissuta. Ma il rigido confine dettato dalla sentenza si pone nel solco della razionalità, di fronte al quale il legislatore, o, per meglio dire lo Stato nella sua essenza, non può più fuggire dalle proprie responsabilità. La sentenza su Dj Fabo ha sancito la sconfitta di una politica immobile, per cui è fondamentale, a questo punto, che il legislatore metta mano ad una materia cruciale, coprendo un vuoto normativo non più tollerabile per una nazione moderna nel ventunesimo secolo. E’ indispensabile fare ciò, coniugando con saggezza ed equilibrio le varie posizioni concettuali, contemperando al meglio quella griglia di valori che ruotano intorno a tale questione. Occorre evitare che prendano il sopravvento posizioni oscurantiste, nella consapevolezza che, talvolta, il logoramento della vita può annullare la dignità e l’identità di un individuo. Ma, al contempo, occorre evitare pericolose e facili strumentazioni che, al contrario, possano minare l’importanza ed il significato di una vita terrena, non lontana da una visione “laicamente spirituale”.
*avvocato
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