di Chiara Fera
«In Calabria l’essere donna e l’età costituiscono un ostacolo alla valorizzazione nel lavoro. Le donne calabresi hanno poca fiducia sulla possibilità di crescita professionale e sul valore del merito nei percorsi di carriera. A fronte della poca soddisfazione circa l’equità di trattamento nel luogo di lavoro, risultano positivi i rapporti di collaborazione con i colleghi maschi. Il 66% delle intervistate si sente stimata e questo è un dato estremamente rilevante”. Così la segretaria regionale della Cgil Caterina Vaiti commenta il sondaggio, condotto fra 102 iscritte alla Cgil calabrese, ed illustrato a conclusione di tre dense giornate di “Rassegna sindacale sulle donne” dal titolo “Belle ciao/A fimmina m’appartena”. A Soverato la Cgil calabrese e il suo leader Angelo Sposato, hanno chiamato a discutere delle diseguaglianze di genere, esperti, espressioni dell’associazionismo, l’assessore al Lavoro della Regione Angela Robbe, l’ex presidente della Camera Laura Boldrini e dirigenti nazionali del sindacato (Galli, Camusso, Mininni, Francavilla). Landini avrebbe dovuto chiudere la tre giorni il 26 settembre, ma non è stato presente per un impegno sopravvenuto. A trarre le conclusioni è toccato a Caterina Vaiti.
Che messaggio avete voluto inviare con il titolo della rassegna?
«Appartenere significa non soltanto essere proprietà di qualcuno, ma anche occuparsi di qualcuno o di qualcosa. Ed è in questo secondo senso che l’abbiamo inteso. L’“appartenenza”, intesa come occuparsi della questione femminile, è qualcosa che deve coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la crescita del Paese. La donna è interprete del cambiamento socio culturale di cui abbiamo bisogno, se superiamo gli ostacoli che la inibiscono i vantaggi sono generali”.
Quali sono gli indici economici e sociali che caratterizzano la condizione della donna in Calabria?
«Secondo il rapporto Svimez 2019 in Calabria il tasso di occupazione femminile (15-64 anni) è del 30,2% e quello maschile è del 51,6%, contro il 32,2% femminile e 55,9% maschile del Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione femminile è del 24,2% quello maschile del 20%, mentre nel Mezzogiorno abbiamo il 21,8% per le donne e il 17,9% per i maschi. Gli occupati al Sud nei due trimestri 2018 e del primo trimestre 2019 sono calati dell’1,7% ma rimane ancora troppo basso il tasso di occupazione per le donne nel 2018: 35,4% contro il 62,7% del centro nord, il 67,4% dell’Europa e il 75,8% della Germania. In Italia lavora solamente il 46% delle donne, in una media con punte che scendono fino al 30% in alcune realtà del territorio nazionale. In una regione come la nostra il problema assume caratteri molto più preoccupanti, proprio alla luce degli ultimi dati, considerando che l’occupazione femminile ha registrato nel 2018 un tasso pari alla metà di quello dell’Emilia Romagna. Al netto delle percentuali sui livelli occupazionali, da cui si distanziano notevolmente il Nord dal Sud del Paese, pesa molto la condizione precaria e di instabilità del lavoro, oltre alla diffusa condizione del lavoro irregolare e sommerso».
Vogliamo spiegare meglio?
«In Calabria il 73% della forza lavoro femminile è assunta a tempo determinato, con una collocazione di due donne su tre nel settore dei servizi. Il gap di genere si attesta oltre i 20 punti percentuali, mentre al Nord il rapporto è al di sotto dei 15. Questo a significare che la forbice sulla discriminante di genere è inversamente proporzionale al tasso di occupazione: diminuisce man mano che crescono i livelli occupazionali”.
La diseguaglianza incide anche sui livelli retributivi?
«Certo: una donna a parità di lavoro con un collega uomo è come se iniziasse a guadagnare dalla seconda metà del mese di febbraio».
La Cgil, per analizzare questi aspetti, ha elaborato un sondaggio coinvolgendo le sue donne con l’obiettivo di meglio comprendere il loro vissuto, le loro aspirazioni, le loro difficoltà. Quali sono stati gli esiti?
«È emerso un quadro emblematico della condizione femminile calabrese, ma soprattutto l’esito è utile per ciò che intendiamo fare…».
L’indagine, si apprende dalla sua relazione, ha riguardato 102 iscritte alla Cgil. L’età delle intervistate è compresa tra i 25 e i 63 anni con un’età media di 47 anni; l’83,33% possiede un titolo di studio medio/alto (49 diplomate, 36 laureate, 14 licenza media, 3 non hanno risposto); il 67,65% è coniugata ed il 69,61% (71 su 102) ha almeno un figlio; i settori di appartenenza più rappresentativi delle donne intervistate sono i servizi, l’agricoltura, il pubblico impiego, il settore bancario, il commercio e la Scuola. In sostanza, donne giovani che affrontano quotidianamente difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia. Quali le valutazioni?
«Un primo dato che emerge dall’analisi dei risultati è l’aumento costante della scolarizzazione delle donne nella nostra regione. Nello specifico, il questionario ha affrontato le tematiche messe in rilievo con le relative risultanze su una scala di valutazione da 1 a 6. Per esempio, discriminazioni: qui si hanno risultati differenti: in generale le donne intervistate dichiarano di non subire comportamenti discriminatori sul posto di lavoro. Un’alta percentuale, non trascurabile, il 55%, afferma invece che l’identità di genere e l’età costituiscono un ostacolo nella valorizzazione del lavoro. Per ciò che concerne l’equità, la carriera e lo sviluppo professionale l’indice medio di soddisfazione è piuttosto basso: il 3,3%. Le intervistate ritengono che nella distribuzione delle responsabilità e nell’assegnazione del carico di lavoro c’è poca equità, mentre il 40% ritiene la sua retribuzione non adeguata al carico di lavoro e alla qualità con la quale esso viene svolto. È soddisfatto solo il 18%. Il 47% ritiene che nel proprio ambiente di lavoro, la possibilità di fare carriera non dipenda dal merito e il 70% che il proprio ruolo non è adeguato al profilo professionale posseduto. Tuttavia, la maggior parte delle intervistate è soddisfatta del lavoro che svolge, ritiene di avere le competenze necessarie per fare al meglio la propria attività lavorativa, dichiara di avere le risorse e gli strumenti necessari per lo svolgimento del lavoro assegnato e un buon livello di autonomia».
Dalla sezione del sondaggio che mira a evidenziare il rapporto con i colleghi uomini e il contesto in cui le donne agiscono cosa emerge?
«Il rapporto con i colleghi uomini risulta abbastanza soddisfacente con una media del 4,28%. Il 72% si dichiara disponibile ad aiutare i colleghi maschi anche se non rientra nei propri compiti e il 66% ritiene di essere stimata dai colleghi maschi. Sull’organizzazione del lavoro, la formazione, le regole interne di comportamento e la definizione di ruoli e compiti, la maggior parte delle donne si ritiene scarsamente soddisfatta. Il 40% in particolare, non è affatto soddisfatta sull’investimento in attività formative. Risulta invece positivo il senso di appartenenza all’azienda di lavoro: Il 70% si dichiara orgogliosa se il proprio Ente raggiunge buoni risultati. Anche se, pur essendo soddisfatte del lavoro svolte e pur mostrando un buon senso di appartenenza, il 43% dichiara che se potesse cambierebbe lavoro».
Sembra interessante anche il gruppo delle domande relative alla conciliazione famiglia/lavoro…
«Qui, le principali difficoltà rilevate sono: viabilità, mancanza di parcheggi, carenza di mezzi pubblici, rigidità degli orari di lavoro, costi eccessivi degli asili nido, distanza tra casa, lavoro e asili nido. Il 13% dimostra di non conoscere per nulla le misure di conciliazione previste dalle norme e più della metà delle intervistate le conosce ma non le ha mai utilizzate (55%). Solo l’11% ne ha usufruito nel corso degli anni. La stragrande maggioranza delle intervistate non utilizza quasi mai le misure di conciliazione: congedo parentale, permesso per motivi familiari, assistenza disabili, telelavoro, banca delle ore, formazione dopo congedo».
La violenza sulle donne è l’abominio del nostro tempo…
«Sono d’accordo, è uno dei mali più biechi della nostra società. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) è il primo strumento in Europa a fissare norme giuridicamente vincolanti per prevenire la violenza maschile sulle donne e per regolare le disposizioni su come affiancare le donne che denunciano e per punire gli autori dei reati».
In Calabria invece qual è la normativa vigente e cosa c’è che non funziona come dovrebbe?
«La Regione Calabria riconosce la presenza sul territorio di 4 case rifugio e 12 centri antiviolenza. La Giunta regionale, con deliberazione n. 423 del 9/9/2019 ha approvato la riorganizzazione dell’assetto istituzionale del sistema integrato degli interventi in materia di servizi e politiche sociali; in applicazione delle leggi n.328 del 2000 e n. 23 del 2003. La disapplicazione di tali leggi sono l’emblema del fallimento del regionalismo sociale e hanno indotto per anni significative vertenze della Cgil e di tante forze attente alle problematiche sociali, della cura, dei diritti delle persone, dell’assistenza e dell’integrazione socio/sanitaria. Il Regolamento per le procedure di autorizzazione dei centri antiviolenza, accreditamento e vigilanza delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale socio-assistenziali, comprensivo delle tipologie strutture-rette-modalità di calcolo, è giacente in Consiglio regionale. La Cgil è del parere che l’approvazione deve avvenire prima della fine della legislatura».
Lei ha, nella sua relazione, evidenziato altri ritardi della Regione in relazione all’Agenda Europea, di che si tratta?
«La Calabria ha accumulato evidenti ritardi nell’attuazione dell’Agenda Europea sull’uguaglianza di genere e di conseguenza nell’utilizzo dei fondi strutturali europei. I fondi europei e in particolare il Fse, avrebbero dovuto offrire un maggiore sostegno alle politiche per le pari opportunità di genere e l’inclusione sociale, attivando finanziamenti di progetti specifici con il meccanismo dei bandi pubblici. Avrebbero dovuto investire nei settori a più alta incidenza di mercato alla domanda lavorativa di genere, e orientare l’offerta formativa finalizzata al tessuto socio economico della Calabria. Bisognava agire più incisivamente per attenuare le difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro, rafforzando le reti di protezione ed i servizi sanitari, scolastici e di cura. Questioni che rimangono centrali ed ineludibili per la nuova programmazione 2021- 2027, in una ritrovata scelta di obiettivi e di dialogo sui tavoli tematici degli accordi di partenariato».
Dopo tre giorni di confronto su inclusione, omofobia, femminicidio, sostegno alle rivendicazioni per i diritti sociali e nel lavoro, promozione culturale e conoscenza, qual è la direzione d’impegno che indica la Cgil?
«La premessa è che risolvere le criticità della “questione femminile” è davvero un impegno inderogabile, se vogliamo che la Calabria vada oltre la fase di sfiducia e rassegnazione che purtroppo si coglie in molte realtà. Noi, consapevoli dei nostri limiti ma con determinazione, riteniamo che per affrontare i problemi delle donne occorrono proposte concrete e spirito combattivo. In tal senso, la tre giorni di Soverato rappresenta un’esperienza concreta a cui ispirarsi. Intendiamo costruire un fronte che faccia delle rivendicazioni al femminile una proposta generale da elaborare attraverso un Forum permanente intercategoriale dentro la Cgil, in grado di fare rete con gli altri soggetti che sul territorio si muovono nella stessa direzione e con l’obiettivo di avere finalmente una Calabria rinnovata ed inclusiva».
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