Siamo, ancora una volta, costretti a denunciare lo stato di abbandono in cui versa la sanità in Calabria e, soprattutto, nell’Asp di Reggio Calabria.
È di questi giorni la notizia di un paziente che, per sottoporsi all’esame di una gastroscopia all’ospedale di Tropea, è stato prenotato addirittura per il 16 aprile 2021. Un’attesa di quasi due anni.
Ma di recente memoria è la chiusura del laboratorio d’analisi cliniche di via Willermin, così come la sospensione delle attività del Cup dell’ospedale Morelli per mancanza di personale, disservizi che inducono a presagire una prossima privatizzazione di queste attività.
La situazione del personale medico, secondo uno studio dell’Anaao Assomed del 2019, porterebbe ad avere un ammanco in Calabria di ben 1410 medici: «Le carenze principali – si legge nello studio – riguarderanno la medicina d’urgenza con 245 medici, l’anestesia e rianimazione con 63 medici, la ginecologia con 51 medici, la chirurgia generale con 90 medici, la pediatria con 150 medici e la psichiatria con 90 medici». Da un confronto tra fabbisogni dichiarati dalla regione e la previsione di medici in pensionamento nel periodo 2019-2025, risulterebbe la mancanza di 1093 unità di medici specialisti.
Con queste sofferenze di personale diventa impossibile garantire i Lea (Livelli Essenziali Assistenza) nella nostra regione. La terna commissariale dell’Asp di Reggio Calabria comunica di avere somministrato ai pazienti un questionario di gradimento sui servizi ospedalieri, da cui risulterebbero esserci poche luci e molte ombre sulla qualità delle prestazioni, ma nulla viene dichiarato in merito alle liste d’attesa nelle prestazioni dei Distretti sanitari dell’Asp.
Ottenere una visita medica o un esame specialistico, in tempi adeguati all’esigenza di cura, è diventato molto difficile perché siamo tutti costretti a fare i conti con lunghissime liste d’attesa. Questo, insieme all’assoluta incertezza sull’erogazione delle prestazioni e ai disservizi vari, costringono chi ha necessità a dover pagare, ricorrendo alla Sanità privata o all’intramoenia (attività privata dei medici/specialisti negli ospedali pubblici), oppure andando al Pronto Soccorso per la soluzione del bisogno. O peggio ancora a lasciar stare, soprattutto quando si tratta di analisi o altre prestazioni a fini preventivi.
Eppure la Regione Calabria era già obbligata a redigere un proprio Piano triennale delle liste d’attesa (DL 124/1998) finalizzato al rispetto della tempestività dell’erogazione delle prestazioni sanitarie. Questo piano avrebbe consentito anche di mettere a giudizio l’operato dei manager, al punto da poter rischiare il posto in caso di risultati insoddisfacenti, ma il termine indicato del 22 aprile 2019 è scaduto e del piano non vi è traccia.
Lo stesso DL prevede che, fino all’entrata in vigore del piano, qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre i termini previsti, si possa chiedere il servizio al privato ma a carico dell’azienda sanitaria, o comunque in parte in caso di non esenzione. Questa ultima previsione normativa, purtroppo poco conosciuta, è posta a garanzia che la prestazione avvenga realmente nel rispetto di tempi certi e non eccessivamente lunghi dalla data di prenotazione.
I tempi previsti sono ben definiti: 72 ore di tempo per la classe U (urgente), 10 giorni massimo per la classe B (breve), trenta giorni per le visite e sessanta per gli accertamenti diagnostici per la classe D (differibile) e 120 giorni per la classe P (programmata). In quest’ultimo caso fino al 31 dicembre valgono ancora i classici 180 giorni.
Nella realtà dell’Asp, nonostante si siano portati avanti con l’aggiornamento delle informazioni, si deve fare i conti con i 286 giorni previsti per una biopsia della tiroide, i 200 giorni da attendere per una colonscopia, 320 giorni per una ecografia cardiaca e i 288 per una visita diabetologica di controllo.
Certo non è solo responsabilità della Regione: anche il ministero della Salute ancora non ha sbloccato il riparto dei 350 milioni di euro che dovrebbero servire agli Enti per ammodernare la rete tecnologica relativa alla gestione delle prenotazioni. Questo però non può giustificare lo stato di disservizio e di inefficienza che paga sempre il cittadino che soffre di malasanità, a cui troppo spesso non rimane che procedere agli esposti alla magistratura, denunciando le inadempienze di cui è vittima.
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