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«Sul welfare allarmi infondati per mantenere lo status quo»

di Angela Robbe*

Pubblicato il: 03/10/2019 – 12:24
«Sul welfare allarmi infondati per mantenere lo status quo»

I cambiamenti generano preoccupazione, le riforme rientrano nel novero dei cambiamenti, quindi producono, per loro stessa natura, preoccupazione e resistenza.
Anche la riforma del welfare, in quanto cambiamento, produce timori e preoccupazioni, tanto più che tocca i più deboli e forse per questo, nonostante sia un atto dovuto – si tratta dell’attuazione di una norma che recepisce una norma quadro nazionale sulla cui base negli ultimi venti anni sono stati costruiti gli interventi nel sociale in Italia – ancora non è stata realizzata.
Le preoccupazioni sono comprensibili e vanno fugate con il dialogo, e attraverso il confronto vanno individuate le criticità, raccolte le proposte migliorative e messi in atto tutti i meccanismi per rendere il regolamento capace di qualificare il sistema dei servizi per come negli anni si è configurato.
Non è comprensibile la critica fine a se stessa con argomenti giuridici infondati e fuorvianti, per intendersi la critica volta a minare alla base la possibilità di adottare il regolamento del welfare, perché quando si adotta la “tecnica del rinvio” per raggiungere la perfezione, quando si creano allarmi infondati diffondendo notizie false, allora sì che si accampano scuse per mantenere le cose come stanno, e mantenere le cose come stanno, lo abbiamo visto in molte occasioni, a volte serve a garantire posizioni di privilegio, che sono la rovina della nostra Regione.
Andiamo per gradi, chiariamo innanzitutto che il regolamento del welfare è un atto dovuto e necessario: consente l’attuazione di una norma nazionale del 2000, recepita dalla Calabria con legge regionale nel 2003 e non attuabile perché manca appunto l’ultimo passaggio.
Siamo l’unica regione in Italia che non ha attuato la legge 328 del 2000 che regolamenta il sistema integrato dei servizi sociali.
Questo ci rende sempre più lontani dal resto d’Italia, costringe tutti noi ad un sistema di servizi sociali diverso e meno efficiente dal resto del paese e soprattutto ci costringe ad un sistema che è sempre meno capace di utilizzare le risorse nazionali e comunitarie.
Tutte le decisioni e la programmazione nazionale è pensata per essere attuata in sistemi organizzati secondo le previsioni ed il modello della legge nazionale 328 del 2000 e la Calabria è in difficoltà perché ogni volta deve individuare aggiustamenti ed escamotage per utilizzare risorse e realizzare attività in modalità diverse ed assolutamente non migliori rispetto al resto del Paese.
Tralascio qui di dire quali siano gli effetti che questa mancata applicazione ha prodotto e non entro nella discussione su quanto ha inciso il mancato recepimento sulla qualità dei servizi offerti.
La legge quadro prevede, tra le altre cose, che i servizi sociali siano programmati a livello regionale e gestiti a livello locale, prevede che vengano definiti standard di qualità in grado di garantire agli utenti livelli essenziali di prestazione uguali su tutto il territorio regionale e indica le modalità di gestione dei servizi.
I livelli essenziali delle prestazioni – i LEP – possono essere garantiti se si definiscono le caratteristiche, strutturali ed organizzative, dei soggetti che offrono questi servizi.
Stabiliti gli standard si definiscono i costi che le strutture sostengono per garantire ai singoli utenti le diverse prestazioni e si traducono in rette da riconoscere alle strutture a fronte delle prestazioni erogate.
A fronte di quanto prevede la norma, il regolamento definisce caratteristiche e organizzazione dei servizi, costi e modalità di erogazione.
La legge nazionale mirava a creare un sistema del sociale in cui sono coinvolti più soggetti: lo Stato, le Regioni, gli enti locali, i soggetti del terzo settore, gli utenti. Ogni soggetto coinvolto ha un ruolo e partecipa secondo i principi della “compartecipazione”e della “corresponsabilità” ala base del sistema sociale nel nostro Paese.
Il principio della compartecipazione prevede che Stato, Regioni, enti locali e cittadini partecipino alla spesa, ciascuno secondo le proprie possibilità e, in particolare per i cittadini, si tiene conto di parametri in vigore previsti nel sociale, come in sanità e come per tutti i servizi essenziali.
Ciò, a fronte di risorse limitate, garantisce che tutti i cittadini possano accedere ai servizi e che ai più deboli vengano assicurati in forma gratuita dando anzi priorità, nel caso dei servizi sociali, ai “soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze”.
La mancanza di regolamento attuativo della legge in Calabria ha creato molte distorsioni: ha costretto la regione a “gestire” le attività a discapito della programmazione, ha alimentato la distanza tra cittadini e sedi di definizione di servizi ed interventi, e ci sta portando ad avere difficoltà di accesso a risorse programmate a livello nazionale partendo dal presupposto che il modello organizzativo dei servizi sociali è quello previsto dalla 328/2000.
Quanto descritto rende urgente l’adozione del regolamento attuativo della legge 23/2003, anche perché questo consente alla regione di adempiere al proprio ruolo programmatorio.
Le ragioni che hanno reso difficile l’adozione del regolamento sono tante e diverse, dipendono dal dover tenere insieme interessi diversi, tutti legittimi, a fronte di risorse limitate, dipendono da problematiche organizzative degli enti locali, che lamentano carenza di personale, dipendono da una sostanziale difficoltà a collaborare che ci contraddistingue, tuttavia oggi è sempre più urgente adottare il regolamento se vogliamo che la Calabria non abbia più danni di quanti non ne abbia avuti dall’essere diversa dalle altre 19 regioni d’Italia.
Poiché il regolamento tocca interessi e vite deve essere condiviso e concertato, in questi mesi abbiamo costruito le sedi della concertazione, per come previsto dalla legge, ed abbiamo discusso in quelle sedi per trovare un equilibrio tra i diversi interessi e le diverse sensibilità.
Ora il regolamento, dopo il primo passaggio in giunta, per come previsto dalle norme, è in terza commissione consiliare dove se ne è dibattuto ampiamente e dove sono state avanzate proposte di modifica ulteriori che stiamo accogliendo nel regolamento, per quanto possibile, e speriamo esprima parere per poter portare nuovamente in giunta il regolamento affinché questo diventi operativo.
Le discussioni sono accese,  l’obiettivo, per quanto ci riguarda, è raggiungere un punto di equilibrio tra i diversi interessi e sensibilità che non vada a danno dei più deboli e, tenendo conto dei vincoli che esistono, ci consenta di metterci al passo con le altre regioni, avendo chiara la improrogabilità dell’attuazione di una norma che riguarda le persone più fragili che senza regolamento si vedono negato il diritto ad una assistenza in cui sono garantiti gli stessi diritti dei cittadini delle altre regioni del nostro paese.
La concertazione con Enti Locali e soggetti del terzo settore è stata utile e proficua, ed ha prodotto un risultato di buona mediazione, certamente migliorabile, ma buon punto di partenza.
Abbiamo previsto un aumento di risorse, ma abbiamo necessità di lavorare per incrementarle ulteriormente, dobbiamo accompagnare gli enti locali nel percorso  di attuazione, dobbiamo aggiornare in collaborazione con gli enti locali il fabbisogno ed approvare il Piano per il sociale che in questi mesi abbiamo predisposto e che verrà presto discusso in Conferenza unificata, ma intanto il regolamento va innanzitutto adottato perché possa poi essere eventualmente migliorato.
Se così non sarà i calabresi saranno ancora penalizzati perché non attuare questa norma ci mette nelle condizioni di non accedere a risorse e servizi che a livello nazionale sono costruiti secondo il modello della 328/2000 e questo, oltre a renderci difficile l’accesso ad alcune risorse del sociale, paradossalmente ci porta ad avere anche difficoltà a spendere le risorse dei diversi fondi nazionali che ci sono attribuite di anno in anno e le ingenti risorse del fondo sociale europeo, destinate al l’inclusione sociale.
Per non dire che la norma nazionale prevede, in caso di mancata applicazione anche l’eventualità della surroga di poteri che, detta più facile significa che la norma prevede anche la possibilità del commissariamento del sociale da parte del Governo nazionale e non so se qualcuno vuole ripetere nel sociale l’esperienza della sanità.
A questo punto mi domando: siamo sicuri che tutti questi Soloni che si ergono a difensori del meglio, e intanto non fanno che difendere il mantenimento di uno stato di irregolarità, lo facciano nell’interesse generale?
Siamo sicuri che rimandare il cambiamento per realizzare “la migliore delle riforme” non sia un modo per non fare la riforma privando ancora una volta questa regione di regole certe?
Così in attesa del meglio non si fa nulla, ma il meglio forse viene evocato per lasciare il sociale alla mercè delle singole volontà e dell’arbitrarietà più assoluta.
Se davvero vogliamo il bene di questa terra nel sociale cominciamo con l’adottare il regolamento, dopo sarà più facile anche correggere e migliorare e lasciamoci alle spalle questa dannata condizione dell’asino di Buridano.

*Assessore regionale alle Politiche sociali

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