COSENZA Se la sanità calabrese è ridotta all’osso, le responsabilità sono da individuare nelle scarse capacità manageriali di chi ha occupato incarichi di vertice. Il sommerso delle spese folli fatte negli anni precedenti all’arrivo dei commissari spiega come mai il solco tra le aspettative di vita di chi risiede in Calabria e chi invece abita nel nord d’Italia, a parità di patologia, sia di oltre due anni. Il sistema ha fatto crack per le spese folli in beni e servizi. «Per farvi capire bene in che condizioni eravate uso questa metafora: il Veneto per andare a comprare il latte ha sempre usato una utilitaria, qui in Calabria una Ferrari». L’analisi del Dg della programmazione sanitaria Andrea Urbani (già subcommissario al Piano di rientro in Calabria) è impietosa. «Beni e servizi sono un aggregato dal valore di 30 miliardi di euro annui – ha spiegato nel corso dell’incontro promosso dai Lions –. Dal 2015 la questione dei beni e dei servizi è stata arginata imponendo alle aziende sanitarie di non acquistare singolarmente ma tramite l’aggregazione di soggetti. Ci siamo concentrati su 14 categorie merceologiche e adesso posso dire che siamo acquistando con criterio». Tutto questo ha una sua logica se si pensa che, come ha riferito Urbani, se nel Veneto l’acquisto di una protesi si è sempre aggirato intorno a 300 euro in Calabria il costo era di 1.000 euro. «Non abbiamo fatto che mettere in relazione tutte le informazioni che avevamo a disposizione. L’acquisto di protesi d’anca adesso è calibrato per il numero di interventi che lo richiedono. Lo stesso abbiamo fatto con tutte le altre categorie».
Come è emerso nel corso dell’incontro “Nuove sfide per il sistema sanitario nazionale: focus sulla Calabria” (qui un nostro approfondimento ), in Calabria si spendeva (e anche tanto) in tutti gli ambiti. «La ristorazione deve essere proporzionata alle giornate di degenza, così come la spesa per le pulizie deve essere calibrata sui metri quadri dell’ospedale». Ma il vortice delle spese pazze si divide in due tronconi, da una parte i beni e servizi dall’altra l’acquisto di medicinali. «Rispetto alle altre regioni c’è una variazione di spesa di circa 100 milioni di euro», ha aggiunto Urbani. «Significa che i medici non prescrivono secondo quelle che sono le note dell’Agenzia Italiana sul Farmaco. Si spende di più e 100 milioni all’anno per i tanti anni in cui la spesa si protrae. Soldi che se usati legittimamente permetterebbero non l’assunzione di 400 unità ma di 20mila professionisti». Il sistema sanitario nazionale resiste e a tentoni anche quello calabrese, ma Urbani giustifica la ricetta del “Decreto Calabria”. «Il commissariamento in Calabria ha fallito in primis perché abbiamo lasciato potere a chi è stato commissariato di nominare i vertici delle aziende sanitarie. Questo è un paradosso. Non è più una emergenza circoscritta, è una emergenza nazionale e come tale va affrontata con gli strumenti che abbiamo a disposizione, in uno spirito di totale collaborazione affinché nel più breve tempo possibile possa essere instaurata una gestione ordinaria e ordinata».
LE RICETTE DI OXYTOCIN E I FARMACISTI PIZZICAGNOLI Mario Spagnuolo e Andrea Urbani sul controllo stretto della prescrizione smodata di farmaci vanno a nozze. Se il Dg ragiona in termini di costi, il capo della procura della Repubblica di Cosenza invece ragiona in termini di indagini. L’inchiesta “Ricettopoli” è tutt’altro che chiusa. I controlli sono serrati e sebbene dal quarto piano del palazzo di giustizia le bocche siano cucite, si intuisce come presto ci possano essere ulteriori sviluppi. «Cosenza e il suo hinterland sono sommersi dalla droga – ha spiegato il procuratore nel corso dell’incontro -. A 12 anni i ragazzini non sono solo assuntori ma anche spacciatori. Però adesso ci ritroviamo di fronte ad allarmati casi di quella che ho definito in modo forte “droga di stato”». Rotti gli indugi, il procuratore capo ha chiarito come non possa passare senza nessun controllo l’attività illecita di medici e farmacisti. «Oxytocin è dispensata dal servizio sanitario nazionale dietro ricetta. Nella nostra indagine – ha dichiarato Spagnuolo – sono emersi casi di 10/15 ricette al giorno, in tutta l’indagine più di 20mila ricette mediche. È chiaro che in questa vicenda sia i medici che i farmacisti sono parte attiva. E parlo di sostanze che combinate insieme con alcool e droga portano all’immediata dipendenza infine alla porte. La produzione delle ricette non possono passare inosservate, è un fatto inconcepibile, così come si prospetta la posizione di un farmacista come quella di pizzicagnolo». (mipr)
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