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«L’occasione storica per la Calabria da non fallire»

di Emiliano Morrone*

Pubblicato il: 05/10/2019 – 17:59
«L’occasione storica per la Calabria da non fallire»

Rammento quando Roberto Baggio sbagliò il rigore contro il Brasile. Perdemmo i Mondiali in Usa del ’94, che meritavamo di vincere. L’errore ne segnò la carriera, fatta di luci, esempi, miracoli come il goal del 3 a 3 col Brescia all’Atalanta, annunciato dal ruspante Carletto Mazzone, che corse a perdifiato sotto la curva bergamasca.
Baggio è stato il genio assoluto del pallone, un’icona di talento, correttezza, impegno, altruismo ed umiltà. Eppure si portò nella coscienza quel suo tiro alle nuvole che nessuno poteva prevedere: né il portiere Cláudio Taffarel, né i milioni di sguardi sulla scena. Il «Divin Codino» aveva consegnato podio, coppa e gloria alla squadra del “vagante” Carlos Parreira. Baggio era l’eroe della Nazionale, benché mister Sacchi non l’avesse capito sino in fondo. E l’eroe deve esserci sempre, deve assumersi l’onere, la responsabilità dell’azione; soprattutto nel rischio e nella quiete dopo la tempesta. L’opposto è Francesco Schettino, nel pensiero collettivo.
Il governatore calabrese Mario Oliverio è stato due volte presidente di Provincia e quattro parlamentare, prima sindaco, assessore e consigliere regionale. Ha una longevità politica quasi andreottiana. «Pallapalla» ha vinto sempre, presentando liste a più non posso, piene di candidati dal consenso certo. Oliverio è un ragioniere sopraffino e un Leopoldo Fregoli della politica. Fin qui ha mantenuto la capacità di cambiare posizione senza destare clamore, rifiuto: da comunista intransigente a pidiessino moderato, da avversario dei democristiani a figura vescovile.
Il 16 maggio 2004 Baggio salutò il suo “mondo” a San Siro, accompagnato dall’applauso scrosciante, all’unisono, dello stadio milanese. Lo strinse un commosso Paolo Maldini, altro capitano e campione. Fu l’immagine di un calcio antico, vero, sopravvissuto al doping, alle scommesse pilotate, alla mercificazione, al potere del denaro, alla droga della violenza, al delirio virale di onnipotenza. Il numero 10 per antonomasia avrebbe potuto giocare ancora, ma scelse il ritiro. Aveva già dato, e troppo.
Oliverio, salvo che dal Nazareno non lo convincano, come parrebbe, alla retromarcia di saggezza, sembra non voler tornare a casa, dove col distacco dell’età potrebbe, appagato, consultare l’archivio dei ricordi: la biografia politica di fortuna e testardaggine, che racconta di una Sila, di una Calabria legata al mito del potente e di un uomo, lui, roccioso, volpigno, in grado di mutare linguaggio, vesti e orizzonti a stagione; abile nel costruire in anticipo il proprio successo elettorale, in parte dovuto alla saldatura tra l’identità di «compagno» anni ‘70 e l’altra di progressista equilibrato, di riferimento sicuro per socialisti e cattolici, transfughi della sinistra radicale e centristi ubiquitari. E poi c’è l’eterno asse di Oliverio con i coniugi Adamo, immemori che le votazioni del marzo 2018 hanno rappresentato uno spartiacque, pure in Calabria, tra politici “analogici” e “digitali”, tra i volti del passato e quelli dell’era social.
Oliverio, che non ha la grazia né l’animo di Baggio, ma ne possiede la tenacia, è come il rigorista che ha perduto l’occasione di segnare dal dischetto. Il presidente ha avuto a disposizione 5 anni di governo per realizzare la discontinuità dallo “scopellitismo” promessa nel 2014. Invece in gran fretta ha dato il Gabinetto a un suo compaesano, il che non è piaciuto in giro; ha confermato i burocrati quattro stagioni dell’amministrazione regionale; ha sbagliato le nomine delle Aziende del Servizio sanitario (e non solo); ha lasciato l’organizzazione pubblica al controllo dei propri fedelissimi incensatori; ha inseguito inutilmente Matteo Renzi pur sapendolo agli antipodi; non ha avuto strategia, condivisione, prospettiva; ha esagerato con le parole, provando a interpretare un ruolo da vittima, per esempio in seguito all’inchiesta «Lande desolate» o all’orientamento del PD nazionale sulla sua ricandidatura, e consentendo a banditori e tifosi di descriverlo come taumaturgo.
Intanto, al netto dei tagli di nastro e di smaccate apologie del governatore, la Calabria è sprofondata nel baratro dell’emigrazione di non ritorno e della marginalità, incollata ai ricorsi storici ben oltre lo scioglimento dell’Asp reggina e dell’analoga di Catanzaro.
Ne completano il quadro, ferma restando la presunzione di non colpevolezza dei personaggi finora coinvolti, le vicende dei fondi regionali per il teatro e della “trasferta” di Oliverio a Spoleto. Da Tangentopoli in avanti l’opinione pubblica diffida all’istante del Palazzo, al di là di come finisca in tribunale. È un male, ma oggi i partiti devono fare i conti con questo dato, con le polemiche di fuoco sui destinatari di avvisi di garanzia e ordinanze di custodia cautelare, polemiche spesso funzionali a fomentare giudizi politici semplificati.
Il governatore della Calabria, significano i vertici del PD, ha concluso la sua lunghissima esperienza politica. Forse egli lo sa bene nel privato, ma gli viene difficile ammetterlo urbi et orbi. Chi ancora non l’ha focalizzato a modo è il Movimento 5 Stelle, che invece potrebbe capitalizzare il risultato del pensionamento politico di Oliverio, se inducesse il Socio di governo a innovare le proprie liste regionali: a preferire, come requisito essenziale per l’alleanza in Calabria, candidati freschi agli esponenti dell’“Ancien Régime”.
Sarebbe la strada migliore, intanto per formare un Consiglio regionale più garante di controlli e proposte; per sperimentare nel territorio calabrese il livello di sinergia su punti programmatici qualificanti: tutela dell’ambiente, della salute e dei beni comuni; ricupero del Sud; «ammodernamento delle infrastrutture»; potenziamento delle «politiche sul dissesto idrogeologico, sull’efficientamento energetico, sulla mobilità sostenibile» e sulle «bonifiche»; investimenti «sulle nuove generazioni» e misure per «creare le condizioni per far tornare chi, per motivi di lavoro, ha lasciato il Paese».
Si tratta, nel Movimento 5 Stelle, di cercare di essere concreti, nella consapevolezza che il momento è favorevole per una buona strategia di lungo periodo, che richiede un’attenta analisi della situazione calabrese, diversa da quella umbra, e la convergenza interna su obiettivi possibili, assieme evitando di confondere l’intero PD con Oliverio e sodali e di trasferire l’immaginario virtuale nella realtà nostrana.

*giornalista

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