LAMEZIA TERME Durante le indagini della Dda di Milano che hanno portato all’arresto di 11 persone coinvolte in un presunto traffico illecito di rifiuti che coinvolge anche la Calabria (qui la notizia e qui i nomi degli arrestati), a un certo punto è scattato il sequestro di alcuni siti di stoccaggio illeciti nel Nord Italia. Così i trafficanti di rifiuti al centro dell’inchiesta si sono allarmati e, grazie a contatti con le cosche del Lametino, hanno individuato altri luoghi in cui continuare a sversare abusivamente i rifiuti. Secondo i pm, l’organizzazione disarticolata oggi avrebbe offerto agli impianti in difficoltà costi di smaltimento inferiori a quelli, molto elevati, delle discariche o degli inceneritori, facendo sì che la “domanda” di mercato gestita dall’associazione criminale fosse praticamente inesauribile. I profitti illeciti poi, transitati presso i conti delle società coinvolte e apparentemente riconducibili a prestazioni nel settore dei rifiuti, sarebbero stati drenati attraverso corposi prelievi di contante e ricariche su carte postepay utilizzate ad hoc, evitando così la tracciabilità dei flussi di denaro. A carico della banda c’è anche l’accusa di un tentato sequestro di persona: l’episodio emerso nel corso delle indagini riguarda un imprenditore campano da cui i trafficanti di rifiuti volevano ottenere il pagamento immediato dei trasporti illeciti effettuati per suo conto.
A LAMEZIA INTERRATE 25 TONNELLATE DI RIFIUTI I capi della banda che si occupava dello smaltimento illegale aveva infatti a capo persone di origine calabrese, tutte con numerosi precedenti penali, che, attraverso una complessa struttura fatta di impianti autorizzati complici e trasportatori compiacenti, società fittizie intestate a prestanome e documentazione falsa, avrebbero gestito un ingente traffico di rifiuti urbani e industriali provenienti da impianti campani (in perenne condizione di sovraccarico) che, attraverso una vorticosa serie di passaggi tra impianti a volte reali a volte fittizi, finivano in capannoni abbandonati in diverse aree industriali del Nord Italia che venivano riempiti e poi chiusi saldandone addirittura le porte. Il monitoraggio attraverso il gps dei camion e i pedinamenti a distanza hanno mostrato l’interramento di un carico di 25 tonnellate di rifiuti presso una cava dismessa di Lamezia Terme, reato poi interrotto in flagranza. I rifiuti provenienti da impianti dell’hinterland napoletano erano intermediati da una società di Acerra la quale si occupava di individuare destinazioni apparentemente lecite a rifiuti non trattati come dovuto. Ciò avveniva grazie alla disponibilità di trasportatori di fiducia e al ruolo fondamentale svolto da un impianto di trattamento autorizzato in provincia di Como, reale snodo del traffico; qui i rifiuti solo apparentemente venivano trattati presso l’impianto comasco, mentre erano destinati a riempire capannoni dismessi, a essere abbandonati in ex aree industriali, a essere interrati ad esempio in una cava abbandonata di Lamezia Terme. I trasportatori compiacenti venivano scortati di volta in volta da apposite staffette che li guidavano nel sito abusivo attivo in quel momento. A disposizione del sodalizio anche una professionista in campo ambientale di Como, la quale, dietro compenso, prestava la sua consulenza tecnica per la creazione del complesso sistema documentale utilizzato per schermare il traffico, per i pm pienamente consapevole del profilo criminale dei suoi clienti.
L’AZIENDA “FEUDO” DI COMO E «I CRISTIANI DI PLATÌ» Uno degli indagati è un pluripregiudicato calabrese già coinvolto nelle operazioni antimafia “Tenacia” e “Infinito Crimine”. Dall’inchiesta è emersa la presunta infiltrazione criminale nella Smr Ecologia di Como da parte di alcuni calabresi che, intercettati, la definivano il loro feudo. Partendo da una forma di illecita collaborazione con l’impianto di trattamento rifiuti di Como per agevolare l’abnorme flusso di rifiuti gestiti, gli indagati calabresi avrebbero assunto ben presto atteggiamenti sempre più invasivi arrivando anche a utilizzare gli uffici e i mezzi dell’azienda. Il titolare, un imprenditore lombardo fiaccato anche da problemi economici e giudiziari, l’avrebbe poi di fatto ceduta al gruppo criminale attraverso l’intestazione a un prestanome. «Gente che viene a casa tua e anche se non ti trova, si mette lì e dice: ora io devo mangiare la pastasciutta con te», raccontava l’uomo, intercettato dagli inquirenti, per descrivere ciò che gli stava capitando. Emblematica è una conversazione intercettata tra due pregiudicati calabresi che parlano di una controversia legata a somme di denaro; i due ne rimandano la definizione a quando «saranno a tavola con i cristiani di Platì e San Luca e si vedrà chi ha ragione e chi ha torto». Un riferimento chiaro, secondo gli inquirenti, della loro vicinanza ad ambienti di ‘ndrangheta. (spel)
https://www.youtube.com/watch?v=ymuEEUS_TOY&feature=youtu.be
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