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Veleni nel Lametino, lo scenario «impressionante» dei rifiuti interrati

La Dda di Milano e la Procura di Lamezia ricostruiscono i traffici dell’immondizia. I crateri «con pareti di spazzatura vicino al mare» e gli incendi nei siti abusivi per smaltire «definitivamente»…

Pubblicato il: 08/10/2019 – 7:08
Veleni nel Lametino, lo scenario «impressionante» dei rifiuti interrati

di Alessia Truzzolillo
LAMEZIA TERME
Rifiuti che giacciono sul terreno al fianco di una buca enorme appena realizzata da un escavatore e pronta ad essere richiusa dopo aver ricevuto i rifiuti. Il gip di Milano che ha vergato l’ordinanza che ha dato vita all’operazione “Feudo” su un grosso traffico di rifiuti illeciti, definisce «sconvolgente» lo scenario che si presenta davanti agli agenti del commissariato di Lamezia Terme nella Cava Parisi. 
Hanno nomi che richiamano l’ecologia ma di ecologico nell’indagine della Dda di Milano e che ha portato lunedì all’arresto di 11 persone originarie di Campania, Lombardia e Calabria, non c’è nulla. Quello che si estrae dalle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, vergata dal gip Sara Cipolla, è semmai l’allarmante traffico di rifiuti (anche ospedalieri) che attraversa la penisola e che, tra le varie tappe, conta la Calabria (già segnata da una grave emergenza ambientale) nella quale tonnellate di rifiuti sono stati interrati senza essere trattati in alcun modo, impilati senza alcuno scrupolo in discariche abusive vicine al mare. Secondo gli investigatori il disastro ambientale «è impressionante». Senza contare certe forme di smaltimento “definitive” dei rifiuti che si risolvono col l’incendio di capannoni abusivi. 
Ventiquattro viaggi – tutti effettuati tra l’8 e il 28 marzo 2018 – per smaltire 600 tonnellate (almeno) di rifiuti nel sito della Eco.Lo.Da srl di Gizzeria. Rifiuti campani provenienti dalla raccolta indifferenziata urbana. La Smr Ecologia aveva contrattualizzato il recupero smaltimento dei rifiuti indifferenziati, attestando che questo avveniva nell’impianto lombardo della società. Invece i rifiuti finivano «tal quale» in un capannone della Eco.Lo.Da o nella cava Parisi a Gizzeria.
Monnezza smaltita – è scritto in uno dei capi di imputazione – senza che i rifiuti fossero stati previamente avviati al recupero. Le operazioni di trasporto venivano coordinate da Marco Izzo, originario di Maddaloni, 36 anni, titolare della ditta omonima. Come se non bastasse gli inquirenti, con l’aiuto dei carabinieri e della Procura di Lamezia Terme, hanno scoperto che «l’autorizzazione della Regione del settembre 2016 era intestata al precedente amministratore della società, Giuseppe Lucchino (che non risulta indagato in questo procedimento, ndr), mai volturata al nuovo amministratore Domenico Antonio Sacco. Secondo quanto riportato in uno dei capi di imputazione a realizzare la discarica abusiva e a gestire illecitamente l’impianto Eco.Lo.Da srl sarebbero stati (in concorso con Domenico Antonio Sacco) Angelo Romanello (nato Siderno e considerato a capo dell’associazione a delinquere) e Maurizio Bova (nato a Locri).
L’INTESTAZIONE FITTIZIA DELLA ECO.LO.DA Sempre secondo l’accusa, Romanello e Bova avrebbero attribuito fittiziamente a Sacco l’intero capitale della società, con sede a Gizzeria, che veniva utilizzata per porre in essere svariate operazioni di gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti. Sacco, scrive il gip, «è soggetto sconosciuto al Fisco». All’assoluta «mancanza di capacità reddituale e patrimoniale» di Sacco fa da contraltare «l’accertata attività gestoria della stessa (società, ndr) in capo a Bova e Romanello». 
«Lo stoccaggio dei rifiuti avveniva in modo totalmente difforme dalle prescrizioni amministrative».

(L’interramento dei rifiuti nel Lametino – foto tratta dagli atti dell’inchiesta della Dda di Milano)
CAVA PARISI E IL PEDINAMENTO Risulta ancora dalle indagini che il 21 giugno 2018 siano state smaltite abusivamente nella discarica Cava Parisi di Gizzeria, priva di autorizzazioni, 28 tonnellate di rifiuti provenienti direttamente dal sito di località La Guzza (in Como) dove si trova l’impianto di uno degli arrestati, Matteo Molinari, amministratore unico della S.m.r Ecologia srl. Anche in questo caso nessuna operazione di recupero è stata effettuata per i rifiuti depositati a Cava Parisi. Anche in questo caso a effettuare e coordinare le operazioni di trasporto c’era Marco Izzo. Secondo il gip sarà lo stesso Romanello a recarsi personalmente in Calabria per «visionare la Cava Parisi che sarà destinataria del tombamento forse più eclatante, non per il quantitativo ma per le modalità attuative». Ossia quelle enormi buche scavate apposta per ricevere rifiuti non trattati ed essere poi richiuse. 
Ma quel trasporto a Cava Parisi, tra l’altro, era monitorato dai militari del Nipaf (Nucleo investigativo forestale) di Catanzaro. A essere seguito non era solo il camion ma anche coloro che facevano da staffetta ai rifiuti: Bova e Assunta Villella (nata a Voghera 45 anni fa), compagna di Bova, finita ai domiciliari. È lei ad accorgersi che un’auto della polizia giudiziaria li sta seguendo e informa Bova. Lei viene fermata e in seguito riferisce al compagno: «… mi hanno fermato apposta […] si sii tranquillo mi hanno fatto la foto prima». La Cava verrà sequestrata dalla Polizia il giorno dopo così come l’autoarticolato di Izzo. Sul posto gli agenti identificano un autista e un altro uomo (nessuno dei due è indagato in questa inchiesta) «intento a svuotare il carico di rifiuti, per mezzo di un escavatore, direttamente sul suolo». Bova viene avvisato dell’accaduto ma la prende con calma: dice a Izzo di inventare con la polizia un guasto al camion e all’impianto, cosa che avrebbe costretto a scaricare i rifiuti per terra.
DISCARICA DEL NORD Quando anche gli spazi al nord non bastavano più, oppure si trattava di rifiuti particolarmente pericolosi come quelli ospedalieri, i camion venivano fatti partire in direzione di Lamezia Terme, emerge dalla conferenza stampa dopo gli arresti. Uno di questi è stato seguito con una cimice nel corso di un viaggio lungo oltre mille chilometri. Al termine del quale «abbiamo scoperto veri e propri crateri le cui pareti erano fatte di spazzatura, anche in prossimità del mare», hanno ricordato i comandanti dei carabinieri forestali Andrea Fiorini e Giovanni Gianvincenzo. Impressionante il disastro ambientale provocato in due cave del Lametino, la Cava Parisi e la Cava Liparota: in una di queste, già in passato, la ‘ndrangheta aveva interrato armi e droga.
IL GIRO D’AFFARI E QUEI CAPANNONI INCENDIATI Il business dei rifiuti, e l’eterna emergenza che lo consente, è «la nuova frontiera di milionari guadagni illeciti», scrive il gip.
 L’appalto per la gestione di 60mila tonnellate di rifiuti campani intorno al quale c’è un giro d’affari calcolato per difetto di 6 milioni di euro, «presenta aspetti di estremo allarme sociale», scrive il gip, non solo in termini di pericolo per la salute pubblica ma anche per «i rischi connessi ai moltissimi incendi dei siti abusivi che spesso si verificano». E gli inquirenti, in questo caso, citano due episodi: uno a Varedo, l’altro in un sito di proprietà di un’azienda lametina. È così, con questi incendi, che si procede «ad una forma di smaltimento “definitiva” dei quantitativi abnormi di rifiuti stoccati».

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