Il luogo di nascita può “segnare” il futuro di un bambino. Se infatti il numero di nati, in proporzione alla popolazione residente, è simile in Calabria e in Veneto, la probabilità di non sopravvivere nei primi giorni di vita di un neonato calabrese è quasi doppia rispetto a quella di un suo coetaneo veneto. Il Veneto è paragonabile alla Finlandia, la Calabria alla Grecia. Non solo: dopo essere nato e sopravvissuto alla prima settimana di vita, un neonato veneto ha una prospettiva complessiva di vivere 2 anni in più rispetto a uno calabrese. È la denuncia dell’Associazione culturale pediatri (Acp), in occasione del XXXI Congresso nazionale in corso a Matera. “Distanze” che «nel corso della crescita si mantengono. Il bambino che vive in Calabria deve affrontare maggiori difficoltà: per esempio, andare all’asilo nido (1 posto in Calabria rispetto ai 9 posti in Veneto e ai 24 in Emilia Romagna). In generale, quel bambino calabrese dovrà vivere in uno stato di deprivazione materiale che è doppia in Calabria rispetto al Veneto, e abbandonerà la scuola precocemente, con una probabilità doppia rispetto al bambino veneto», afferma Maurizio Bonati del Laboratorio per la Salute materno-infantile dell’Istituto Mario Negri Ircss di Milano, che lavora insieme all’Acp al progetto “Nascita” (“Nascere e crescere in Italia”), presentato al congresso. Obiettivo del progetto: monitorare lo sviluppo fisico/cognitivo/psicologico, lo stato di salute e benessere di una coorte di nuovi nati, nei primi 6 anni di età, e valutare i potenziali fattori che possono influenzarli.
«Uguaglianza ed equità – afferma Bonati – devono essere garantite in quanto condizioni di diritto educativo, sanitario e sociale, nel rispetto dei principi di unità e indivisibilità della Repubblica. Ma questo non basta. Infatti le disuguaglianze sono più profonde e vicine: intra-regionali, nelle metropoli, tra centro e periferia. Non è una questione meridionale. È una questione che interessa tutte le comunità, ovunque vivano e sin dalla nascita».
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