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«La legge è diversa per alcuni»

di Laboratorio territoriale

Pubblicato il: 16/10/2019 – 16:15
«La legge è diversa per  alcuni»

La disgraziata epoca nostra, come con ampio anticipo aveva capito Guy Debord, è caratterizzata da un continuo aumento dei discorsi sull’inquinamento, dallo spettacolo del disastro ecologico globale sempre alla ribalta, al quale corrisponde un continuo aumento anche dell’inquinamento in quanto processo reale. La sussistenza di questo paradosso, di questa beffa ai danni dell’umanità intera, è garantita dai malsani meccanismi che la piccola – se paragonata a quella smisurata dell’Amazzonia – vicenda del lungomare di San Lorenzo mette tragicamente a nudo. Senza alcun dubbio l’attuale frangente storico ci pone di fronte a un bivio: o dismettiamo i comportamenti e le mentalità dominanti (con la forsennata produzione economica, l’elevatissimo consumo di suolo e la conseguente pesante impronta ecologica dell’uomo sulla faccia della terra) oppure imbocchiamo a passi decisi la scorciatoia per il collasso ambientale definitivo. I protagonisti dell’affaire – funzionari, tecnici, politici locali con l’unica eccezione del funzionario di zona della Soprintendenza – hanno manifestato la volontà di non dismettere un bel niente, l’intenzione inequivocabile non di restaurare il territorio ma di continuare ad amministrarne la distruzione. La legislazione vigente, invece, si è fatta carico di elaborare le prescrizioni per supportare la svolta, il cambio di paradigma indispensabile se vogliamo avere una minima speranza di futuro. La necessità di difendere ogni centimetro di suolo ancora senza cemento (e in grado quindi di svolgere fondamentali funzioni ecosistemiche tra cui l’assorbimento dell’anidride carbonica) è ben presente, per esempio, al legislatore regionale che ha emanato il QTRP Calabria, D.C.R. n.134 del primo agosto 2016. È proprio questa legge quadro, alle disposizioni della quale gli enti locali hanno l’obbligo di adeguare i loro strumenti urbanistici, ad avere introdotto il principio “consumo di suolo zero “, in piena coerenza con l’Accordo di Parigi , la cui applicazione, secondo gli obiettivi europei richiamati nell’ultimo rapporto ISPRA SNPA, deve perseguire per forza di cose anche l’aumento di superfici naturali attraverso interventi di demolizione, deimpermeabilizzazione e rinaturalizzazione. In particolare il QTRP, se vogliamo considerare solo l’ aspetto più interessante in questa sede, per i territori costieri non ancora banalizzati dall’urbanizzazione da decenni dilagante, dispone la salvaguardia integrale delle morfologie naturali e ribadisce che per tutta la fascia litoranea inclusa nei 300 metri dalla linea di battigia valgono le norme di tutela che prevedono il divieto di effettuare interventi di trasformazione del suolo con aumento della superficie impermeabile. Ma non è il QTRP l’unica norma assunta come inesistente sia dall’amministrazione comunale di San Lorenzo proponente che dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria, dalla Capitaneria di Porto e da vari uffici regionali capaci di non muovere nessuna osservazione sostanziale in sede di conferenza di servizi alla volontà di realizzare un lungomare superato dalla storia, oltre che vietato dalle leggi, consistente in una triviale strada per il traffico veicolare da realizzare mediante impermeabilizzazione di più di un ettaro di suolo. C’è da aggiungere infatti che l’intervento progettuale è stato concepito da qualcuno convinto di vivere ancora nell’anno di grazia 2003, quando l’ area costiera, bene paesaggistico di interesse nazionale, non era ancora efficacemente tutelata dal vincolo prioritario ex Dlgs 42/2004, le cui previsioni tra l’altro stabiliscono con chiarezza che a San Lorenzo “le pressioni insediative associate prevalentemente agli insediamenti turistici lungo la piana costiera devono essere contenute nei limiti attuali, sottraendo alla trasformazione urbanistica gli spazi aperti residui, in particolare lungo la fascia litoranea.” Peraltro l’area di progetto non rientra in zona urbanizzabile ai sensi dello strumento urbanistico comunale vigente. E inoltre, giusto per non trascurare nulla nell’elettrizzante campo dell’infrazione, il programmato intervento aggressivo, sovradimensionato e senza qualità estetiche ricade nella zona occidentale dell’ area SIC “Fiumara Amendolea”, e di conseguenza sarebbe stato obbligatorio allegare al progetto uno studio di incidenza, preludio della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) da parte della Regione.
Eppure le associazioni locali supportate da Italia Nostra, come il legislatore preoccupate per l’ambiente e il paesaggio, hanno tentato, prima della conferenza dei servizi, di segnalare il pericolo per il territorio e il disprezzo della legge su cui il progetto si fonda a un delegato della Città Metropolitana, che ha deciso di non affrontare la questione. Anche un’altissima carica istituzionale della Regione Calabria, la cui segreteria per mesi non ha mai fissato la data di un colloquio tempestivamente richiesto, interpellata sulla vicenda nel corso di un incontro fortuito, ha alzato le spalle gravate da un solido senso di responsabilità e dai pesanti compiti connessi alla funzione mentre pronunciava sagge parole, trasudanti profondo civismo e intelligenza dei tempi: “Ma in fondo lì si tratta solo di un completamento”. Dunque un errore storico può essere ribadito al fine di non guastare i rapporti con qualcuno della propria cordata, e il rispetto della legge può pure passare in cavalleria.
Se i nostri amministratori, tecnici e funzionari antepongono, come è successo nella fattispecie, le proprie arretrate concezioni e la cura dei propri rapporti di potere al bisogno di dare un contributo e un seguito alle riflessioni di Papa Francesco confluite nell’ enciclica Laudato si’, o agli scritti e all’impegno di Vandana Shiva o Greta Thunberg, se a loro non importa interrogarsi sulla ratio della legislazione vigente in materia ambientale e paesaggistica considerata anzi ostacolo da eludere e irridere cavalcando i logori concetti – volano di sviluppo, opera strategica – che hanno già ammantato tutte le gravi compromissioni del territorio, si capisce allora come mai in Italia il consumo di suolo sfacciato quanto drammatico – disastro ambientale e nello stesso tempo enorme danno economico per la collettività -, che supera i 2 metri quadrati al secondo, divori anche aree vincolate e protette. Non si dimentichi che nel caso in esame persino di fronte al parere contrario della Soprintendenza si è sfruttato il meccanismo del silenzio assenso attaccandosi a un aspetto formale – la consegna fuori dai termini – senza occuparsi della sostanza delle questioni giuridiche e paesaggistiche sollevate dall’autorità competente.
Ma la lunga e tormentata vicenda del lungomare di San Lorenzo fornisce anche la misura delle potenzialità di un’opinione pubblica vigile, consapevole e disposta a impegnarsi, capace nella circostanza di rompere le uova nel paniere di chi intendeva riproporre le prassi del recente buio passato da dimenticare al più presto. Il caso ha mobilitato numerosi e importanti intellettuali calabresi e di tutto il territorio nazionale, un novero consistente di associazioni, e la percezione dello scandalo ha fatto ingresso nelle aule parlamentari grazie alla sensibilità e all’attenzione dell’archeologa senatrice Margherita Corrado, degli onorevoli della Repubblica italiana Paolo Parentela e Giuseppe D’Ippolito, di Laura Ferrara del Parlamento europeo. Non sempre il male (stavolta rappresentato dal minacciato massacro di un tratto di costa con i soldi pubblici in barba alle leggi) è destinato a prevalere, potrebbe trionfare alla fine il bene con la realizzazione di un ameno giardino sul mare, una passeggiata in mezzo alla vegetazione con una pista in terra battuta stabilizzata per le automobili, un angolo di mondo in armonia con la luce e la bellezza degli scenari proiettati verso l’Africa lontana e la costa orientale della Sicilia invece dell’ennesimo non luogo di stampo autostradale.
*Laboratorio territoriale Condofuri e San Lorenzo

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