di Sergio Pelaia
CROTONE Il suo numero lo aveva salvato in rubrica come «Amore mio». Il telefono è quello di un uomo ritenuto organico al clan dei “Papaniciari”, la cosca Megna, che ha il suo feudo nella popolosa frazione alle porte di Crotone. Si chiama Rocco Devona, ha 35 anni e il 20 dicembre del 2018 la Polizia bussa alla porta di casa sua alle 3,30 del mattino. Non apre nessuno. La moglie e il figlio piccolo a quell’ora stanno dormendo a casa di suo padre e i poliziotti, qualche ora dopo, nella casa in cui Devona non si è fatto trovare scoprono due cellulari. Due tesori, per l’indagine che verrà condotta dai pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, nella cui memoria ci sono delle chat di Telegram che costeranno l’arresto a un sovrintendente di Polizia, Massimiliano Allevato, che per il presunto affiliato al clan Megna è «Amo» e per la Dda di Catanzaro è una talpa del clan, uno che spifferava informazioni riservate e che avrebbe permesso a dei mafiosi di sfuggire alla cattura. Allevato, 52enne nato nel Crotonese, a Umbriatico, è finito in carcere lo scorso 16 ottobre con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreti d’ufficio con l’aggravante mafiosa. Lui si difende: dice di non aver mai passato informazioni a nessuno e il suo avvocato, Fabrizio Salviati, sostiene che il suo assistito si sia limitato a rispondere a Devona senza mai contattarlo lui per primo e che non ci sono altri poliziotti che dicono che lui abbia chiesto informazioni. Ma nelle carte che il Gip Claudio Paris ha messo insieme per valutare gli elementi investigativi raccolti dagli ex colleghi di Allevato c’è anche altro. Molto altro. Sospetti inquietanti, che gettano ombre sull’operato di altri appartenenti alle forze dell’ordine che negli anni, a Crotone, potrebbero essersi messi a servizio dell’Antistato, più che dello Stato.
VENT’ANNI DA TALPA DEI CLAN Secondo la Procura antimafia il poliziotto, che è in aspettativa ed è stato trasferito ad altra sede mesi fa, avrebbe fornito un contributo «specifico, concreto, consapevole e volontario» ai componenti del clan. «Strumentalizzando la propria funzione – è il capo d’accusa formulato dalla Dda – comunicava agli appartenenti delle cosche Vrenna, Corigliano, Bonaventura, Barilari, Megna notizie coperte dal segreto d’ufficio apprese in ragione delle sue funzioni». Oltre ad aver permesso a Devona di sfuggire all’arresto – aveva scritto «Ehii» in un messaggio inviato all’uomo alle 22,51, poche ore prima dell’operazione Tisifone in cui Devona, che si consegna qualche giorno dopo, era coinvolto – il poliziotto è accusato anche di aver rivelato all’ex boss pentito Luigi Bonaventura notizie su indagini a suo carico, su alcune microspie installate dalla squadra mobile nell’auto di un pregiudicato e su una misura cautelare di cui il boss era destinatario nell’ambito dell’operazione Tramontana, per la quale effettivamente Bonaventura si rese irreperibile. A Devona avrebbe rivelato anche particolari di indagini sul clan Nicoscia di Isola. Tutto in cambio di «somme di denaro periodicamente elargite». Tanto che il Gip scrive che «la sua disponibilità ad agevolare le cosche di ‘ndrangheta operanti del Crotonese perdura da circa un ventennio attraverso forme resesi sempre più sofisticate».
IL PRESTITO DAL BOSS E L’INCONTRO IN TRIBUNA VIP Devona è secondo gli inquirenti «l’elemento di raccordo» tra Allevato e la ‘ndrangheta. Oltre al messaggio in cui il poliziotto gli scriveva «Ehii» – che a suo dire voleva dire «cosa vuoi?» ma per gli inquirenti rappresentava l’allarme per gli arresti in arrivo – vengono scoperti anche altri contatti, come quello di un’ora prima in cui il 35enne presunto appartenente al clan di Papanice chiedeva al poliziotto: «Beh News? Amo». Interrogato dai suoi colleghi, Allevato dice di conoscere Devona da 20 anni, ammette di sapere anche che fosse uomo della cosca Megna e che nei 25 anni in cui aveva lavorato alla Mobile aveva indagato anche su di lui. Spiega che negli ultimi mesi ha instaurato con lui un rapporto confidenziale e una frequentazione pressoché quotidiana. Nell’estate appena trascorsa racconta di aver chiesto a Devona prima 500 euro e poi altri 400 in prestito, che aveva restituito dopo poco. Dopo il prestito Devona aveva cominciato a chiedergli informazioni circa indagini sulla cosca Megna, ma lui sostiene di avergli detto di non poterlo aiutare perché non faceva più attività investigativa. Il 16 dicembre 2018, poi, Allevato mentre è di servizio allo stadio Scida per la partita Crotone-Venezia incontra Devona in Tribuna vip. E lui gli chiede: «Marescià mo ci arrestano tutti?». Allevato sostiene di aver intuito che fosse imminente l’operazione Tisifone dai movimenti che ha visto in Questura ma nega di aver informato Devona. Però ammette un altro prestito quantomeno inopportuno: nel 2013 ha chiesto 1000 euro a Gaetano Barilari, capo della cosca Barilari-Foschini, e per questo era andato nella macelleria del boss a prendere i soldi che, sempre a suo dire, dopo un mese aveva restituito con l’aggiunta di altri 1000 euro di interessi. Ma non sapeva – dice – che la Mobile, reparto in cui aveva lavorato fino a poco prima, stesse indagando all’epoca su Barilari.
LA CHAT. «SE LA FA CZ SIAMO COPERTI» Anche sul telefono del poliziotto sono diversi i messaggi Telegram scambiati con Devona nell’ottobre del 2018. Tra i due c’è molta confidenza, l’uomo del clan contatta il poliziotto chiedendo «news» ma in alcuni casi, racconta lo stesso Allevato, Devona dimostrava di sapere già di alcune indagini in corso «asserendo di avere altri amici nelle Forze dell’ordine di Crotone e di Catanzaro». Per gli inquirenti è comunque «altamente probabile» che i due abbiano utilizzato la modalità “chat segreta” di Telegram che prevede l’autodistruzione dei messaggi poco dopo l’invio.
«News?». «Tutto tace», risponde il poliziotto, che aggiunge: «Almeno noi no di sicuro». «Possibile che I non si vanti?», chiede Devona riferendosi a un altro poliziotto che seguiva le indagini per conto della Dda. «Macchè», risponde il sovrintendente. «Come mai secondo te?». «Perché ancora è lontano dal fare qualcosa». In un’altra conversazione Devona chiede: «Mm… Hai saputo cosa hanno… Su di lui?». Allevato: «No no… non si sa nulla da dove arriva chi è perché». «Mm» sarebbero secondo gli inquirenti le iniziali di un altro ufficiale della Polizia che era alla Mobile e poi è stato “aggregato” all’Anticrimine, proprio ad ottobre 2018, perché aveva trovato nella sua auto una microspia. Quindi Devona e Allevato deducono che qualche altra sezione di Polizia giudiziaria stesse indagando su «Mm». Devona ritiene possa essere un’indagine dei «cugini» (i carabinieri) o della «gialla» (la Guardia di finanza), Allevato risponde: «Noi no di Kr», aggiungendo che «possono essere altre Questure». Devona cerca anche di farsi spiegare come funziona a livello organizzativo quando si esegue un’operazione su Crotone che non è condotta da forze dell’ordine del territorio. E Allevato risponde che se ad effettuare le catture è la Polizia di Crotone i nomi degli arrestati si sanno prima, in caso contrario no. Devona controbatte: «Azz… Allora se la fa cz siamo coperti». In seguito, nei messaggi tra i due, il “Papaniciaro” parla di «bliz», fa domande su una procedura «per accelerare arresto?» e menziona possibili «fermi». Per gli inquirenti dimostra di sapere dell’indagine su Isola Capo Rizzuto e chiede ad Allevato se oltre a quella ci siano altre inchieste in corso – «Altri ke potrebbero esserci in corso» – ma Allevato risponde di non sapere altro. I due in una conversazione fanno riferimento anche a un tentato omicidio citando i cognomi di alcune famiglie rivali. L’8 ottobre Devona scrive: «Ma se c’era qlcs sospesa tipo quella che avevate sui barilla… lo sapevamo». Allevato risponde affermativamente e aggiunge: «Ma non c’è nulla». Quindi fa riferimento a un’indagine precisa su Isola Capo Rizzuto: «capito… solo isola avete». «E su papa (Papanice, ndr) zero?».
IL VIAGGIO DI GRATTERI E I «CANTERINI» In chat si parla anche di possibili pentimenti. «Ho saputo che sono 2 volte che Gratteri va a Tolmezzo con Luberto ed i cugini lì c’è Barilla come la vedi?», chiede Devona riferendosi a una visita del procuratore di Catanzaro nel carcere dove è detenuto Gaetano Barilari. «Lo sentono gli fanno la proposta», spiega Allevato, aggiungendo che avrebbe tenuto in considerazione la cosa e che, eventualmente, «u fattu è serio». A suscitare la curiosità di Devona sono anche altre possibili collaborazioni con la giustizia: chiede al poliziotto se sa di qualche «canterino», spiegando, a domanda, che non si riferisce in particolare a un pentito ma a qualcuno «che canta in generale che viene e racconta le cose». Allevato risponde: «Con noi no».
IL FINANZIERE INFEDELE E LE ALTRE TALPE Devona dimostra «di avere anche altri informatori nelle forze dell’ordine». Lo conferma un’intercettazione che risale a giugno del 2018, quando il presunto uomo del clan evidentemente già sa di possibili operazioni «proprio sulla cosca Megna». In una conversazione con un altro uomo infatti si informa su alcuni posti in cui nascondersi e spiega: «Ce lo hanno mandato a dire, quindi due o tre ce ne andiamo». E in una delle chat Telegram con Allevato racconta anche di «un giallo», che per gli inquirenti sarebbe un finanziere «infedele» presumibilmente in servizio a Crotone, che aveva incontrato dei carabinieri di Catanzaro davanti al Tribunale e gli aveva chiesto perché fossero in città, ricevendo come risposta «x devona». Evidentemente il «giallo» glielo ha raccontato e lui chiede un parere in merito al poliziotto. Che risponde: «Fammi vedere e pensare».
LE PRESSIONI AI PENTITI PER FARLI RITRATTARE La «propensione» di Allevato ad avere rapporti con ‘ndranghetisti emerge anche dalle dichiarazioni di Luigi Bonaventura: il boss pentito racconta che tra il 1999 e il 2000 il poliziotto «era disposto a fornire informazioni in cambio di denaro». Oltre alle informazioni sulle indagini a suo carico, il poliziotto gli avrebbe anche spiegato come smontare una microspia che aveva installato lui stesso nell’auto di un pregiudicato. Le dichiarazioni di Bonaventura secondo l’avvocato di Allevato sono tardive, perché arrivano dieci anni dopo l’inizio della sua collaborazione.
Ma c’è un altro aspetto, ancora più inquietante, che emerge dalle parole di Bonaventura e di un altro pentito, Francesco Tornicchio, già a capo dell’omonima cosca. I due provengono da contesti diversi ma raccontano cose analoghe riguardo a presunte pressioni di poliziotti affinché ritrattassero la loro collaborazione. Bonaventura spiega che qualcuno provava a spingerlo a non parlare, in particolare, dei rapporti tra alcuni poliziotti e ‘ndranghetisti crotonesi. Tornicchio aggiunge che oltre a cercare di convincerlo a non “cantare” qualche altro esponente delle forze dell’ordine avrebbe addirittura cercato di imbeccarlo passandogli un foglietto in cui erano appuntate le cose da dire. In qualcuna di queste circostanze ci sarebbe stato anche Allevato, che «portava informazioni – sostiene il pentito Tornicchio – a mio zio Nicola». Si tratta di fatti risalenti al 2008-2009 e riferiti dieci anni dopo su cui, evidentemente, ancora servono dei riscontri. Ma il Gip annota che i due pentiti vengono da contesti diversi e che le loro dichiarazioni in qualche modo combaciano. (s.pelaia@corrierecal.it)
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