I dati dell’Atlante dell’infanzia di Save the Children presentato descrivono un’Italia profondamente diseguale. Diseguale tra le generazioni: il numero di minori poveri è tre volte il numero registrato dieci anni fa e la spesa sociale è sempre più concentrata sulle generazioni adulte con il maggior peso della spesa sociale destinata a pensioni di anzianità e vecchiaia. Diseguale tra i territori: la quota di minori che vivono al Sud in condizioni di povertà economica, ma anche educativa, è più che doppia di quella delle Regioni del Nord, mentre la spesa destinata ai minori da parte dei Comuni delle Regioni del Sud rimane residuale rispetto a quanto spendono i Comuni delle Regioni del Centro e del Nord con livelli estremi che vanno dai 23 euro pro capite dei Comuni della Calabria ai 266 euro dei Comuni dell’Emilia Romagna. I numeri impressionano: nel 2018 sono oltre 1,2 minori i ragazzi da 0 a 17 anni in povertà assoluta, di cui quasi la metà nel Sud. Il Rapporto evidenzia il nesso indissolubile tra povertà economica e povertà educativa. E indica chiaramente al governo una strada obbligata: se si vuole ridurre questi livelli inaccettabili di povertà minorile occorre in primo luogo una politica pubblica diretta a colmare i divari tra cittadini e territori nell’offerta scolastica e formativa, dagli asili nido all’Università. Gli stessi dati del Rapporto invece ci delineano un quadro dell’intervento pubblico che tende ad aumentare le disuguaglianze. Le diversità di interventi tra Nord e Sud diventa, ad esempio, ancora più evidente se si considerano gli interventi per la Prima Infanzia. In questo caso la diseguaglianza diventa baratro: la spesa dei Comuni per i servizi per minori da 0 a 2 anni varia da una media nazionale pari ad 808 euro pro capite, alla spesa dei Comuni delle Regioni del Nord che supera 1.500 euro pro capite, mentre le Regioni del Sud spendono tra 219 e 351 euro e la Calabria rimane l’unica Regione a spendere meno di 88 euro pro capite. Ne consegue un’offerta pesantemente diseguale: i bambini da 0 a 2 anni inseriti in strutture educative finanziate dai Comuni sono il 13% su base nazionale, il 25% in Emilia Romagna, il 4% in Campania, il 2% in Calabria. Ben venga dunque l’impegno del nuovo governo a migliorare l’accesso alle strutture educative per l’infanzia, azzerando il costo delle rette, laddove gli asili nido sono presenti, e aumentando il numero di posti disponibili laddove questi sono drammaticamente assenti, ovvero le Regioni del Sud. Occorre tuttavia chiedersi come mai nelle Regioni del Sud, ancora oggi, è così raro trovare un asilo nido pubblico, nonostante gli interventi messi in campo in questa materia. Tra i più importanti per risorse finanziate, il Piano di Azione Coesione (PAC Infanzia e Anziani) attraverso il quale, già nel 2012, l’allora Governo Monti aveva deciso di investire nei servizi di cura, sia per l’infanzia che per gli anziani proprio nelle Regioni del Sud con un investimento di 120 milioni di euro nel 2013 e ulteriori 220 milioni dal 2014. Eppure, a distanza di 6 anni dall’avvio del programma, i dati non hanno visto grandi miglioramenti, con richieste di proroghe da parte dei Comuni che hanno portato il termine di spesa dal 2013 al 2021 e rifinanziamenti a ribasso o interventi previsti totalmente cancellati che hanno pesantemente ridimensionato la spesa prevista. Per esempio, nel 2013 il PAC infanzia assegnava 15,9 milioni di euro per la realizzazione di interventi per l’infanzia in Calabria, e 33,1 milioni di euro per gli stessi fini in Campania. Il monitoraggio dello scorso 14 ottobre 2019, però racconta altre cifre e ridetermina importi e progetti finanziati in base alle “schede progetto” presentate e rendicontate dai Comuni. Succede quindi che i progetti finanziati in Calabria passano da 155 “previsti” a 79 “realizzati”, per una spesa pari a 6,4 milioni di euro, 9,5 milioni in meno di quanto era stato finanziato. Mentre in Campania i progetti realizzati diventano 192 a fronte dei 287 finanziati con una spesa che passa da 33,1 milioni di euro previsti a 13 milioni di euro riprogrammati e realmente spesi. Per garantire un concreto aumento del numero di posti nei servizi educativi per l’infanzia e pensare di recuperare il gap con le Regioni del Nord quindi, non basta dunque stanziare finanziamenti, seppure ben finalizzati. La medesima distanza tra le risorse finanziate dal livello centrale e quelle effettivamente spese dai Comuni, in ritardo o in maniera ridimensionata rispetto al previsto, la ritroviamo in diversi tipi di progettualità, anche e soprattutto destinata ai giovani, quali PON Legalità e PON Sicurezza. Occorre dunque intervenire in maniera più ampia, con particolare attenzione alla fase attuativa. Proprio sul fronte dei Comuni si dovrebbe agire in maniera preventiva, prevedendo un supporto tecnico specialistico in materia di progettazione sociale e co-progettazione sia nelle fasi iniziali di pianificazione e spesa, che in quelle di rendicontazione, evitando così di perdere fondi e, soprattutto, cercando di portare a buon fine gli interventi previsti. Una sfida che dovrebbe riguardare insieme la pubblica amministrazione e le associazioni del no-profit, oggi assai meno diffuse nel Mezzogiorno. Solo una politica che dedica la medesima attenzione alla fase dello stanziamento e a quella del rafforzamento delle istituzioni preposte alla ideazione, progettazione, realizzazione degli interventi sociali può concorrere con serietà alla rimozione di quei divari che rendono l’Italia ancora un Paese dai “destini divergenti”.
Tratto dal blog dell’ Huffington Post
*Direttore Svimez
**Ex assessore regionale
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