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LA REGIONE CHE VORREI | Un'iniezione di fiducia per la sanità calabrese

Francesco Amato è primario all’Annunziata di Cosenza e si occupa di trattamenti all’avanguardia sul dolore cronico e le cure palliative. Il suo sguardo su un settore che «è la terza industria del P…

Pubblicato il: 26/10/2019 – 7:10
LA REGIONE CHE VORREI | Un'iniezione di fiducia per la sanità calabrese

di Francesco Creazzo
La sanità, argomento maledetto in terra calabrese: buchi di bilancio, infiltrazioni mafiose e malaffare, ma anche eccellenze uniche che, spesso, svolgono un’azione fondamentale perché il sistema, pur zoppicante, riesca almeno a reggersi in piedi. Una di queste eccellenze è rappresentata dal dottor Francesco Amato, direttore dell’Unità operativa complessa di Terapia del dolore all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Realizza terapie all’avanguardia sia sul dolore cronico che nell’ambito delle cure palliative e nel 2017 è stato addirittura premiato dall’allora ministro alla Sanità Beatrice Lorenzin con la medaglia di bronzo per il lavoro. Una voce autorevole, quella del medico cosentino, per comprendere i problemi sistemici del sistema sanitario calabrese.
Dottor Amato, in Calabria molti ospedali sono in condizioni disastrose. Carenza di personale, strutture obsolete, budget ridotti all’osso. Recupereremo mai il gap che ci separa dal resto del Paese?
«Se è vero che in Calabria non si sono raggiunti i livelli minimi di assistenza, nella stessa situazione si trova purtroppo il 60% delle Regioni, il che tradotto vuol dire ben 12 Regioni su 21. Di fatto possiamo definirlo uno shock nazionale ed è quello che emerge dalla prima sperimentazione attuata dal Ministero della Salute sul Nuovo Sistema di Garanzia dei Lea approvato lo scorso dicembre nella Conferenza Stato-Regioni. È un nuovo modello che entrerà in vigore nel 2020, è in via di sperimentazione ma è indubbio che i risultati acquisiti ed oggetto di studio restituiscono un quadro disarmante. L’obiettivo dell’erogazione di servizi uniformi nelle diverse realtà territoriali – mentre siamo in cammino verso una maggiore autonomia – è ancora decisamente lontano. Se il nostro viene definito come il miglior sistema sanitario al mondo non possiamo nascondere che, nella dinamica Nord-Sud, sono evidenti diseguaglianze e disagi. Disparità che hanno un impatto altissimo in termini economici, sociali ed etici al punto da poter dire che corriamo il rischio di vanificare i principi di universalità ed equità».
I nuovi, grandi ospedali rimangono per ora solo progetti, intanto si depotenziano i piccoli nosocomi e i presìdi sul territorio. Così i calabresi non si fidano del sistema sanitario e scelgono di emigrare. Come se ne esce?
«Il territorio calabrese, per estensione e varietà orografica, è complesso e bisogna necessariamente tenerne conto in ogni progetto di razionalizzazione di risorse e spese. La via è tracciata e, a mio avviso, bisogna concentrare le risorse sugli Hub, baluardi a tutela della salute dove si concentrano le patologie a maggiore complessità. Gli spoke, con le giuste dotazioni finanziarie, vanno invece utilizzati anche come filtro decongestionando gli Hub ed aumentando, dunque, la capacità recettiva di questi ultimi. Altra sfida è la diminuzione della mobilità extraregionale che incide in negativo sul bilancio regionale. Basti pensare che il 12% delle prestazioni erogate a residenti calabresi da strutture fuori regione riguardano i Drg (Raggruppamenti omogenei di diagnosi, ndr) ad elevato rischio di inappropriatezza; parliamo di un importo di circa 7,4 milioni di euro. E poi ci sono i temi strategici dell’innovazione e della sostenibilità. Il nostro è un settore in straordinaria e positiva evoluzione, oggi i comparti a maggiore tasso di sviluppo sono quelli delle bio-nanotecnologie, della medicina personalizzata, dell’assistenza residenziale. Le innovazioni ovviamente costano, vanno usate nel modo più intelligente possibile evitando disuguaglianze tra territori e cittadini e non è una sfida semplice perché significa passare da un sistema “che fa tutto dovunque” a un sistema organizzato in rete che eroga appropriatezza strutturale per tutti. Semplifico ancora, dobbiamo erogare non solo la prestazione corretta ma farlo anche nel posto giusto. È un cambio culturale e strategico, al centro, lì dove un tempo c’era la struttura sanitaria, ora c’è il paziente e tutte le informazioni che lo riguardano; in questa prospettiva vanno introdotte nel sistema regole e metodologie (peraltro semplici da realizzare) che misurino qualità, efficienza, appropriatezza e costo delle prestazioni. Il modello di analisi è invece quello che consente di collegare tra loro le prestazioni, i fattori produttivi impiegati per la loro erogazione, i relativi costi con i punti di erogazione. Solo cosi avremo un doppio risultato, cure appropriate con costi giusti e sostenibili. In concreto dobbiamo prestare molta più attenzione a come viene fornita l’assistenza a livello territoriale mediante delle vere e proprie reti strutturate di assistenza. Infine – me lo lasci dire – bisogna investire nel sentimento di stima e fiducia dei calabresi nei confronti del corpo sanitario, non siamo affatto gli ultimi della classe in qualità prestazionali ed insieme – medici e cittadini – dobbiamo essere protagonisti di questo cambiamento innanzitutto culturale. I discorsi unicamente disfattisti, le polemiche fini a se stesse e per nulla utili a risolvere i problemi generano solo disistima, sfiducia, distanza, con il risultato che la migrazione di pazienti calabresi – con i conseguenti costi – riguarda anche patologie semplici».
La sanità calabrese ha bisogno, dunque, di una riorganizzazione della medicina territoriale ed ospedaliera e anche dell’area a lei più vicina che è quella della terapia del dolore
«Sono di parte ma non posso tacere il fatto che la terapia del dolore è un orizzonte di sistema, quanto è stato fatto dalla legge 38 in poi deve essere motivo di orgoglio per un Paese come l’Italia che spesso colpevolmente trascura i suoi profili di umanità, modernità, lungimiranza. Per la Calabria il percorso è quello di garantire a tutti i cittadini calabresi il diritto ad una cura del dolore che sia la più omogenea ed appropriata possibile. Da anni stiamo lavorando e condividendo buone pratiche ed elementi di qualità nella costruzione delle reti della terapia del dolore. Uniamo in un unico percorso molti elementi: umanità, innovazione, appropriatezza, sostenibilità. Come è noto, infatti, una prolungata degenza in ospedale, oltre a costi maggiori per le Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, può determinare nel paziente cronico polipatologico effetti negativi sotto il profilo psico-fisico e dunque dobbiamo ridurre al massimo accessi inappropriati ai Pronto Soccorsi e conseguenti prolungati ricoveri. Da questo punto di vista la collaborazione dei medici di medicina generale – soprattutto per i bisogni delle persone in età avanzata, per le grandi disabilità e le patologie neurologiche ed oncologiche – è decisiva ed essenziale. Di fatto abbiamo percorso un buon tratto di strada ma dobbiamo continuare nel potenziare e sviluppare percorsi condivisi fra le strutture ospedaliere – in particolare il Centro Hub – e la Rete dei servizi territoriali».
Al di là di temi specifici e particolari ambiti di intervento, come descriverebbe lo stato attuale della sanità?
«La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è un tema dominante del dibattito; per ora, dopo la crisi del 2008 e l’adozione della politica di tagli lineari, il sistema è in sostanziale equilibrio anche se più analisti prevedono una imminente crisi di sostenibilità. Però direi anche che siamo abituati a pensare alla sanità come costo e non come investimento; oltre a difendere la vita, tutelare la salute fisica e psichica, garantire il sollievo dalla sofferenza, la sanità rappresenta anche il 10,7% del prodotto interno lordo ed il 10% dell’occupazione nazionale. È la terza industria del paese, se è giusto sottolineare e l’aspetto sanitario ed etico ma lo è anche prestare la massima attenzione ai temi del valore e degli investimenti. Per quanto riguarda la Calabria c’è invece bisogno di una forte riorganizzazione delle competenze prendendo come riferimento le prime tre regioni a livello nazionale. Sotto il profilo della qualità delle prestazioni, della competenza e professionalità dei medici e degli operatori siamo al pari degli altri, ciò che dobbiamo fare, tutti insieme, è raggiungerli nell’organizzazione, nella sostenibilità economica e finanziaria, nella capacità di governance». (redazione@corrierecal.it)
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