di Francesco Creazzo
Ha fatto riemergere dall’ “oceano” del tempo draghi, ippocampi e delfini: all’inizio del decennio riemergeva tra lo stupore il più grande mosaico di età ellenistica mai ritrovato. Quella dell’antica Kaulon è solo la più famosa delle scoperte di Francesco Cuteri, archeologo e professore, allievo di un “mostro sacro” del settore come Riccardo Francovich, si è perfezionato in archeologia a Firenze ed ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Archeologia a Pisa. Ha insegnato Archeologia e rilevamento dell’edilizia storica e di Archeologia medievale all’Università Mediterranea, ha scritto più di 160 saggi. Ma, sopratutto, è sempre rimasto sul campo, a scavare in Toscana, Calabria, in Grecia. A Kaulon, a Stilo, a Tropea, Francesco Cuteri è un uomo di scienza, ma anche un cercatore di bellezza, uno scopritore di radici. Quelle radici che i calabresi spesso dimenticano.
Professore, lei ha già avuto modo, negli anni scorsi di lanciare una provocazione: «Smettiamo di scavare se non riusciamo a valorizzare ciò che viene scoperto». Questo grido d’allarme è caduto nel vuoto o qualcuno lo ha ascoltato?
«Sono stato ascoltato, ma non perché è stato recepito il messaggio ma semplicemente perché le condizioni attuali, i tempi che viviamo, per tante scelte fatte “politicamente”, non consentono più di fare scavi, se non correndo dietro alle ruspe che scavano per realizzare metanodotti o fogne o linee elettriche o presenziando nel corso della realizzazione di qualche opera pubblica, dove la presenza dell’archeologo è obbligatoria. Tutto molto distante dagli anni in cui nel Ministero c’era la disponibilità economica per intervenire con le programmazioni e con le somme urgenze e dove l’azione archeologica prendeva il via da un’idea di ricerca, di conoscenza. Ma il mio appello, naturalmente provocatorio, invocava una necessità di intervenire con vigore e determinazione nella salvaguardia, nella conservazione dei tanti beni archeologici già portati alla luce. Qualcosa si è fatto ma la complessità e la ricchezza del nostro patrimonio richiedono interventi strutturati, non semplici passate di bianco sulle superfici ammuffite. È la muffa che bisogna rimuovere. E per rimuovere la muffa servono studi, conoscenza, risorse e persone esperte».
Un patrimonio archeologico, artistico e culturale immenso, quello calabrese. Come mai produce così poca ricchezza?
«La Calabria è terra molto particolare. Noi calabresi non abbiamo mai ragionato, finora, in termini di ricchezza. Non rientra nel nostro Dna l’idea di sfruttare il bello che ci circonda, il patrimonio che accompagna quotidianamente i nostri sguardi. Questo patrimonio lo abbiamo inteso, a volte senza amarlo realmente o profondamente, come uno scenario di fondo, un silenzioso compagno di viaggio delle nostre esistenze. Esistenze spesso rivolte a cercare un posto di lavoro o a procurarsi presto una valigia per partire, andare lontano, con la consapevolezza che quella valigia, una volta giunti a destinazione, colma di ricordi e di nostalgia, avrebbe pesato il doppio e ancor di più. L’idea di avere la bellezza intorno come dono mi piace molto. Non amo le macchine di mercato che devono produrre a tutti i costi soldi. Ma è pur vero che è un tesoro quello di cui disponiamo e che lo dobbiamo far tornare utile alle nostre generazioni. Senza spettacolarizzazioni, senza usi impropri, ma sempre con amore, con cura, con rispetto. Si tratta, ora, di affrontare un nuovo cammino, per proporre ai calabresi ed a quanti giungono da fuori regione, un diverso racconto della nostra terra. Un racconto che deve lasciare traccia nei cuori di chi visita i nostri monumenti, i nostri parchi, le nostre aree archeologiche; che deve educare; che deve rendere consapevoli del peso storico delle antiche pietre. Ciò richiede l’impegno di tutti e, soprattutto, lo ripeto ancora, competenza. Mi auguro che i politici si lascino guidare da chi ha speso la propria vita a studiare queste tematiche e che la si smetta di spingere nella direzione di fare le gare a chi stacca più biglietti nei musei o a chi ha più visitatori in un parco. Offriamo prodotti di qualità, servizi eccellenti, racconti profondi. Andrà meglio. E pensiamo anche ai nostri figli, che spesso sono costretti a visitare musei in cui la base delle vetrine supera la loro altezza e non possono vedere nulla. Che senso ha portare le scuole in musei concepiti per gli adulti?».
Lei è un esperto di storia greca ma anche un medievista: quali sono i capolavori – spesso sconosciuti – del medioevo calabrese? Per quale motivo, secondo lei, questo tipo di testimonianze vengono promosse e valorizzate meno di altre?
«Non sono un esperto di storia greca ma amo la storia infinitamente. La mia formazione è da medievista ma nei percorsi di studio non si deve mai essere settoriali è così è normale che abbia studiato anche il mondo antico, e non solo quello greco. E poi, il fatto di scavare il Calabria, mi ha posto fin da subito di fronte ad un immenso patrimonio “classico” ed ho avuto bellissime opportunità di fare tante esperienze di scavo a Crotone, Isola Capo Rizzuto, Capo Colonna (esperienza indimenticabile nell’area sacra ad Hera) e Monasterace, dove per oltre 15 anni ho scavato tra le mura dell’antica Kaulonia ed ho ricevuto il dono di scoprire, nel 2012, il grande mosaico ellenistico della “sala dei draghi, dei delfini e dell’ippocampo”.
Il Medioevo è una pagina importantissima per la storia della Calabria ed io ho trascorso molto tempo, anche quando insegnavo alla Mediterranea di Reggio, ad investigare i centri abbandonati calabresi: Mileto, Castelmonardo, Motta San Demetrio, Rocca Angitola, Amendolea, eccetera. E questo mio impegno continua ancora oggi che insegno all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, dove, insegnando Beni Culturali, affronto nei miei corsi queste tematiche importanti. Nella nostra regione però, il peso straordinario del patrimonio di età greca ha schiacciato un po’ tutto. Ma le cose stanno cambiando e c’è sempre più desiderio di scoprire questa importante pagina di storia attraverso le testimonianze archeologiche e monumentali che ci sono giunte. I monasteri e le fortezze bizantine, i castelli normanni, i villaggi abbandonati, le abbazie, gli insediamenti rupestri. E qui servirebbe una più incisiva attività di promozione. E servirebbero soprattutto i “custodi” dei luoghi. Bisognerebbe, cioè, dare la possibilità ai tanti giovani, dopo aver affrontato i necessari percorsi di formazione, di prendersi cura, con la giusta retribuzione, di un parco (quello di Mileto ad esempio), di un’abbazia (mi viene in mente Corazzo); di un villaggio abbandonato. Troveremmo finalmente i luoghi ben tenuti, ben raccontati, curati con amore e con il desiderio di farli conoscere ulteriormente e intimamente. Il Medioevo sarà la nostra nuova frontiera. In barba a chi considera questa età priva di luci».
Dal mare, specialmente nel reggino, stanno venendo fuori altri tesori, altra storia. Cosa può dirci a riguardo? Qual è il suo auspicio per i reperti che verranno estratti dai fondali dello Stretto?
«Il mare è uno scrigno e nessuno di noi immagina, aprendo la propria cassetta dei tesori, di spenderli tutti in un solo giorno. C’è tanta ricchezza sotto il mare, molta ancora sconosciuta. Ma ci sono luoghi che già oggi permettono immersioni e che sono veri e propri tuffi nel passato. La prima cosa che mi viene in mente, ad esempio, è l’area archeologica sommersa di Monasterace, dove riposano i resti di un tempio ionico. Per qual che riguarda i recenti ritrovamenti di Reggio, sappiamo, da quanto è stato riferito dai giornali, che si tratta di qualcosa di molto importante. Qualcosa che permetterà di definire ulteriormente la topografia urbana dell’antica Reggio e di collocare con maggiore precisione la città nella straordinaria rete di traffici, commerci che ha interessato non solo l’area dello Stretto ma il Mediterraneo intero. Del resto, come ben sappiamo, quello di Reggio è sempre stato il porto più importante della nostra regione; l’unico sempre attivo insieme a quello di Crotone. In quell’area sono a lavoro gli esperti del Ministero per i Beni Culturali e sono certo che sapranno agire nel migliore dei modi per garantire la conoscenza e la conservazione di questo nuovo, importante contesto archeologico. L’attività di scavo in mare non è semplice e non sempre è opportuno recuperare tutto. Certamente qualcosa, dopo le necessarie operazioni di documentazione, sarà prelevato dai fondali e sarà mostrato alla città e non solo. Ma se non ci sono particolari problemi di tutela è bene che le cose, almeno per il momento, rimangano adagiate sul fondale. Riflettendo, intanto, su dove eventualmente collocare i prossimi recuperi e su come raccontare questa nuova pagina di storia. Importantissima. E recuperando, nel frattempo, i necessari finanziamenti per affrontare al meglio, in futuro, il recupero parziale o totale del giacimento. Ma, intanto, si potrebbero programmare, garantite le varie condizioni di sicurezza, delle immersioni guidate. Ed anche la realizzazione di un video. Per raccontare questa bellissima storia passo passo, come capitoli di un romanzo che riguarda la vita di tutti».
Quali sono i primi tre provvedimenti da adottare, a livello regionale, per la tutela e la promozione del patrimonio storico e artistico calabrese?
«A questa domanda, in verità, ho risposto per cenni con le domande precedenti. Ma voglio aggiungere tre considerazioni. Anche se ne servirebbero altre. Musei e parchi archeologici. Ogni luogo, ogni spazio, deve avere un suo direttore. Non possiamo pretendere da un funzionario o da un direttore che si occupi bene di più realtà contemporaneamente. È ora di finirla con questo meccanismo che penalizza il nostro patrimonio. Ed anche le piccole realtà devono trovare la possibilità di essere curate e raccontate. Bisogna perciò aiutare i comuni volenterosi e lungimiranti, che credono nel valore del loro patrimonio e del loro passato, in un nuovo processo di valorizzazione dei beni. Perché il Parco archeologico di Mileto, l’unico sul Medioevo in Calabria, non deve avere un suo direttore? Ed è solo un esempio. Finanziamenti. Stanno per essere finanziati dalla Regione, soprattutto con fondi comunitari, tantissimi interventi. Ed essendo tanti significa che ci sarà un super lavoro per funzionari e tecnici del Ministero e della Regione. Perché non istituire una commissione di valutazione dei progetti, una commissioni che giudichi con competenza, anche con sopralluoghi dettagliati, non solo la qualità delle idee ma anche la loro fattibilità e le reali prospettive di gestione? Cominciano a circolare strane voci sulle proposte di recupero/restauro; voci in alcuni casi preoccupanti, come quella che vuole la realizzazione di una nuova copertura della chiesa dell’abbazia cistercense di Corazzo. Non ci provate! Lasciate che i ruderi raccontino la loro bellezza. Per sposarsi ci sono tante altre belle chiese».
Promozione: chi racconta la nostra storia? E chi lo fa nel modo giusto?
«Non voglio esprimere giudizi ma solo invitare a qualche riflessione. Mille portali raccontano mille storie diverse, ed a volte con mille inesattezze che non giovano alla nostra terra. Con luoghi comuni, fantasie, improprietà. I racconti sono belli e possiamo anche riferire di leggende, detti, e di tutti i racconti dei nonni, che sono patrimonio antropologico di straordinario valore. Ma raccontiamo anche la storia per bene, quella vera; e descriviamo i luoghi per quello che sono realmente; e proponiamo percorsi per tutti i gusti e tutte le età, ma con informazioni corrette. Una piattaforma unica d’informazione sarebbe già un bel risultato, in accordo magari fra ministero dei Beni culturali e Regione, con le adesioni dei comuni. Tutti possono raccontare nelle proprie pagine quello che vogliono, anche questa è libertà. Ma le istituzioni hanno il dovere di fornire quelle giuste, con orari di visita dei musei e dei parchi, con sintesi storiche efficaci, con descrizioni alla portata di tutti, con collegamenti ai necessari approfondimenti. Mi piacerebbe che tutto questo avvenisse; così come mi piacerebbe che la valorizzazione non fosse solo legata alle spettacolarizzazioni ma esprimesse anche l’intimità dei luoghi, ne valorizzasse il silenzio, il paesaggio; ne esaltasse il valore intrinseco di patrimonio. Mi piacerebbe inoltre che la bellezza della nostra terra fosse raccontata in modo diverso, con più video e spot di qualità, con meno luoghi comuni e con la valorizzazione dei tanti piccoli borghi che, da sopra le colline, guardano il mare. In attesa di un tramonto ch’è prossimo».
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