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LA REGIONE CHE VORREI | Lo spirito di chi ama i posti in cui vive

Nessuno fa più a meno del Fai in Calabria. Negli anni i volontari con pazienza hanno scalato la ripida roccia della tutela del patrimonio e oggi le loro manifestazioni sono tra le più apprezzate di…

Pubblicato il: 30/10/2019 – 7:06
LA REGIONE CHE VORREI | Lo spirito di chi ama i posti in cui vive

di Michele Presta
CATANZARO
Il mondo del Fai regge le sue basi su due assi: la tutela e la scoperta. Entrambe presuppongono esperienze sensoriali e non solo che nel tempo hanno permesso al Fondo ambiente italiano di diventare punto di riferimento non solo per curiosi o addetti ai lavori. La presidente del Fai Calabria Annalia Paravati, chiude il filone editoriale de “La Regione che vorrei”. In otto hanno risposto alle domande che noi del Corriere della Calabria abbiamo fatto ad una (piccola) parte delle eccellenze calabresi.
In Calabria il Fai ha formato una propria delegazione solo nel 2007, segno di qualche sorta di resistenza e diffidenza da parte degli amministratori pubblici e delle comunità?
«Il Fai ha subito nel tempo una forte evoluzione. Nato dal mecenatismo di alcuni imprenditori ed intellettuali del nord, ha avuto bisogno di tempo per crescere e radicarsi nelle coscienze degli Italiani. L’intervento del Fai ha per presupposto la donazione di un bene alla Fondazione, che lo restaura e lo restituisce alla fruizione della collettività ed ha colto, nei primi anni di attività, le occasioni che le venivano offerte, più numerose al nord. Non dimentichiamo, però, che il primo bene acquisito dal Fai è stato Cala Junco, una piccola baia a Panarea, la cui donazione al Fai ha impedito una barbara lottizzazione che ne avrebbe distrutto l’identità.  Quando, insieme ad un gruppo di amici, costituimmo la prima Delegazione nella locride, molti non conoscevano l’esistenza del Fai e abbiamo faticato per “accreditarci”. Oggi abbiamo il problema opposto: molte amministrazioni ci chiedono di partecipare alle nostre iniziative e si crea sempre più spesso uno spirito di collaborazione estremamente positivo. Non mancano certo le esperienze opposte ma sono diventate davvero rare».
Qual è l’impegno che chiedereste alla Regione in riferimento ai beni, naturali e non solo, della Calabria? E riguardo al turismo? Le persone sono messe in grado di vivere i luoghi?
«La nostra regione vive, in modo amplificato e da più tempo, i problemi comuni all’Italia. Non possiamo nasconderci che il patrimonio culturale e naturalistico non è stato mai visto come il punto di forza da cui partire per creare crescita, ricchezza e sviluppo. Questo chiederei: mettere il patrimonio culturale ed ambientale calabrese al centro delle agende di intervento, preservarlo, farlo scoprire, renderlo fruibile ai turisti e metterli veramente in grado di vivere con soddisfazione i tanti luoghi incantevoli di questa Regione. Servirebbe a far cambiare l’idea sulla nostra Regione nell’immaginario collettivo, ed è questa la speranza di ogni volontario calabrese del FAI. Non dimentichiamo però che la nostra Regione ha tanti Parchi e aree protette e la Calabria è stata la prima regione italiana ad accogliere l’appello della Coalizione Stop Glifosato, applicando un principio di tutela dell’ambiente e della salute come bene primario dei cittadini. Abbiamo il dovere di essere vigili, di sollecitare, di segnalare ma anche di apprezzare interventi che vanno nella giusta direzione».
Il Fondo ambiente italiano si impegna pure a ridurre l’impatto energetici dei beni e a raggiungere gli standard di eccellenza europei dal punto di vista ambientale. Qual è lo stato dell’arte in Calabria?
«Il Fai applica nei propri beni un innovativo progetto di sostenibilità ambientale ed economico, completamente dedicato all’efficientamento energetico, attraverso il risparmio di energia, l’uso di fonti rinnovabili e proteso al raggiungimento della completa autonomia; pratica la raccolta delle acque piovane e un originale metodo di recupero e di riciclo delle acque reflue; sostiene le pratiche agricole biologiche e protegge i paesaggi rurali d’interesse storico e culturale. È un esempio concreto che si può replicare. Questo modello è stato applicato nel progetto di restauro, i cui lavori saranno presto avviati, del Casino Mollo, a Camigliatello Silano, primo bene Fai in Calabria».
I centri storici montani: tra orgoglio e preoccupazioni. Sono loro la vera scommessa del Fai?
«È il progetto decennale del Fai, il nostro impegno per il futuro, ispirato al progetto del National Trust che ha salvato parte delle coste inglesi, finalizzato alla valorizzazione di quelle zone che meno sono state investite dall’omologazione e dalla cementificazione, ancora legate ad un’identità ma che soffrono di grande marginalità. Un progetto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito “strategico” per il nostro paese».
Beni poco accessibili. È ancora lunga la strada per un panorama di beni senza barriere, che garantiscano di dialogare con ogni disabilità.
«Quasi tutti i nostri beni sono accessibili ai disabili e stiamo lavorando perché tutti lo diventino e, comunque, consentono esperienze sensoriali condivisibili da tutti. Anche in questo vogliamo porci come un modello da seguire e indicarla come una pratica possibile, consapevoli dell’ampiezza del problema».
Il Fai è costituita da una rete di privati. Con l’introito dei beni del Fondo si coprono parte dei costi relativi ai lavori realizzati. Perché è quasi impossibile ottenere gli stessi introiti coi musei?
«Ciò che caratterizza i beni del Fai è la cura, direi maniacale, con cui vengono mantenuti. I visitatori percepiscono l’attenzione che si dedica loro e anche il ruolo dei volontari è importante. La gestione di un bene pubblico deve seguire percorsi più condizionati, spesso farraginosi, con strutture non sempre adeguate e poche risorse che non consentono, a volte, una perfetta fruibilità. Credo che conti anche la percezione che la cura di un bene pubblico debba essere a carico dello Stato ma è un fenomeno in controtendenza e assistiamo sempre più spesso ad esempi virtuosi di valorizzazione che vedono la collaborazione tra pubblico e privato».
Indichi un bene da salvare in Calabria e un altro per cui ormai è troppo tardi
«Il nostro patrimonio artistico è ricchissimo e ci sono, purtroppo, molti beni che meriterebbero maggiore attenzione. Fra i tanti, e solo come esempio di eccezionale valore, sarebbe una gioia vedere i mosaici della Villa romana di Casignana, la Piazza Armerina della Calabria, completamente fruibili e definitivamente recuperati. Non mi piace pensare che ci siano beni per cui non sia possibile fare qualcosa per recuperarne la memoria. Ci sono, invece, dei beni che per la loro particolare collocazione, che li espone a maggiori rischi, necessitano non solo di interventi straordinari di salvaguardia ma di un progetto di più ampio respiro che preveda un costante e razionale intervento di tutela che ne assicuri il futuro. Un esempio è il Parco Archeologico di Sibari». (m.presta@corrierecal.it)

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