COSENZA La sanità è in ginocchio e alcuni cosentini non vogliono piegarsi ad un sistema definito «marcio» a più riprese. Provano a cavalcare l’onda della grande manifestazione contro Matteo Salvini, quelli dell’assemblea “Stutamuli tutti”, ma lungo viale degli Alimena, davanti alla sede dell’Asp di Cosenza quel brio è latitante.
Nulla di cui scoraggiarsi. La manifestazione dinnanzi al palazzo che ospita l’azienda sanitaria provinciale sembrerebbe essere soltanto la prima di una lunga serie di proteste. «Siamo qui ma il percorso è a lungo termine. Dobbiamo protestare contro chi ha ridotto il sistema sanitario regionale ad una macelleria sociale – spiega Carmelo Sergio -». Al microfono si avvicendano tutti. Ma dal portone della sede dell’Asp, presidiata dalle forze dell’ordine, non si affaccia nessuno. L’appuntamento per un incontro è rimandato, la direzione non è presente. «Vogliamo portare la nostro disappunto – continua il manifestante -. La direzione deve sapere che si devono andare oltre le logiche ragionieristiche. Su di noi pende la spada di Damocle del commissariamento che in 10 anni più che produrre utilità ha prodotto disagi». L’indice è puntato sulla politica. Destra o sinistra non c’è differenza. Per i manifestanti le responsabilità sono individuabili in chi negli anni ha occupato le poltrone del potere regionale e nazionale. L’accusa è di una sanità pubblica utilizzata come se fosse privata. «E non sono immuni da responsabilità neanche quelli del Movimento Cinque Stelle – dice Simone Guglielmelli -. Loro con il “Decreto Calabria” hanno suonato il “de profundis” per la sanità nella nostra regione». L’occhio è ai tagli, ma contestualmente all’aumento della spesa corrente. «Il debito è arrivato a 2 miliardi di euro mentre il disavanzo sfiora i 160 milioni – prosegue Carmelo Sergio -. Di fatto è la certificazione del fallimento del commissariamento. Ma i problemi arriveranno anche con i mancati rinnovi dei contratti. Ci sono 1200 precari che dai primi di gennaio del 2020 non avranno più un contratto, al dramma di quelle famiglie si aggiungerà il dramma di ospedali che non avranno a disposizione più forza lavoro». Tante le proposte, come quella di Mario Bozzo, medico ormai in pensione: «Il problema non sono i grandi ospedali che devono essere costruiti ma i presidi sanitari da riaprire. Gli ospedali che negli anni sono stati chiusi devono essere trasformati in case della salute – spiega l’ex camice bianco – affinché le esigenze dei territori tornino ad essere soddisfatte». (mipr)
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