Se avessero mano libera soggetti come quelli che hanno concepito il contestatissimo progetto del lungomare di San Lorenzo, non a caso ormai noto come Lungomare Laqualunque, il Pianeta intero diventerebbe un immenso autoservizio urbano, un raccapricciante conglomerato di svincoli, tangenziali, centri commerciali, antiestetici capannoni industriali, disarmoniche case a schiera, abnormi parcheggi, grandi opere inutili e via asfaltando, con tanta alta velocità ad agevolare i collegamenti tra un orrore e l’altro. Ma per disdetta di questi signori l’ex Belpaese chiamato Italia si è dotato di norme (o ha recepito direttive comunitarie) che cercano di scongiurare la completa e irreversibile artificializzazione dei territori; e dunque a volte per assecondare la fissazione cementificatrice, per realizzare i loro desideri antidiluviani, i fautori della desolazione e della morte devono diventare audaci spregiatori della sovrana volontà del popolo italiano espressa attraverso i suoi rappresentanti. Si assumono i pieni poteri, come avrebbe voluto fare il ministro dell’inferno precedente, ignorano quel che non gradiscono ma dovrebbero sentirsi onorati di rispettare e promuovere e, non volendo sentire ragioni, dispongono l’apparato auricolare in assetto blindato, quello descritto dalla locuzione orecchie da mercante.
Nella fattispecie per sognare di realizzare il macabro progetto – semplicemente inconcepibile in base alle leggi vigenti – si doveva essere culturalmente arretrati, estranei alle preoccupazioni generate dalla crisi climatica e dal degrado del paesaggio, ancora fermi alla buia preistoria economica che ci ha condotto al disastro ambientale in cui ci troviamo, in altre parole sostenuti da quell’incoscienza, da quella superficialità irresponsabile senza la quale la corsa a ostacoli (cioè il tentativo protervo di raggiungere gli agognati silenzi/assensi) non sarebbe mai stata intrapresa. La Soprintendenza ha espresso un parere nettamente contrario, anche se dopo i termini fissati per legge, ma gli altri organi coinvolti nella conferenza di servizi, tra i quali la Città Metropolitana di Reggio Calabria e alcuni uffici regionali, hanno fatto gli asini nel lenzuolo, come si dice nell’area dello Stretto. E così, per fornire solo un esempio, il Qtrp Calabria (D.C.R. n. 134 del 1 agosto 2016), laddove dispone per i territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia la conferma delle norme di tutela che prevedono il divieto di effettuare interventi di trasformazione del suolo con aumento della superficie impermeabile e laddove impone la salvaguardia delle morfologie naturali, era solo un bastone tra le ruote per questi individui fuori dal mondo, non uno strumento apprezzabile posto a difesa di beni comuni come appunto il suolo e il paesaggio.
Ma i disinvolti campioni dell’infrazione (interpreti del loro ruolo di amministratori alla stessa maniera di una ipotetica guardia forestale che svolgesse le sue funzioni dedicandosi al bracconaggio e al taglio indiscriminato di alberi) nella foga non hanno curato tutti i dettagli e inciampano ora nella riperimetrazione del Sic Zsc Fiumara Amendolea avvenuta nel 2017 (in foto la cartina del Sic aggiornata), recepita dal Qtrp nell’ultimo aggiornamento del Quadro conoscitivo, e attestata dalla cartina qui allegata. Ovviamente con le stesse facce toste già esibite cercheranno di misurare con i centimetri i confini del Sic per negare che l’area di progetto vi ricada, ma gli sforzi saranno vani perché la Direttiva 92/43/CEE 21 maggio 1992 del Consiglio, denominata Habitat, punta alla conservazione di alcune specie animali e vegetali di interesse comunitario e dunque – così si esprime sul proprio sito il Ministero dell’Ambiente – è bene sottolineare che la valutazione di incidenza si applica sia agli interventi che ricadono all’ interno delle aree Natura 2000, sia a quelli che, pur sviluppandosi all’ esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito (rimandiamo al link https://www.minambiente.it/pagina/la-valutazione-di-incidenza). Nessuno dei propugnatori né qualcuno dei complici del Lungomare Laqualunque si è posto il problema della Vinca, per questo si apre una falla che farà affondare i loro turpi propositi.
Un progetto opposto, fondato sull’impianto di centinaia di alberi filologicamente appropriati a ridosso della spiaggia piuttosto che su una superstrada per la viabilità automobilistica, sulla fruizione sociale di un luogo bello e sano con una pista in terra battuta stabilizzata per le automobili contenuta in larghezza dalla necessità di restaurare un ecosistema già troppo offeso da limitrofe abominevoli colate di asfalto impermeabile, sarebbe in linea e non in contrasto con l’articolo 9 della Costituzione repubblicana, con il Codice del Paesaggio del 2004 e con tutta la legislazione vigente in materia, e garantirebbe un contesto non tanto ostile alla tartaruga caretta caretta, a uccelli che nidificano sulla spiaggia come il fratino e a tante specie vegetali dunali a rischio d’estinzione. Senza contare che di alberi c’è un urgente e conclamato bisogno mentre l’Amazzonia è in fiamme: ci fanno respirare con la fotosintesi assorbendo anidride carbonica e migliorando di molto il microclima intorno a loro.
E infine ci chiediamo: è possibile che una vergogna del genere non indigni il Ministro per il Sud Provenzano e lo stesso Presidente del Consiglio Conte se i fondi delle politiche di coesione sono destinati alle iniziative per lo sviluppo sostenibile? Qui c’è infatti la pretesa di utilizzare un milione di euro delle casse pubbliche, sottraendolo a soggetti che lo avrebbero correttamente impiegato, per fare girare all’indietro la ruota della storia, per insistere col sottosviluppo insostenibile che ha sfregiato e compromesso gran parte dei territori dell’Italia meridionale.
*Laboratorio territoriale Condofuri e San Lorenzo
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