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La rete del boss Mantella per evitare la galera. «Così avvocati e medici mi hanno insegnato a “fare il pazzo”»

Due verbali ammessi nel processo a carico dei professionisti che avrebbero agevolato il capoclan divenuto pentito. Un finanziere “infedele” avrebbe anticipato l’arrivo di un provvedimento di seques…

Pubblicato il: 05/11/2019 – 7:34
La rete del boss Mantella per evitare la galera. «Così avvocati e medici mi hanno insegnato a “fare il pazzo”»

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO I medici pagati “profumatamente” che gli davano consigli su come si manifestano i sintomi di una malattia mentale. L’avvocato che lo avverte con largo anticipo su un sequestro da quattro milioni di euro che avrebbe subito da parte della Guardia di finanza. Il finanziere “infedele” che aveva spifferato: «Noi, a giorni, gli dobbiamo fare questo sequestro dei beni, a Mantella. Dalle carte risulta che ha un patrimonio di 4 milioni e mezzo». La corsa a fare cassa macellando i capi di bestiame e cercando di piazzare la Bmw. Nel corso dell’interrogatorio del 12 aprile 2019 il collaboratore di giustizia Andrea Mantella è un fiume in piena. Davanti al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, racconta particolari ammessi, nel corso dell’udienza preliminare di lunedì, agli atti di un procedimento per il quale l’Antimafia chiede il processo a carico di medici legali – alcuni anche in veste di pubblico ufficiale perché nominati dal giudice per le indagini preliminari – avvocati penalisti, medici periti di parte. I reati, a vario titolo contestati, sono false dichiarazioni, false attestazioni a pubblico ufficiale, corruzione in atti giudiziari, favoreggiamento, false dichiarazioni al difensore, concorso esterno in associazione mafiosa. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso perché gli imputati avrebbero agito con lo scopo di agevolare la ‘ndrina “Pardea-Ranisi” attraverso la scarcerazione di un suo vertice apicale, Andrea Mantella, già in precedenza esponente del clan “Lo Bianco-Barba” e poi promotore del gruppo scissionista operante su Vibo Valentia.
LA SOFFIATA «… quando l’avvocato Giuseppe Di Renzo mi ha soffiato la notizia che, praticamente, a giorni mi sarebbe.., dovuto arrivare un sequestro patrimoniale di 4 milioni e mezzo di euro, che poi effettivamente avvenne…», racconta Mantella, a quel punto per l’ex esponente del clan Lo Bianco-Barba si pone il problema di fare cassa. Attraverso il suo legale, che aveva rapporti di parentela, secondo Mantella, con i proprietari di una concessionaria, fa mettere la sua Bmw X-5 X-Trail all’interno del salone automobilistico. Ma la guardia di finanza «quella mattina lì, la fotografò all’interno dello show room». A questo punto Mantella racconta di avere deciso di fare sparire la macchina e di piazzarla in Bulgaria. Secondo il racconto di Mantella, è l’avvocato Di Renzo che si presenta alla concessionaria e spiega che «a giorni lo denuderanno ad Andrea perché c’è un provvedimento patrimoniale…». Sono giorni concitati in cui l’attuale collaboratore di giustizia racconta di avere cercato di sottrarre al sequestro i suoi beni: «Poi, quando abbiamo visto che l’avvocato Di Renzo mi ha dato… mi ha detto pure la data del sequestro, quella mattina ho venduto i 68, 100, non mi ricordo bene, bovini, l’escavatore ho cacciato via…». Secondo il collaboratore la fonte confidenziale all’interno della Guardia di Finanza era un tenente che «avrebbe avuto paura delle mie ritorsioni». «Praticamente, io, quando mi chiamò l’avvocato Renzo con la scusa di parlarmi di un processo in atto, non mi ricordo, mi disse, lì, nel palazzo Rizzuti: “Vedi che a giorni ti arriverà questo sequestro, non lo so quando, comunque, cerco di saperlo il giorno prima.” E io, praticamente, nella mia azienda avevo, più o meno, qualche centinaia di capi di bestiame, a 2.000 euro l’uno, 2.300, 2.400, l’ho mandati subito al macello, ho fatto cassa, avevo un escavatore, avevo un carro miscelatore, insomma…».
COME FARE IL MATTO Nel procedimento è indagato anche l’avvocato Salvatore Staiano. Di lui Mantella dice: «Ecco, l’avvocato Staiano, praticamente, mi ha fregato i soldi…». «Niente, eh, praticamente, l’avvocato continuava a fare delle chiacchiere, diceva che c’era, praticamente, una forzatura della Magistratura, che “Fra qualche mese, fra qualche semestre Io tiriamo fuori”, nel frattempo, lui si fregava i soldi, 2.000, 3.000 a visita. Ecco, poi, alla fine, io lo dovetti revocare… poi, credo che l’ho lasciato solo in Cassazione…».
In pratica, dopo un arresto nel 2011 il collaboratore spiega che portava avanti «il discorso della malattia, lí, quella barzelletta…». Si riferisce al fatto di simulare una malattia mentale per evitare il carcere. Come funzionava la cosa lo spiega lo stesso collaboratore: «I messaggi, tecnicamente, per simulare la malattia, a me me l’hanno detto i dottori che io ho pagato profumatamente, mi hanno detto che io dovevo fare, per essere credibile davanti agli altri periti del Procuratore, dovevo manifestare queste sensazioni, ecco, perché queste sensazioni corrispondono tecnicamente alla malattia che io manifestavo, per trarre in inganno e per appoggiare la perizia sulle mie sensazioni…». «Io – racconta Mantella – io mi dovevo dimostrare depresso, mi dovevo dimostrare rimesso, dovevo camminare con i lacci strappati, dovevo stare chiuso dentro la cella per… per mesi; come ho fatto». Mantella nella veste di “matto” se lo ricorda anche un altro collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato. Lo aveva visto fare il depresso con i suoi occhi, ad agosto 2011, con una coperta di lana addosso, la barba lunga, «finestre tutte chiuse e parlava di vacche solo con quelli che vanno in infermeria “Ma io c’ho le vacche, sapete”…; faceva il malato mentale, ma lo ha sempre fatto», racconta Moscato nell’interrogatorio del 5 ottobre scorso. Anche Francesco Scrugli, cognato di Mantella, (assassinato a marzo 2012) avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di false perizie per determinarne una condizione incompatibile con il sistema carcerario. Anche lui – racconta Moscato – faceva il pazzo attraverso lo stesso sistema che aveva favorito Mantella garantendogli un più comodo soggiorno, secondo l’accusa, nella clinica Villa Verde di Cosenza. «Prima della sua morte Scrugli mi parlò della finta che facevano per essere scarcerati… – fanno mettere a verbale gli investigatori – fingevano di essere malati mentali; lui e il cognato Andrea Mantella». Nell’estate del 2011 Moscato passa davanti alla cella in cui Mantella stava in isolamento. «Quando io sono passato da là dalla cella, lui si è alzato subito, infatti ricordo che c’ha pure un tatuaggio sul piede, una farfalla, era un simbolo malavitoso, quando si è alzato con sta coperta di lana, poi è venuto a salutarmi seriamente, mi ha dato la mano: “Come stai? Hai bisogno?” Quando è passata la guardia, comincia a fare: “Ma chi ti conosce? Ma sei un infermiere?”. E mi ha fatto fare una figuraccia, davanti guardia, infermeria. E là ci siamo conosciuti».
LE LETTERE Tra Andrea Mantella e i suoi avvocati c’è stato uno scambio epistolare. Ad un certo punto il collaboratore – questo il suo racconto da sottoporre al vaglio del dibattimento – avrebbe chiesto a Staiano, in sostanza, di riavere indietro i propri soldi. Si sente tradito e gli scrive che si rivolgerà alla Guardia di finanza. La minaccia in questo caso sarebbe velata, il collaboratore non ricorda i toni usati nelle lettere, dice che dipendeva dall’umore «che tu stavi, quando ti sentivi tradito» e si augura che gli avvocati, imputati insieme a lui, producano queste lettere. Anche lui ne riceveva da parte loro. «Mi facevano capire di tranquillizzarmi, “Stai tranquillo”, purtroppo le lettere erano così, li conoscevo ormai a memoria che era un film già visto, neanche le… come se fosse che arrivava l’Ufficio delle Entrate, oggi, per me. E, praticamente: “Sì, signor Mantella, stia tranquillo che adesso presenteremo, fra qualche mese… lei capirà l’ostilità che c’è contro di lei, lei viene descritto un soggetto pipì, popò, caramelle per la tosse, ti saluto e fatti la galera.” Ecco». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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