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Lamezia, infiltrazioni mafiose provate ma Mascaro «poteva non essere al corrente»

I giudici d’Appello confermano la candidabilità del sindaco uscente. Ma il quadro che emerge su Lamezia è fosco. Tra «mercimonio della funzione pubblica» e condizionamenti delle cosche

Pubblicato il: 06/11/2019 – 11:53
Lamezia, infiltrazioni mafiose provate ma Mascaro «poteva non essere al corrente»

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO
«Mercimonio della funzione pubblica», le cosche che continuavano «a condizionare l’attività di vasti settori dell’amministrazione comunale, servendosi di amministratori di loro fiducia». Amministratori di minoranza eletti con «l’appoggio elettorale offerto dalla cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri». Il coinvolgimento di consiglieri di maggioranza. Appalti dati a ditte in odore di mafia o comunque sempre alle stesse ditte, «secondo un collaudato sistema di rotazione limitata ad alcuni soggetti del mondo imprenditoriale». Il sindaco di una cittadina di medie dimensioni per il quale è pur ipotizzabile che «non possa non essere al corrente» di determinate irregolarità ma mancano le prove.
Un quadro a tinte fosche quello descritto dai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro che mercoledì hanno emesso la sentenza di secondo grado riguardo all’incandidabilità di tre ex amministratori comunali: due coinvolti nell’operazione antimafia “Crisalide”, della Dda di Catanzaro, e portati a processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, e l’ex sindaco nelle vesti di colui che sull’amministrazione sciolta per infiltrazione mafiosa avrebbe dovuto vigilare. La Corte d’Appello – presieduta da Alberto Nicola Filardo, consigliere Beatrice Magarò e Giuseppe Bonfiglio – ha confermato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lamezia Terme (qui la notizia). Una sentenza che certamente farà discutere in questo periodo di campagna elettorale (anche per la presenza di alcuni errori materiali come l’indicazione di un ex assessore coinvolto in una operazione antimafia, errore che appare anche, omissato, nella sentenza del Consiglio di Stato), nella quale l’ex sindaco è anche candidato alle amministrative del 10 novembre prossimo.
I giudici hanno dichiarato l’incandidabilità di Giuseppe Paladino, ex vicepresidente del consiglio comunale, e di Pasqualino Ruberto, già candidato a sindaco nel corso delle amministrative del 2015, divenuto poi consigliere comunale di minoranza insieme a Paladino il quale nel corso del tempo è poi passato tra le fila della maggioranza. Entrambi sono stati coinvolti nell’inchiesta Crisalide della Dda di Catanzaro, procedimento nel quale in primo grado Ruberto è stato assolto, con rito abbreviato, dall’accusa di concorso esterno e Paladino sta seguendo il rito ordinario. Rigettata, invece, la richiesta di incandibilità, avanzata dal ministero dell’Interno, per Paolo Mascaro, ex sindaco di Lamezia Terme che continua la propria corsa elettorale.
MINORANZA E MAGGIORANZA COINVOLTE Secondo i giudici d’appello la situazione di condizionamento mafioso dell’amministrazione comunale, che è stata sciolta a novembre 2017, risulta provata «tanto sotto l’aspetto dell’alterazione della formazione del consenso elettorale che dell’imparzialità e della regolarità dell’azione amministrativa».
«Infatti, sotto il primo aspetto, gli esiti dell’operazione di polizia giudiziaria “Crisalide”, ampiamente documentata nella relazione del Prefetto di Catanzaro, nella relazione della commissione d’accesso e negli atti depositati dalla Procura di Lamezia Terme, danno conto dell’appoggio elettorale offerto dalla cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri ai candidati Ruberto Pasqualino, Paladino Giuseppe, anche per il tramite dei signori Miceli Antonio e Torcasio Teresa», scrivono i giudici, i quali poi si distaccano dalle posizioni dei due ex consiglieri coinvolti in Crisalide e prendono in considerazione anche le posizioni di altri consiglieri, questa volta di maggioranza. «Ed è bene considerare che tale operazione contro il crimine ha visto il coinvolgimento anche di Mazza Antonio, inserito nella lista elettorale “Pasqualino Ruberto Sindaco”, di De Sarro Francesco, consigliere comunale in carica al momento dello scioglimento (già presidente del consiglio comunale, ndr), di Raso Marialucia, consigliere di maggioranza e fidanzata di Gualtieri Alessandro (col quale, si affretta a specificare la stessa, non ha ormai più rapporti, ndr) arrestato quale indagato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, di Carnovale Massimiliano, assessore comunale (in realtà mai coinvolto nell’operazione antimafia denominata Crisalide, ndr), di Caruso Titina (maggioranza, ndr), consigliere comunale coniugata con Cristaudo Giuseppe, soggetto sospettato di rapporti con il pregiudicato Giampà Giuseppe (come indicato in un interrogatorio del 2012 reso dal collaboratore di giustizia Angelo Torcasio, ndr)».
«NULLA È CAMBIATO» La Corte si rifà alle motivazioni di primo grado della sentenza di incandidabilità ma anche alle ragioni del Consiglio Stato che ha confermato la legittimità dello scioglimento dell’amministrazione Mascaro (alla quale lo stesso sindaco e altri ex assessori si erano opposti), con parole anche molto dure: «Una situazione di generalizzato disordine amministrativo e di irregolarità nella gestione degli appalti pubblici e, soprattutto, in un contesto che ha visto molti consiglieri comunali legati a soggetti ed interessi riconducibili a contesti mafiosi». Argomentazioni riprese dai giudici della Corte d’Appello i quali da un lato affermano che «come rilevato dal primo giudice in sentenza, la “sostanziale sovrapponibilità dei risultati delle relazioni propedeutiche allo scioglimento del Consiglio Comunale avvenute nel 1991 e nel 2001, ai risultati della relazione relativa allo scioglimento di cui è giudizio” nonché la “continuità degli attori delle condotte invasive, appartenenti alle medesime famiglie” evidenziano che nulla è sostanzialmente cambiato e che, attraverso l’alterazione della formazione del consenso elettorale e del mercimonio della funzione pubblica, le cosche hanno continuato a condizionare l’attività di vasti settori dell’amministrazione comunale, servendosi di amministratori di loro fiducia». Dall’altro sostengono che «la documentazione acquisita nel corso del giudizio di I grado rivela che la gestione operata dai diversi responsabili di settore del comune di Lamezia Terme è stata caratterizzata da un generale disordine amministrativo, con affidamenti diretti e proroghe a favore delle medesime imprese, secondo un collaudato sistema di rotazione limitata ad alcuni soggetti del mondo imprenditoriale, vicini alle cosche operanti nel lametino».
LE IRREGOLARITÀ CHE HANNO PORTATO ALLO SCIOGLIMENTO E qui tornano gli esempi già ampiamente riportati dalla relazione di scioglimento e dal Consiglio di Stato: «Evidente la situazione di irregolarità relativamente all’affidamento del servizio di mensa scolastica alla s.r.l. Cardamone Group, impresa fortemente infiltrata dalla criminalità organizzata, effettuato senza attendere lo spirare del termine L’adozione di un’informativa interdittiva antimafia da parte del Prefetto di Cosenza ha determinato, pochi mesi dopo l’affidamento, la revoca dello stesso». E ancora: «Altre irregolarità sono ravvisabili nell’affidamento dello stesso servizio di mensa scolastica all’associazione temporanea di imprese Siarc spa – Cosec – Cot, posto che l’operazione di polizia giudiziaria “Jonny” ha permesso di verificare l’esistenza di interessi della famiglia Arena, cosca operante nel territorio di Isola Capo Rizzuto sulla Cosec, nonché nell’aggiudicazione alla Agrimed, cooperativa sociale avente soci con precedenti penali, di un bene confiscato alla criminalità organizzata. Significativo anche l’affidamento di appalti per la manutenzione di beni comunali anche in modo diretto, per importi superiori alla soglia consentita, ad imprese i cui titolari coltivavano frequentazioni in ambienti criminali».
«IL SINDACO NON ERA AL CORRENTE» Premesso questo, secondo i giudici la posizione dell’ex sindaco Paolo Mascaro si differenzia da quelle di Paladino e Ruberto e non giustifica la sanzione dell’incandidabilità. «Invero, il Mascaro non ha fatto parte delle precedenti amministrazioni e non è stato coinvolto nel sistema di alterazione della formazione del consenso elettorale che ha caratterizzato la posizione di Paladino e di Ruberto e non vi è motivo di ritenere che si possa essere direttamente o indirettamente interessato alle attività di gestione prima descritte che, per disposizione normativa, non competono al sindaco», scrivono i giudici. Per coloro che si chiedessero come fosse possibile, allora, che vi fosse «mercimonio della funzione pubblica» e che «le cosche hanno continuato a condizionare l’attività di vasti settori dell’amministrazione comunale, servendosi di amministratori di loro fiducia» sotto il naso del primo cittadino, la Corte afferma che «è pur ipotizzabile che il sindaco di una cittadina di medie dimensioni non possa non essere al corrente di alcune irregolarità nel sistema di aggiudicazione degli appalti e di conferimento dei servizi della cosa pubblica ma, in mancanza di adeguata prova di tale conoscenza o di altri elementi sintomatici di una corresponsabilità nelle attività amministrative gestionali, le possibili ipotesi non assumono significato rilevante». Per quanto riguarda l’attività da avvocato penalista dell’ex sindaco, «quale difensore di alcuni soggetti, indicati come di significativo spessore criminale, e coinvolti nell’operazione “Perseo”, appare giustificata dalla professione svolta dallo stesso e comunque, non risulta si sia protratta successivamente all’assunzione dell’incarico di sindaco (circostanza che avrebbe potuto creare un conflitto di interessi per via della costituzione di parte civile da parte del comune di Lamezia Terme e che avrebbe potuto delineare una contiguità tra l’amministratore e le cosche)». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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