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REPORT SVIMEZ | Crollo della fiducia delle imprese. Mazzuca: «Calabria abbandonata dai governi»

Il presidente di Unindustria Calabria punta il dito sulla mancanza di strategia politica di rilancio del Sud: «Sono venute meno le politiche di coesione». Ma bacchetta anche alcune “distorsioni” ne…

Pubblicato il: 08/11/2019 – 7:37
REPORT SVIMEZ | Crollo della fiducia delle imprese. Mazzuca: «Calabria abbandonata dai governi»

di Roberto De Santo
Ci sarebbe in atto una sorta di disimpegno da parte dei governi per sviluppare politiche a favore del Sud e che penalizzerebbe particolarmente la Calabria. Un disimpegno individuabile nella flessione della spesa corrente della Pubblica amministrazione ma soprattutto in quella per investimenti pubblici. Natale Mazzuca, presidente di Unindustria Calabria è fermo nella sua disamina delle ragioni che stanno marginalizzando sempre più la regione. Impendendole di intraprendere un percorso di crescita economica così come è emerso dal Rapporto Svimez. Senza contare la scelta degli esecutivi nazionali di non investire risorse importati del bilancio statale per il Sud, optando di affidare la chiave per le politiche economiche del Mezzogiorno solo alla programmazione europea con risorse comunitarie. Ed i risultati che ne derivano emergono dagli indicatori che segnano un arretramento del livello di ricchezza della regione e anche una forte sfiducia degli imprenditori ad investire. Nel rapporto emerge che la spesa per l’acquisto di macchinari ed attrezzature da parte delle aziende – principale indicatore della volontà di investire delle imprese – è praticamente ferma: 0,1%. Contro un +4,8% del Centro-nord. Con Mazzuca come Corriere della Calabria cerchiamo di comprendere come uscire da questa condizione che sta allontanando la regione dalle aree più ricche del Paese.
Gli investimenti privati in Calabria restano fermi al palo. Perché questa sfiducia da parte degli imprenditori?
«La nostra regione risente in maniera molto condizionante di una sorta di defocalizzazione rispetto alle traiettorie delle politiche di sviluppo strategico dell’economia messe in atto dai governi che si sono succeduti da almeno vent’anni a questa parte. Questo ha contribuito a far crescere un senso di sfiducia, alimentato da una condizione di abbandono e di isolamento crescente, che ha finito con l’accentuare la marginalità del territorio rispetto al resto del paese. Condizioni di contesto non favorevoli, ne cito tre per tutte, come la scarsa qualità delle infrastrutture materiali ed immateriali, una offerta di servizi pubblici di livello decisamente inferiore agli standard nazionali ed una burocrazia ostile, tendono a limitare fortemente la capacità competitività delle nostre imprese, che molto spesso rinunciano ad investire fiaccati dalle difficoltà insite nel vero e proprio percorso ad handicap che sono costretti a seguire. Eppure, nonostante tutto, la passione, la voglia di fare e la testardaggine di molti imprenditori che hanno saputo resistere ed osare, anche in anni recenti, utilizzando il credito di imposta Sud, sono riuscite a movimentare la domanda interna con investimenti in beni ed attrezzature per un totale di circa 900 milioni di euro. Segno di un sistema economico che seppur debole, fragile e mortificato dalle tante disattenzioni a tutti i livelli è tutt’altro che rassegnato a subire la vulgata che tende ad individuare la Calabria come un territorio destinato ad un declino ineluttabile, verso il quale non vale la pena di investire e mobilitare risorse dedicate attraverso progetti strategici».
Cosa occorrerebbe mettere in campo per consentire la ripresa degli investimenti da parte delle aziende?
«Intanto assecondare questi segnali di dinamismo, che pure sono presenti ed il più delle volte rappresentano vere e proprie eccellenze di valenza assoluta, favorendone la crescita ed il consolidamento come momenti di inspessimento del tessuto economico grazie alla possibilità di generare indotto dando vita a nuove iniziative imprenditoriali tendenti a completare le possibili filiere. La precondizione indispensabile è quella di mettere in campo politiche adeguate alle difficoltà ed alle complessità delle condizioni di contesto sostenute da un vero cambio di passo e da uno sforzo importante in direzione di recupero di efficienza e di qualità dell’attività burocratica e realizzativa. Bisogna restituire alla Calabria ed ai calabresi una solida immagine di affidabilità. Inoltre è necessario sostenere politiche regionali di sviluppo focalizzate sulle imprese e sulla creazione di ricchezza endogena come momenti di creazione di opportunità di lavoro stabili e durature».
Ed intanto gli investimenti pubblici, secondo Svimez, in generale diminuiscono. Eppure la Calabria resta indietro con le dotazioni infrastrutturali. In questo campo quali sono le priorità della regione?
«Il Mezzogiorno paga il prezzo più alto del disimpegno di risorse da parte dello Stato. Negli ultimi anni gli investimenti pubblici si sono dimezzati mettendo a serio rischio la tenuta sociale ed economica. Non vengono garantiti i livelli essenziali delle prestazioni mettendo in discussione i diritti di cittadinanza. Il Sud terminata la grande stagione della Cassa per il Mezzogiorno è stato cancellato dall’agenda dei governi che si sono succeduti nel silenzio più assordante dei nostri rappresentanti. È urgente un piano Marshall che attivi il riequilibrio della spesa ordinaria tra le due macro aree del paese in rapporto agli abitanti. La previsione di dover destinare al Sud il 34% delle risorse è ancora solo sulla carta. Le infrastrutture, oltre ad avere un impatto immediato sulla crescita, sono fondamentali per lo sviluppo, collegano i territori, creano inclusione e annullano le discriminazioni territoriali. Non credo sia tollerabile avere territori che viaggiano in via ordinaria con le frecce di ultima generazione ed altri, come il nostro, in cui la rete infrastrutturale e di collegamento rappresenta un freno alla mobilità. Il sistema calabrese dei trasporti, di fatto, è stato escluso dalla nuova rete trans-europea. Non sono previste, infatti, l’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, le autostrade del mare, l’attraversamento dello Stretto. Il ritardo infrastrutturale non si esaurisce con la esclusiva realizzazione delle grandi opere, passa e si stabilizza anche attraverso gli interventi diffusi sul territorio. Prioritario da noi è l’adeguamento dei nodi infrastrutturali, i luoghi dove si concentrano la maggior parte delle attività sociali ed economiche, dove si incontrano e si scambiano i flussi di attività: materiali ed immateriali, di uomini e merci. Quindi una rete di infrastrutture moderne, efficienti ed integrate, in grado di valorizzare appieno le risorse della regione. È importante inoltre riuscire a sviluppare in via definitiva le attività logistiche connesse al porto di Gioia Tauro in maniera tale da ampliarne e rafforzarne il ruolo strategico in ambito nazionale ed internazionale».
Ma le risorse provenienti dai fondi europei ci sono e sono cospicue. Perché non riescono a far invertire il senso di marcia alla regione?
«Perché nel tempo sono diventate sostitutive e non aggiuntive rispetto alle risorse ordinarie che sono di competenza dello Stato. Con l’aggravante che le connesse procedure di attuazione sono notevolmente più complesse, farraginose e sottoposte a vincoli e ristrettezze tali che finiscono con il rallentarne i tempi di attuazione, attenuandone le ricadute. Nei fatti sono venute meno a quelli che erano i principi generali e le ragioni dell’avvio delle politiche comunitarie cosiddette di “coesione”, tendenti a colmare i divari esistenti tra i territori grazie a misure e risorse straordinarie. Ma non mi pare che su questo, a parte lo Svimez, si registrino indignazione e prese di posizioni adeguate».
Il rapporto tra la politica e il mondo produttivo calabrese è spesso caratterizzato da un meccanismo do ut des che non premia la meritocrazia e che nel migliore dei casi finisce per parcellizzare gli aiuti. Si potrà mai rompere questo sistema?
«È vero, spesso il rapporto tra politica e imprese risulta distorto, tendendo a minare alla radice il principio della libera concorrenza che è la pietra angolare del nostro sistema. Questo finisce con l’alimentare una sorta di dipendenza, quasi una forma di sudditanza che in alcuni casi limita la libertà e l’autonomia degli imprenditori, creando un mercato chiuso a vantaggio di pochi privilegiati a danno di quanti rispettano le regole. È anche così che si alimentano sottosviluppo ed arretramento civile impedendo l’accumulo di capitale sociale. Se si tiene bloccato l’ascensore sociale della meritocrazia, le conseguenze sono drammatiche e sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti. È necessario quindi rompere questo meccanismo perverso concentrandosi sull’interesse generale e sull’affermazione del bene comune e non su quello personale. Il discrimine deve essere rappresentato dal merito, non dall’appartenenza o dal grado di “furbizia”. Occorre mettere in campo un alleanza di sistema tra le forze positive della società, che sono la maggioranza e credono ancora con forza nella possibilità di un cambiamento per il bene della nostra terra».
Nonostante tutto perché continuate a scommettere facendo impresa in Calabria?
«Perché noi imprenditori siamo inguaribili ottimisti ed amiamo le sfide anche se difficili. Spinti dalla passione, dal coraggio e dalla capacità visionaria, ci battiamo ogni giorno per tentare di essere protagonisti attivi e positivi della storia di questo territorio dove siamo nati, dove sono nati i nostri figli ed al quale ci sentiamo profondamente legati». (r.desanto@corrierecal.it)

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